Si aprono crepe nel «diritto di abortire» - A 30 anni dal referendum sulla 194, si sta rimettendo in discussione la cultura che vede nella interruzione di gravidanza una conquista delle donne - I Comuni di Correggio e Modena varano misure per contenere il dramma degli aborti per povertà di Viviana Daloiso, Avvenire, 5 maggio 2011
Accorgersi che un aborto in meno è un successo per tutti. Capire che la donna non è davvero "libera di scegliere" – come recitano ancora gli slogan tipici di certo femminismo intransigente – se la componente economica rappresenta un ostacolo alla gravidanza. E decidere, al di là di ogni polverone ideologico, che aiutare la maternità è un bene politico e sociale indiscutibile. Sempre e comunque. A trent’anni ormai dal referendum del 17 maggio 1981 sulla legge 194 (tuttora largamente disapplicata nella parte in cui detta «norme per la tutela sociale della maternità») è quantomai necessario interrogarsi laicamente – tutti – su quel che ha scavato nella mentalità e nella cultura diffusa il provvedimento che ha legalizzato l’aborto in Italia. Ma occorre farlo senza barricate né pregiudizi, guardando in faccia la realtà: che cos’è davvero l’aborto? E come va chiamato oggi: diritto, o sconfitta? Conquista, o scelta comunque drammatica alla quale spesso ci si sente costretti? I fatti cominciano a rivelare una realtà diversa da quella troppo a lungo raccontata in esclusiva dai fautori dell’aborto come "valore" per le donne.
Emilia Romagna nelle ultime settimane ha fatto due passi rivoluzionari. Uno nel piccolo comune di Correggio, l’altro nella più grande Modena, tanto importanti da lasciare senza parole persino le associazioni impegnate da anni a difesa della famiglia e della vita nascente. Cosa è successo? Le due giunte, entrambe di centrosinistra, hanno approvato la costituzione di un Fondo per aiutare la maternità difficile. Diecimila euro da una parte e trentamila dall’altra per dire che le donne con difficoltà economiche, se vogliono tenere il loro bambino, saranno aiutate, seguite, tutelate, come accade in Lombardia con il Fondo «Nasko».
Entrambi i provvedimenti emiliani sono stati presi grazie a iniziative trasversali – nel caso di Modena, a convincere la giunta sono stati un consigliere comunale dell’Udc, Davide Torrini, insieme a uno del Pd, Paolo Trande – e con la collaborazione concreta di diversi attori istituzionali (a Correggio il Distretto sanitario, il Servizio sociale integrato, il Movimento per la vita, la Caritas, la sezione femminile della Croce Rossa e l’Ausl reggiana).
«Si tratta di un progetto di comunità che coinvolge una rete – spiega il sindaco di Correggio, Marzio Iotti – e nella piena applicazione della direttiva regionale 1690/2008 e della 194. Che non viene messa in discussione. L’intento è fare in modo che le problematiche di natura economico-sociale non diventino motivo di ricorso a un’interruzione di gravidanza. Soltanto così la donna è davvero libera di scegliere: può farlo per l’aborto, ma anche per la vita».
In effetti la legge 194 troppo spesso è stata considerata (e difesa) solo per il "diritto" che garantirebbe – quello all’aborto: ma si tratta solo di una depenalizzazione – e non per il dovere che impone con chiarezza alle istituzioni, ovvero quello di fare di tutto perché le donne siano messe nella condizione di evitarlo.
«Pensare alla gravidanza e parallelamente all’aborto in chiave ideologica – spiega il consigliere regionale del Pd Giuseppe Pagani, che ha subito esternato il suo plauso per le due iniziative – è un errore che siamo tutti stanchi di veder compiere. La maternità invece è una valore politico e sociale: senza nuovi nati il nostro territorio si sta spopolando, investire nelle gravidanze e sulle famiglie in generale è investire nel futuro».
Un passo dirompente, soprattutto per certa sinistra... «Ho saputo di alcune critiche in seno al Pd e a Sinistra e Libertà, ma si tratta di posizioni superate – continua sicuro Pagani –. Solo se la società e le istituzioni sono capaci di togliere ogni ostacolo a una gravidanza la scelta dell’aborto è davvero libera».
Di anacronismi parla anche una femminista convinta, giornalista e scrittrice, come Paola Tavella: «La verità è finalmente emersa: e cioè che la sinistra non è mai stata contraria alla vita, e che la distinzione tra pro-life e prochoice è del tutto infondata, non ha senso.
Qui assistiamo invece alla vera contrapposizione odierna: quella tra "biofili" e "necrofili", tra chi crede nella vita e chi predica la morte, una contrapposizione che non accade solo nel campo della maternità».
Che fare? «Farsi sentire. Come per le due iniziative che arrivano dall’Emilia. Sostenere che la vita è il valore più universale fra tutti. Che ogni politica deve farlo suo. E scoraggiare, ammutolire i troppi necrofili. Continuano a parlare, e sono in ancora tanti».
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