LINEE GUIDA SUGLI STATI VEGETATIVI E DI MINIMA COSCIENZA - Pubblicato il 10 maggio 2011 da http://www.blogscienzaevita.org/
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ha approvato il 5 maggio 2011 le Linee di indirizzo sugli stati vegetativi e di minima coscienza.
Il documento prevede la realizzazione di un sistema integrato ospedale-territorio per costruire un percorso di “dimissione protetta”, riducendo al minimo la permanenza nei reparti di rianimazione e intensivi e favorisca al più presto il trasferimento in ambienti più adeguati a fornire un’assistenza più attenta agli aspetti funzionali e riabilitativi del paziente e al benessere della propria famiglia.
“L’approvazione delle linee guida sugli stati vegetativi – dichiara il sottosegretario alla Salute, On. Eugenia Roccella – rappresenta il punto di arrivo di un lungo lavoro avviato sin dall’inizio di questo governo. Il documento recepisce infatti nella sostanza i risultati della Commissione di esperti sullo stato vegetativo e di minima coscienza, da me presieduto, e delle associazioni che hanno collaborato con il Ministero alla realizzazione del libro bianco”.
“Le linee guida – prosegue il sottosegretario – rappresentano un obiettivo importante per una società che sappia tutelare i più deboli e più fragili, capace di accogliere, come noi abbiamo fatto, l’appello delle famiglie che, con fatica e dedizione, assistono i propri cari in stato vegetativo, uomini e donne in condizioni di disabilità estrema. Il documento oggi approvato fornirà alle Regioni i giusti strumenti per affrontare il problema dell’appropriatezza del percorso assistenziale di questi disabili che, come ci insegna il Libro bianco, deve essere personalizzato e costruito sulle reali esigenze dei malati e delle loro famiglie. È per questo importante ottimizzare le risorse disponibili (come i fondi che già da due anni il governo ha vincolato agli obiettivi di piano) per implementare, per esempio, la rete di accoglienza specializzata puntando sulla riabilitazione poiché si tratta di malati che, sottoposti a determinati programmi, possono migliorare. E’ la prima volta che un atto istituzionale di alto profilo come le linee guida recepisce le istanze delle associazioni che in questo percorso sono state di fatto riconosciute, e continueranno ad esserlo, come interlocutori.”
vai al testo delle linee guida: http://www.salute.gov.it/dettaglio/dettaglioNews.jsp?id=1506&tipo=new
LINEE DI INDIRIZZO PER L’ASSISTENZA ALLE PERSONE IN STATO VEGETATIVO E STATO DI MINIMA COSCIENZA
INTRODUZIONE
Il documento ha lo scopo di definire linee di indirizzo sull’assistenza delle persone in condizioni di bassa responsività protratta. È chiaro che tale obiettivo può essere raggiunto efficacemente solo se si abbraccia e contestualizza il problema all' interno del percorso per le gravi cerebrolesioni acquisite, come già affrontato nel 2005 nel documento “Di Virgilio”.
Nonostante la numerosa documentazione delle varie Regioni, nella maggior parte delle Regioni non sono stati attivati espliciti percorsi regionali istituzionalizzati per la corretta gestione sanitaria delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA). Esiste comunque una rete di centri dedicati alle gravi cerebrolesioni acquisite, pubblici, privati convenzionati o IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico), che hanno svolto attività di intervento riabilitativo, spesso con scarsi collegamenti con la fase acuta e con l’assistenza sul territorio.
Per quanto riguarda la gestione dei pazienti fin dalla fase acuta é utile fare riferimento anche ai risultati dello studio condotto da 17 Regioni italiane nell'ambito del Progetto di Ricerca Finalizzata 2005: “Il Percorso Assistenziale Integrato nei Pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita (Traumatica e Non Traumatica) Fase Acuta e Post-Acuta”, a cura di Salvatore Ferro e Rebecca Facchini Servizio Presidi Ospedalieri - Regione Emilia-Romagna.
Il documento conclusivo (2009) riporta: "I documenti individuati dai referenti regionali sono costituiti da delibere (regionali o aziendali), piani sanitari regionali, progetti (regionali o aziendali), lettere informative, circolari, e in qualche caso linee guida per la pratica clinica che, pur potendo rappresentare un valido strumento di governo clinico, non sono abitualmente dotate di valore normativo.
Un aspetto preminente della eterogeneità dell’assistenza ai pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite riguarda l’attenzione dedicata dalle regioni alle diverse fasi assistenziali del percorso integrato, che si concentra soprattutto nelle fasi precoci dell’assistenza mentre le fasi in cui si dovrebbe realizzare un’efficiente integrazione ospedale-territorio (cioè la fase di dimissione e postdimissione) appaiono proporzionalmente meno ricche di provvedimenti normativi, anche nelle regioni che dedicano maggiore attenzione all’organizzazione dell’ assistenza ai pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite".
L’analisi descrittiva del materiale raccolto nelle diverse regioni ha, dunque, permesso di rilevare una marcata eterogeneità nella tipologia di documenti emanati, associata a una notevole varietà di modelli organizzativi assistenziali come è pur evidente la mancanza di omogeneità di nomenclatura, di procedure e di organizzazione strutturale.
Il Gruppo di lavoro rileva, dunque, che le criticità prevalenti riguardano la:
-disomogeneità di criteri diagnostici con conseguente disomogeneità di codifica
-disomogeneità di procedure diagnostico- terapeutiche
-disomogeneità di requisiti minimi strutturali per ogni fase
-disomogeneità del sistema di remunerazione
-assenza delle diagnosi di SV, SMC e “postumi” di gravi cerebrolesioni acquisite nella categoria Handicap gravi.
L’eterogeneità dell’approccio a questi pazienti, sia in fase acuta che post-acuta, implica la non disponibilità di dati esaustivi sul piano epidemiologico, indispensabili per poter adeguare alle richieste l’offerta di idonei servizi riabilitativi, consentendo solo una stima approssimativa dei soggetti in SV/SMC o con severi postumi disabilitanti da gravi cerebrolesioni acquisite.
Negli ultimi decenni a seguito di gravi cerebrolesioni acquisite, con incidenza e prevalenza di particolare rilievo, è emersa una nuova popolazione di pazienti, con quadri clinici complessi dominati da gravi alterazioni dello stato di coscienza che includono il coma, lo stato vegetativo (SV) e lo stato di minima coscienza (SMC), che sono in progressivo aumento, anche in virtù dei progressi della medicina dell’ Emergenza-Urgenza.
Le tre condizioni cliniche sopra enunciate implicano un’alterazione della consapevolezza del sé e dell’ambiente, ma hanno differenze cliniche che influenzano le decisioni diagnostico-terapeutiche, la prognosi, il trattamento, il coinvolgimento delle famiglie ed i costi della gestione globale.
Si fa qui riferimento agli Stati Vegetativi che conseguono al coma indotto da gravi cerebrolesioni acquisite, cioè ad eventi di natura traumatica, vascolare, anossica o infettiva o, comunque, da noxae acquisite, che non includono le patologie congenite, involutive e degenerative.
Come affermato nel Piano Sanitario Nazionale (PSN), la domanda di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un incremento imputabile non solo ai progressi della medicina d’urgenza, che oggi consentono la sopravvivenza di pazienti un tempo destinati all’exitus, ma, in parte, anche all’aumento dei gravi traumatismi accidentali.
Un soggetto colpito da grave cerebrolesione acquisita subisce una grave destrutturazione delle funzioni cerebrali che, nel suo aspetto più rilevante, si traduce in uno stato di coma.
Se non sopravviene la morte, nell'arco di ore, giorni o, al massimo, di 3-6 settimane, nel paziente si verifica un progressivo recupero delle funzioni autonomiche con "apertura degli occhi" senza ricomparsa dello stato di coscienza, lasciandolo in quel quadro clinico definito " stato vegetativo".
In accordo con le direttive dell'American Congress of Rehabilitation of Medicine (1), lo "Stato Vegetativo" si configura come un peculiare e grave stato clinico caratterizzato da “apertura degli occhi, con cicli sonno-veglia alla registrazione EEG, senza manifestazioni di consapevolezza di sé e dell'ambiente e con parziale o completo recupero delle funzioni vegetative ipotalamiche e troncali”.
L'apertura degli occhi e la ripresa di un ritmo sonno-veglia senza manifestazioni di attività cosciente, l'assenza di deglutizione che impone la nutrizione artificiale, la presenza di cannula endotracheale, la necessaria gestione delle comorbilità premorbose o secondarie alla fase intensiva (granulazioni ed ulcere endotracheali, stati settici, ulcere da decubito, deformazioni artuali), il controllo del quadro neurologico, delle posture patologiche in decorticazione/decerebrazione, della spasticità grave resistente ai comuni trattamenti anti-spastici, della disautonomia vegetativa con crisi di sudorazione profusa, tachicardia, tachipnea, ipertensione/ipotensione arteriosa e delle ulteriori eventuali complicazioni, la necessità di un attento e costante nursing, giustificano, nell’attuale assetto organizzativo, il rifiuto del ricovero di questi soggetti in reparti di riabilitazione non dotati di setting assistenziali e dell’expertise adeguati alla complessità di un paziente ancora instabile con conseguente ingiustificata, protratta e costosa permanenza in Rianimazione.
E’ ampiamente dimostrato che la disabilità residua di un paziente con GCA dipende non solo dal danno primario ma anche, e talvolta soprattutto, dalla catena di eventi che possono intervenire dalla fase dell’acuzie in avanti, come conseguenza di una mancata prevenzione e/o cura anche di patologie intercorrenti.
Va, qui, sottolineata la facilità con cui le complicanze possono instaurarsi e autoalimentarsi, a circolo vizioso, in un paziente così “fragile”, in cui la grave alterazione dello stato di coscienza e/o la stessa protratta immobilità sono fonte di “disastri clinici” spesso irreparabili.
CRITICITÀ E DANNI EVITABILI
Allo stato attuale il raccordo tra le conoscenze scientifiche sulle caratteristiche delle GCA e le ricadute organizzative relative alla prognosi é ancora carente.
In Italia, nella pratica corrente, sia nella codifica delle SDO sia nella diagnosi d’accettazione che di dimissione, non viene riportata la severità dei quadri clinici. Il sistema attuale, infatti, non rileva il funzionamento e la disabilità dei pazienti.
La proposta di intervento organizzativo, qui formulata, scaturisce in parte da studi che hanno identificato le aree “fragili” dell’attuale assetto assistenziale.
Diversi studi confermano che la percentuale delle “morti evitabili” e delle disabilità gravi é significativamente più elevata in assenza di strutture deputate al trattamento delle GCA e quando l’assenza di competenze specifiche comporta un’inadeguata gestione con disconoscimento dei problemi clinici da cui derivano indicazioni cliniche o terapeutiche inadeguate, ritardate o, addirittura, non poste.
Già da tempo le linee-guida per il trattamento delle GCA, delineate nelle linee Guida sulla Riabilitazione 1998 e tratte da trial internazionali randomizzati nonché da modelli operativi esteri (7)(8)(9), hanno dimostrato che i pazienti trattati in reparti dedicati hanno una minor incidenza di mortalità e una miglior prognosi rispetto a quelli trattati in reparti non dedicati. Da tutto ciò si evince sia la necessità di un percorso dedicato, articolato in tappe all’interno di un continuum terapeutico, sia l’importanza di un precoce intervento neuroriabilitativo.
Alcune unità sub intensive per pazienti affetti da GCA sono già presenti nel panorama ospedaliero nazionale, ma la regola è piuttosto la loro assenza.
Si rende necessario, quindi, indicare l’istituzione di unità operative/ o aree (nuclei) dedicati, a carattere semintensivo e ad alta valenza riabilitativa, la cui gestione, come fattore imprescindibile, necessita di specifiche competenze in grado di assistere GCA in fase critica, integrate da un approccio interdisciplinare ed interprofessionale che vede il coinvolgimento degli specialisti necessari (neurologo, fisiatra, anestesisti/intensivisti, neurochirurgo, internista, ortopedico, infettivologo…) e delle professioni sanitarie. (10-15)
Nell’ambito di tutte le sequele da GCA, il trattamento assistenziale e riabilitativo degli SV e degli SMC necessita di particolare attenzione in quanto queste condizioni: - sono ad elevata e progressivamente crescente incidenza, con elevata mortalità e disabilità;
- determinano quadri clinici complessi con considerevole impegno gestionale e di intervento in equipe;
- l’assistenza necessita di competenza ed esperienza peculiari;
- necessitano di un’organizzazione multi e interdisciplinare per corrispondere a precisi bisogni clinici;
- necessitano di strutture dedicate di riferimento ad alta valenza riabilitativa già dalla fase acuta;
- l’intervento di informazione e di supporto psicologico dei familiari deve essere disponibile e mirato a creare un’alleanza terapeutica con l’equipe già dalla fase acuta;
- è evidente la necessità di identificare e formare una nuova cultura professionale specifica nonché di incrementare nuove aree di ricerca.
La necessità di definire un percorso lineare e precoce per SV e SMC deriva da una serie di considerazioni:
- il lungo periodo di neuro riabilitazione corrisponde nel tempo a situazioni clinico funzionali e necessità assistenziali diverse che comportano un assetto dell’organizzazione dell’assistenza articolata in successivi livelli di cura;
- è documentato che la permanenza delle persone in SV/SMC nelle Rianimazioni, oltre ad avere costi elevatissimi, non favorisce il recupero; di conseguenza è necessario avviare precocemente percorsi di recupero;
- la condizione di SV, soprattutto nelle fase acuta, ha necessità di una presa in carico intensiva, precoce e competente;
- la fase riabilitativa ospedaliera dei pazienti in SV e in SMC tende in genere a prolungarsi con programmi multidimensionali di lunga durata (5-12 mesi). La possibilità di ridurre il livello di assistenza negli esiti può comunque avere un impatto profondo sulla qualità della vita del paziente e dei familiari e sui costi dell’assistenza a lungo termine;
- al pari della permanenza nei reparti di cura intensiva, la permanenza oltre il necessario nei reparti di riabilitazione intensiva di pazienti in SV o in SMC determina un improprio ricovero e impedisce l’accoglienza di nuovi casi. Pertanto è opportuno chiarire il percorso e la denominazione delle strutture in grado di accogliere queste patologie anche per non disorientare i familiari;
- la mancanza di recettività e di organizzazione dei servizi territoriali causa l’impropria permanenza, oltre il necessario, nei reparti ospedalieri;
- la famiglia esprime forti domande e complessi bisogni lungo tutto il percorso di cura e riabilitazione.
Un coinvolgimento attivo e guidato dei familiari nel progetto riabilitativo consente una stimolazione affettiva significativa che generalmente permette di rivelare più precocemente i primi segni di responsività dei pazienti; di rassicurare emozionalmente i pazienti in agitazione psicomotoria (con notevole riduzione della necessità dell’uso di neurolettici e sedativi spesso dannosi per il recupero della responsività); di promuovere la vera alleanza terapeutica con la famiglia, che spesso rappresenta il feedback più affidabile della qualità assistenziale dell’equipe riabilitativa e un monitoraggio attento dei cambiamenti significativi del quadro clinico; riduce l’ansia, il senso di impotenza e di frustrazione dei familiari ed evita iniziative personali non utili e talvolta dannose per il paziente (tentativi di alimentazione per bocca o mobilizzazioni non autorizzate).
Spesso emerge una rivendicazione di un proprio ruolo e di proprie “competenze”. Occorre tenerne conto sviluppando progetti educativi e strategie di implementazione specificamente dedicate ai familiari. In un sistema integrato, le famiglie non si dovrebbero trovare nella necessità di una ricerca personale delle opportunità di cura o di una autogestione organizzativa dei processi di assistenza in assenza di risorse di supporto.
Alla luce di tutto questo appare importante spingere le Regioni a rendere omogenea
l’organizzazione sanitaria e socio-assistenziale a favore dei pazienti in SV e SMC raccomandando un percorso lineare e razionale a partire dalla fase acuta, assicurando la “presa in carico” dell’individuo nella sua intera realtà patologica attraverso una articolazione a rete, posta in un continuum, comprendente le UO (unità operative) per l’emergenza, le UO per acuti, le UO di riabilitazione nonché le infrastrutture sociali. Tale percorso, già delineato nel documento Di Virgilio 2005, si inserisce pienamente nelle raccomandazioni delle Conferenze di Consenso e delle Linee Guida sulla Riabilitazione del 1998.
In questa prospettiva ci troviamo perfettamente in linea con le indicazioni del PSN e le linee di indirizzo per la riabilitazione (recentemente approvate dalla conferenza stato-regioni). Inoltre, questa strutturazione è in accordo anche con i nuovi LEA, in attesa di definitiva approvazione ed emanazione che incentivano l’individuazione di percorsi terapeutici con programmi di sviluppo della rete dei servizi territoriali, nonché programmi incisivi per l’incremento del grado di appropriatezza.
Un buon sistema di cure primarie produce un elevato grado di appropriatezza, un minore ricorso a ricoveri impropri, una relazione di fiducia e di consenso dei familiari.
In particolare per la congruità con i LEA è fondamentale:
- il riconoscimento della funzione strategica dei sistemi di assistenza primaria;
- il rilancio delle indicazioni di percorsi diagnostico - terapeutici che minimizzino la quota di accessi impropri;
- la necessità di coerente collegamento in rete tra presidi ospedalieri e tra questi e le strutture territoriali;
- lo sviluppo, anche attraverso adeguate politiche di aggiornamento e formazione, di quello che è stato definito lo spazio del “governo clinico”;
- la considerazione dell’integrazione professionale come elemento imprescindibile per l’esistenza e il buon funzionamento di un sistema di assistenza primaria, in funzione di una presa in carico efficace delle cronicità;
- la valorizzazione dei vari profili professionali sanitari coinvolti nella loro specificità;
- la necessità di riorientare le professionalità mediche e sanitarie, sociali e assistenziali, ad una capacità di lettura e interpretazione precoce dei bisogni di salute e di assistenza, di interlocuzione pronta, di intervento preventivo, di azioni curative e riabilitative;
- l’implementazione del sistema informativo finalizzato all’incremento non solo dell’efficienza ma anche della qualità;
- sono prioritari l’integrazione professionale e la partecipazione alla governance del sistema, l’individuazione e selezione delle scelte cliniche più appropriate, il miglioramento dell’impatto clinico ed economico dei comportamenti professionali sugli obiettivi del sistema.
Alcune disposizioni delle leggi finanziarie per il 2005, il 2006 e il 2007 precisano e specificano la disciplina dei LEA.
La legge n. 311 del 2004 (art. 1, comma 169) demanda ad un regolamento ministeriale l’individuazione degli standard qualitativi (strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito) e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza.
L’iter per l’adozione dei LEA si applica anche alla definizione dei predetti standard relativi alle tipologie di assistenza e servizi per le aree di offerta individuate dal PSN.
L’intento è di integrare e specificare i LEA sul versante attuativo, assicurarne una erogazione omogenea tra le diverse aree del territorio, evitando disparità dei costi sostenuti (dalle singole Regioni) e nel trattamento riservato ai cittadini (con differente residenza).
Alcune disposizioni della legge n. 266 del 2005 (l. finanziaria per il 2006) fanno riferimento all’art. 1, c. 169 della legge n. 311 del 2004. L’art. 1, c. 80, lett b) richiama gli standard di cui alla disposizione sopra citata in caso di mancata definizione da parte delle Regioni dei tempi di attesa per le singole prestazioni rientranti nei LEA.
Da un’analisi fisiologicamente connessa alla attuale realtà, è dunque emersa, ormai da tempo, la necessità di direttive nazionali per definire i percorsi di cura e incentivare lo sviluppo di reti regionali assistenziali dei pazienti in SV e SMC nell’ambito di una più complessiva riqualificazione dei percorsi assistenziali per pazienti con GCA.
SISTEMA A RETE INTEGRATA “COMA TO COMMUNITY”
La proposta, come già individuato dalla precedente Commissione (Di Virgilio 2005), è basata su un cambiamento di prospettiva, passando dalla necessità di regolare al meglio il flusso dei pazienti in SV e SMC nell’ambito di una più complessiva riqualificazione dei percorsi assistenziali per pazienti con GCA , all’indicazione di organizzare un “sistema esperto” integrato a rete di percorsi “dal coma al domicilio”, con forte radicamento territoriale, connotato da universalità, appropriatezza, tempestività e progressività delle cure. Un percorso “certo” per tutti i pazienti, senza selezione a monte, e senza affidare alle famiglie la ricerca di soluzioni estemporanee (con il grave rischio di inappropriati flussi passivi, interregionali o all’estero).
Il sistema dedicato, infatti, deve basarsi sull’articolazione di vari reparti assistenziali permettendo, con una buona tempestività e fluenza, la presa in carico del paziente dalla fase acuta, garantendo adeguati e appropriati servizi di cura, continuità delle cure, equità nelle condizioni di accesso e di fruizione, con dinamiche operative facilitanti la sinergia tra le varie componenti, consentendo di utilizzare in modo idoneo le risorse professionali dell’intero sistema.
Una persona colpita da GCA necessita di ricovero ospedaliero per trattamenti rianimatori o neurochirurgici nella fase di emergenza-urgenza (fase critica) e di un periodo di durata variabile da alcuni giorni ad alcune settimane e talvolta mesi, dedicata alla gestione delle complicanze settiche, respiratorie internistiche, neurologiche (stato di male epilettico), chirurgiche, neurochirurgiche, ortopediche, e un intervento riabilitativo precoce (fase acuta-subacuta). Molti sono coloro che sopravvivono a questa fase, in ampia misura grazie ai notevoli progressi della medicina d'urgenza e al miglioramento della gestione assistenziale e riabilitativa. Sono, a questo punto, successivamente necessari interventi medico-riabilitativi più specifici di tipo intensivo, anch’essi da effettuare in regime di ricovero ospedaliero, che possono durare da alcune settimane ad alcuni mesi (fase postacuta). Nella maggior parte dei casi, dopo la fase di ospedalizzazione, permangono sequele che rendono necessari interventi di carattere sanitario e sociale a lungo termine, volti ad affrontare menomazioni e disabilità persistenti, oltre alle difficoltà di reinserimento familiare, sociale, scolastico e lavorativo (fase degli esiti).
La focalizzazione di queste quattro fasi (critica/acuta-subacuta/post-acuta/degli esiti) fondamentali nel decorso della patologia in esame comporta la necessità di dettagliare altrettanti livelli d’intervento. L’intervento riabilitativo deve iniziare, in modo articolato ed integrato, fin dal momento della gestione della emergenza-urgenza; per questo è opportuno elaborare protocolli che consentano una cooperazione strutturata tra le due realtà operative nelle diverse situazioni cliniche; si potrà così impostare il Progetto Riabilitativo Individuale fin dalle fasi più precoci, possibilmente fin dalla fase critica.
In questo modo potranno essere prevenute le complicanze che rendono molto più difficoltoso o, addirittura, inficiare il potenziale recupero del soggetto.
In linea con gli scopi istituzionali, cioè di essere di reale aiuto e soddisfare un “bisogno della salute”, in linea con le disposizioni legislative, con quanto espresso in termini pressanti da parte dei professionisti del settore, nonché con quanto portato avanti dalle associazioni delle famiglie, si addiverrebbe così ad una ipotesi risolutiva, un esempio di "sanità" in cui è necessario riguadagnare il tempo perduto, operando ogni sforzo perché sperimenti e definisca nuovi modelli assistenziali integrati nelle patologie a più alta necessità.
Sostanzialmente le indicazioni a valenza nazionale, promosse dal Ministero della Salute, tendono a fissare un unico obiettivo, che inscrive il contesto sanitario nell'intero ambito sociale: ridurre tra i cittadini le disuguaglianze che, purtroppo, caratterizzano ancora Paesi anche ad elevata industrializzazione. Particolarmente in ambito delle malattie disabilitanti, nel nostro Paese, queste diseguaglianze esistono ed hanno come determinanti il territorio di residenza, la classe sociale, l'età e la stessa malattia.
La diversa dislocazione territoriale di strutture genera tra i cittadini "diseguaglianze" in termine di mortalità, sopravvivenza e qualità delle cure.
In Italia esistono già in alcune regioni modelli, sorti spontaneamente sulla spinta di alcune componenti locali, che rappresentano un riferimento per affinare le modalità organizzative da applicare sul restante territorio nazionale. Inoltre, dato l’interesse generale del progetto con ricadute in campo socio-sanitario, si ritiene, per un pronto avvio, che possa essere ampiamente in grado di auto-finanziarsi, come dimostrato da diverse esperienze effettuate in altre Nazioni e che possano affluire anche risorse di varia provenienza, quali ad esempio quelle vincolate agli obiettivi prioritari di Piano Sanitario Nazionale o altre risorse come ad esempio quelle del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, ai fini del raggiungimento degli obiettivi europei previsti per il 2010.
In virtù di quanto espresso é opportuno che ogni singola Regione proceda alla codifica di un sistema istituzionalizzato “coma to community” che assicuri un percorso a rete integrata in grado di garantire la “presa in carico globale” del paziente con GCA, dalla fase acuta al reinserimento domiciliare, un intero setting di fasi, articolate fra funzioni di tipo intensivo-subintensivo, postacute e croniche, che comprendano anche modelli per pazienti “slow to recover” e “a bassa responsività protratta”.
Il sistema integrato “coma to community” va dimensionato su un bacino di popolazione adeguato in funzione delle caratteristiche geografiche e degli indicatori epidemiologici per corrispondere all’utenza con tempestività e progressività delle cure, continuità ed appropriatezza in ogni fase del percorso.
L’attivazione del sistema dovrebbe declinarsi in funzione delle caratteristiche demografiche, programmatorie e di contesto di ciascuna Regione, procedere su vari livelli comprendendo tre fasi interdipendenti, ciascuna delle quali si pone come fondamento, presupposto ed integrazione della successiva:
1. programmazione analitica con ricognizione approfondita delle strutture, delle attuali risorse e contemporanea elaborazione, stesura di procedure e protocolli di lavoro, definizione di un linguaggio univoco e di regole dettagliate da seguire uniformemente;
2. definizione e ufficializzazione di un Centro regionale o funzione regionale di riferimento e dei Centri coinvolti a vari livelli nel sistema a rete, contemporanea divulgazione delle lineeguida, formazione con training formativi e d’aggiornamento;
3. attivazione globale del sistema con il preciso mandato di attenersi a quanto elaborato e indicato nei punti 1 e 2 , raccolta annuale dei dati epidemiologici sul transito/dimissione di soggetti in SV, SMC e nei vari gradi di disabilità, indicando i corretti codici di malattia, che dovranno confluire prima nel flusso regionale e, di seguito, nazionale.
Tutto il sistema deve essere governato dalla interdisciplinarietà, dalla integrazione professionale e strutturale nonché dalla sussidiarietà prevedendo in ogni fase la risposta a qualsiasi necessità diagnostico terapeutica del paziente.
In un sistema locale, dalla fase iperacuta, che vede già la collaborazione tra emergentisti, neurologi e fisiatri, si passa al successivo anello del percorso, cioé un livello ad alta valenza riabilitativa precoce, in un setting di assistenza subintensiva nel quale viene identificato un percorso di cura definito sulla base degli indicatori prognostici precoci (età, anamnesi, comorbilità, danni associati, indicatori neurofisiologici ).
Da questo livello, in funzione del quadro clinico, degli indicatori prognostici precoci (età, anamnesi, comorbidità, indicatori neurofisiologici, durata, scale validate e non etc.) il paziente potrà passare in un’area post-acuta a funzione di riabilitazione intensiva a breve termine, oppure in un’area di riabilitazione intensiva a lungo termine per pazienti a bassa responsività protratta o a lento recupero.
In sintesi si tratta di ricondurre i percorsi a quelli meglio corrispondenti ai contenuti assistenziali dei servizi che a tale condizione clinica andrebbero offerti, almeno come traguardo, in successione temporale.
Nell’organizzazione globale del sistema “coma to comunity” sono indispensabili:
- la presa in carico precoce e continuativa dei familiari, fin dalla fase acuta, con procedure informative strutturate, gestione psicologica professionale della situazione di "crisi", coinvolgimento nelle decisioni assistenziali e di percorso;
- strategie e programmi informazione/formazione all'assistenza dei familiari care givers;
- strategie per la tutela del nucleo familiare, la presa di consapevolezza e la riduzione del carico emotivo;
- il coinvolgimento attivo dei familiari nella decisione degli obiettivi riabilitativi;
- strategie di empowerment dei familiari tramite modalità operative e decisionali che riconoscano un loro ruolo specifico di "esperti della persona" nell'ambito del processo riabilitativo ed assistenziale.
In questo quadro possono assumere importanza anche lo sviluppo di segmenti di riabilitazione LTCR ( “long-term comprehensive” ) come setting specializzati per i pazienti in SV o in SMC a lento recupero.
Quanto finora espresso é imprescindibile per garantire la necessaria continuità delle cure, superare i problemi di insufficienza delle strutture, eliminare le situazioni di abbandono terapeutico ed assistenziale, assicurare il necessario sostegno alle famiglie in difficoltà anche per evitare il permanere inappropriato in strutture a maggiore complessità, non utili ai fini terapeutici e notevolmente costose.
Nella fase degli esiti, i pazienti provenienti dall’area di lungodenza piuttosto che dall’area di riabilitazione a lungo temine, qualora non fosse possibile il rientro al domicilio, potranno accedere ad un livello assistenziale all’interno di un nucleo dedicato all’accoglienza alla persona (SUAP – Speciali Unità di Accoglienza Permanente), che può essere mono o polivalente, ma, comunque, dedicato alle disabilità gravi e gravissime da patologia neurologica.
Le strutture che realizzano fasi protratte di degenza (lundodegenza dedicate, riabilitazione intensiva a lungo termine ed unità d’accoglienza alla Persona) devono essere caratterizzate da una peculiare organizzazione degli spazi, delle risorse umane, con apertura continua ai familiari e possibilità di convivenza e da progetti espliciti di presa in carico dei familiari.
Vista la complessità assistenziale di questi pazienti sarebbe inoltre auspicabile una rimodulazione della tariffa giornaliera per posto letto oltre a prevedere una forma specifica di incentivazione per le strutture che aderiranno al sistema.
Occorre che nel set delle professionalità dell’Unità di Valutazione Multiprofessionale (UVM) sia esplicitamente presente il riabilitatore (integrato nel sistema a rete) con una forte integrazione con il sistema locale.
Il sistema proposto prevede una rete di servizi mirata che si raccordi da un lato con la rete delle strutture per acuti e dall’altro con le strutture sanitarie e sociali territoriali prevedendo la interdipendenza ed integrazione fra centri di elevata specializzazione ed una rete di centri periferici in cui sia prevista la possibilità di indirizzare i pazienti al livello di cura più appropriato nell’ambito della rete per ogni fase del percorso clinico, e di usufruire di competenze specialistiche in modo distribuito nei diversi punti della rete stessa.
Lo sviluppo di tale modello dovrebbe permettere di utilizzare in modo appropriato ed efficiente le risorse delle diverse strutture, favorendo il trasferimento di conoscenze e la collaborazione fra il centro e le altre strutture della rete, valorizzando il patrimonio di esperienza già presente in molte di esse.
In analogia a quanto realizzato per altri problemi (p. es. trapianti), il sistema dovrebbe prevedere un Centro o Funzione Regionale di Riferimento e i “nodi” della rete, che nel loro insieme costituiscono il percorso per GCA. (16)
In particolare, come deliberato nel recente Piano di indirizzo per la riabilitazione, il Centro Regionale di Riferimento:
- predispone protocolli operativi per la acquisizione di dati epidemiologici;
- promuove ricerche cliniche ed esperienze controllate verso le nuove tecniche;
- garantisce e si fa carico della formazione, del perfezionamento e dell’aggiornamento dei professionisti;
- offre consulenza tecnica per la costruzione e sperimentazione di ausili, protesi e ortesi.
Il Centro o Funzione Regionale di Riferimento non è gerarchicamente sovraordinato, ma ha piuttosto funzione di osservatorio e banca dati ed è responsabile del controllo della corretta prassi diagnostico-terapeutica dei vari centri e della raccolta longitudinale dei dati, attraverso un database utilizzato da tutte le strutture. Il database dovrebbe contenere informazioni su dati clinici dei pazienti, valutazioni funzionali periodiche standardizzate, dati sulle cure, incidenza e indicatori di recupero delle GCA e in particolare degli SV e SMC, informazioni sull’eterogeneità neurofisiologica nei pazienti in SV e SMC e la rilevanza nella diagnosi, prognosi e risposta al trattamento, variazioni regionali nelle cure, analisi delle complicanze, costi e fattori che contribuiscono alle decisioni familiari.
I “nodi” della rete dovrebbero essere costituiti da:
A. Unità Operative intensive di prima accoglienza in fase acuta;
B. Unità Operative/aree o nuclei sub-intensivi ad alta valenza riabilitativa la cui gestione, come fattore imprescindibile, necessita di specifiche competenze in grado di assistere GCA in fase critica, integrate da un approccio interdisciplinare ed interprofessionale che vede il coinvolgimento degli specialisti necessari;
C. Unità Operative di Riabilitazione post-acuta: Alta specialità neuroriabilitativa per gravi cerebro lesioni acquisite con funzioni tipo hub (UGCA - Cod. 75); Riabilitazione intensiva e, ove previsto dalla programmazione ospedaliera regionale, Riabilitazione Estensiva, con funzione tipo spoke;
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D. Strutture territoriali.
*****
A . Unità Operative di prima accoglienza in fase acuta: Emergenza-Urgenza, Rianimazione, Neurochirurgia.
B . Unità Operative/aree, funzioni o nuclei sub-intensivi in fase sub-acuta: interagiscono con la Rianimazione e la Neurochirurgia per garantire l’approccio neuroriabilitativo tempestivo; danno rapida accoglienza al paziente ancora in fase acuta; definiscono la diagnosi e la prognosi; indirizzano, a stabilizzazione avvenuta, al livello di cura successivo. (17-19)
Si tratta di unità/aree, funzioni o nuclei collocabili, nell’attuale ordinamento, presso un DEA (Dipartimento di Emergenza e Accettazione) di II livello con tutte le specialità o alternativamente, in caso di diversa programmazione e sperimentazione regionale, in strutture organizzate ad hoc presso cui sono disponibili tutte le risorse necessarie ad identificare e trattare h. 24/24 in modo definitivo qualsiasi tipo di lesione e garantire le cure intensive a pazienti con problematiche polidistrettuali.
Tali unità/aree, funzioni o nuclei possono essere UGCA dedicate all’intervento subintensivo o unità subintensive multidisciplinari con competenze neurologiche e fisiatriche oltreché internistiche.
L’obiettivo è di raggiungere la stabilizzazione clinica, superare la fase delle complicanze frequenti, sottoporre il paziente a tecniche riabilitative precoci di attivazione per evitare le complicanze da deafferentazione ed immobilità, valutare a fini prognostici elementi utili ad indirizzare la persona in SV e SMC nel successivo corretto percorso assistenziale e riabilitativo.
C . Unità Operative di Riabilitazione post-acuta: Unità post-acuzie di alta specialità che trattano anche gravi cerebro lesioni acquisite (UGCA - Cod. 75), Unità di Riabilitazione Intensiva e Unità per successiva Riabilitazione Estensiva in grado di effettuare la presa in carico omnicomprensiva delle persone con GCA, presso cui sono disponibili tutte le risorse necessarie a trattare 24 ore su 24 in modo definitivo tutte le lesioni, menomazioni e complicanze con focalizzazione più specifica al recupero funzionale.
Hanno il mandato di prendere in carico direttamente pazienti provenienti dalle UO per acuti.
Devono disporre di adeguate risorse strutturali e di personale esperto, che permetta il monitoraggio delle funzioni vitali nell’immediata fase post-acuta, la gestione dell’affrancamento progressivo dalla nutrizione parenterale ed enterale (laddove possibile), la presa in carico globale del paziente con adeguati protocolli diagnostico terapeutici (indagini neurofisiologiche e di neuroimaging avanzate), nursing intensivo, riabilitazione foniatrica, training deglutitorio, rieducazione respiratoria, riabilitazione neuropsicologica, riabilitazione e gestione dei disturbi comportamentali, idrochinesiterapia, terapia occupazionale, terapia ortottica, riabilitazione urologica, assistenza sociale per le connessioni con le strutture territoriali, etc).
L’intero percorso riabilitativo deve essere accompagnato da un’equipe multidisciplinare e multiprofessionale che fornisce terapie individuali e di gruppo, include un team neuropsicologico dedicato al paziente e psicologico dedicato alla famiglia e prevede incontri sistematici e programmati tra l’équipe e il nucleo familiare.
Le Unità Operative di Riabilitazione ad Alta Specialità devono consentire l’accoglienza di tutte le GCA, prevedendo auspicabilmente unità separate per gli SV e di SMC con processo riabilitativo di tipo long-term (LTCR), consentire ai familiari di sperimentare la possibilità di evoluzione favorevole anche dei disturbi di coscienza più gravi e, soprattutto, devono disporre di tutte le risorse necessarie, dalle necessità di monitoraggio delle funzioni vitali e nursing specialistico alla presa in carico riabilitativa attiva: neuromotoria, foniatrica, neuropsicologica, ecc, fino al recupero delle autonomie possibili per le GCA in evoluzioni favorevoli, mirando alla integrazione nel precedente contesto di vita o al passaggio alle speciali unità di accoglienza permanente (SUAP), garantendo la necessaria integrazione con i MMG e le risorse socio-sanitarie del territorio.
Tali Unità devono inoltre disporre di Day Hospital o Ambulatori dedicati o predisporre, nei casi ad evoluzione meno favorevole, il trasferimento a strutture di lungo degenza specifiche come le SUAP o avviare il paziente verso domicili protetti o il proprio domicilio con un piano di assistenza domiciliare integrata, nei casi in cui la famiglia sia in grado di gestire e desideri la ridomiciliazione.
Nell’ambito del territorio il numero di Centri deve essere limitato in modo tale da concentrare presso le strutture un numero adeguato di pazienti, utilizzando le risorse disponibili in misura proporzionale ai loro costi.
Come indicato dalle Linee Guida Organizzative del 1998, dalla letteratura internazionale e dalla recente Consensus Conference (19) nazionale sul tema, le Unità per le GCA, debbono essere in grado, tramite una attività specificamente dedicata, di accogliere pazienti ad alta complessità e bisognosi di continuare in questa fase un adeguato trattamento di recupero e contenimento del danno.
Accanto a queste specifiche tipologie di Unità di Alta Specialità Riabilitava, il cui numero e dimensionamento dovrà giungere nel tempo più breve possibile a coprire la domanda espressa in termini di eventi, e che svolgono un ruolo specificamente integrato, si collocano tutte le Unità Operative di Medicina Riabilitativa, come integrazione e supporto all’offerta volta a coprire al meglio tutta la domanda di trattamenti intensivi di riabilitazione, nella logica di Rete integrata sopra espressa. Queste strutture possono essere di riabilitazione intensiva o estensiva.
D. Strutture territoriali che svolgono funzione per la gestione dei percorsi di de-ospedalizzazione e reinserimento delle persone con GCA e per la gestione di interventi riabilitativi erogabili con modalità domiciliare. Particolare attenzione va posta nell’organizzare adeguate soluzioni per quei pazienti che permangono in Stato Vegetativo prolungato o cronico, per i quali va agevolata la possibilità del rientro al proprio domicilio o incentivata nelle varie regioni l’attivazione di SUAP o di domicili protetti di nuova concezione.
FASE ACUTA (AREA INTENSIVA ) E FASE SUB-ACUTA (AREA SUB INTENSIVA DEDICATA PER GCA)
L’attuale sistema, in accordo con la miglior letteratura in materia (Linee- guida americane ed europee), prevede e sottolinea, come una vera necessità, la “precocità” della “presa in carico” dei pazienti con GCA, già dall’acuzie. Purtroppo, le normative di riferimento si limitano a definire l’importanza della valenza riabilitativa in fase acuta, senza definirne i termini organizzativi.
Nella fase acuta i pazienti sono ricoverati in ospedali per acuti, dove è importante la stabilizzazione del paziente, ma dove dovrebbe essere già avviato in parallelo l’approfondimento diagnostico sul disturbo di coscienza e la valutazione continua degli indicatori prognostici.
Le unità operative/ o aree (nuclei) dedicati, a carattere semintensivo e ad alta valenza riabilitativa, la cui gestione, come fattore imprescindibile, necessita di specifiche competenze in grado di assistere GCA in fase critica, integrate da un approccio interdisciplinare ed interprofessionale che
vede il coinvolgimento degli specialisti necessari e delle professioni sanitarie, sono l’anello di congiunzione tra le UO di prima accoglienza (Rianimazione, Neurochirurgia) e le Unità per GCA post-acuzie (UGCA).
Viene indicata la possibilità che le rianimazioni trasferiscano pazienti ancora instabili, minimizzando i tempi di permanenza nelle terapie intensive, che non necessitano più di cure intensive (condizioni di insufficienza multiorgano) in aree di terapia sub-intensiva, che devono rispondere all’esigenza di accogliere pazienti ancora instabili, con sepsi, necessità di completare un iter chirurgico e che in ogni caso non corrispondono ai criteri di stabilizzazione definiti dalla Consensus Conference di Modena del 2000 (20).
Il gold standard dell’assistenza ai pazienti prevede, dunque, dopo il periodo trascorso in reparti di Rianimazione, il rapido passaggio ad aree semintensive, caratterizzate dalla capacità di affrontare i problemi clinici e riabilitativi di un paziente neurologico ancora instabile e ad alto rischio di complicazioni, se pur autonomo dal punto di vista respiratorio.
La fase semi-intensiva dedicata é un anello importante e parte integrante del percorso dedicato alle GCA. Permette di effettuare il bilancio lesionale e funzionale, contribuire alla diagnosi e alla prognosi, dare l’avvio al piano di trattamento individuale di riabilitazione, promuovere la riattivazione delle funzioni corticali stimolando in forma appropriata la plasticità neuronale, favorire il recupero, controllare le complicanze, dare supporto alle famiglie, selezionare il percorso adeguato e garantire l’ulteriore tappa.
Precisare i criteri in base ai quali giungere alla diagnosi, alla classificazione, alla terapia ed alla prognosi dello stato di coma e dello stato vegetativo costituisce ancor oggi un problema di grande interesse e di soluzione assai complessa.
Conoscere a fondo questi pazienti significa riconoscere e prevenire le numerose cause di deterioramento neurologico secondario. Limitare al massimo i “danni”, potenzialmente prevenibili:
“Every bit of brain matter saved increases function and the possibility that neural plasticity will contribute to a greater recovery ”.
Non basta comprendere un esame e conoscere i problemi nel loro corso, ma anche certi cambiamenti fisiologici dell’attività cerebrale e neuromuscolare, e delle tecniche connesse, che sono il contesto della terapia riabilitativa in fase acuta.
E’ necessario evidenziare che questi pazienti non subiscono solo o soltanto i postumi dell’evento acuto ma effetti a caduta, talvolta silenti, e problematiche ulteriori che si sviluppano nel corso del tempo, ma che possono essere individuati in anticipo, da una osservazione clinica esperta e ravvicinata, potendo beneficiare così di un rapido intervento che, in altra situazione ospedaliera non specializzata, non sarebbe possibile.
Le alterazioni del sistema cerebrale provocano problemi che altre malattie non producono.
Queste problematiche devono farci considerare sempre di più le differenze tra i pazienti neurologici e gli altri pazienti acuti. (21)
Allo stesso modo, esiste la necessità di accogliere le famiglie, che pur se normalmente sono in grado di comprendere i disturbi più comuni, trovano difficile capire e trattare con un paziente che è neurologicamente e gravemente compromesso.
Il contatto con le famiglie di questi malati è in genere molto complesso.
La difficoltà di comprensione del disturbo neurologico e delle complicanze da parte della famiglia crea ansia e paura più di quanto accada con altre patologie. Mobilità, comunicazione e processi cognitivi scompaiono, lasciando i pazienti in una situazione di totale dipendenza dagli altri.
L’imprevedibilità e gravità della maggior parte delle lesioni cerebrali impedisce ai familiari di avere tempo per esprimere al paziente i loro sentimenti e ciò produce stress e deprime più di ogni altro serio problema di salute, se non è trattato in maniera competente dallo staff medico.
A fare la differenza, infatti, è anche la capacità di guidare e coinvolgere attivamente le famiglie attraverso queste difficili fasi.
La familiarità con questi problemi è fondamentale per garantire il successo e ha bisogno di uno staff che garantisca un livello professionale alto ed uno di esperienza personale altrettanto importante.
Le caratteristiche di queste aree semintensive debbono corrispondere a quelle previste per le strutture subintensive.
In tali aree dovrebbe essere iniziato quanto prima un percorso riabilitativo e diagnostico senza tuttavia la pretesa di esaurire quest’ultimo con il rischio di ritardare l’invio ai reparti di riabilitazione post-acuta intensiva.
Già da questa fase l’autorizzazione ad una maggiore presenza dei familiari accanto al paziente potrebbe consentire il contenimento della deprivazione sensoriale creata generalmente dalle Terapie Intensive. Del resto già negli Stati Uniti e in molti paesi europei l’accesso dei familiari alle Intensive Care Unit (ICU) è molto più libero e aperto di quanto avviene nelle strutture di rianimazione italiane.
Si ritiene pertanto che, salvo situazioni particolari (complicanze respiratorie, settiche, chirurgiche, neurochirurgiche, ortopediche protratte) i pazienti non debbano rimanere in tali strutture (rianimazioni ed aree subintensive) piu’ di 30 giorni. L’obiettivo infatti è quello di ridurre i tempi di permanenza dei pazienti nei reparti di cure intensive fino a completa rispondenza dei criteri di trasferimento nelle UGCA.
Non si può però avere una posizione a priori sul fatto se le Unità sub-intensive debbano essere all’interno dei DEA o in strutture organizzate ad hoc: entrambe le soluzioni potrebbero essere valide, ma categoricamente dipendenti da molteplici fattori locali, non ultimo dei quali l’effettivo set di competenze presenti. Sembra più opportuno rinviare questo aspetto alla programmazione e sperimentazione regionale. Quello che invece si ritiene necessario sottolineare è che qualunque soluzione si adotti, questa deve rientrare in un “percorso” ben organizzato e istituzionalizzato dove le competenze specialistiche interagiscano in modo non formale e dove sia sempre assicurata la presenza della componente neuroriabilitativa in tutti i suoi aspetti, con l’agibilità di risorse umane e ambientali idonee per la gestione di programmi precoci.
FASE POST-ACUTA: UNITÀ PER RIABILITAZIONE POST-ACUZIE DI ALTA SPECIALITÀ (UGCA - COD. 75), UNITÀ DI RIABILITAZIONE INTENSIVA E UNITÀ PER RIABILITAZIONE ESTENSIVA
Quale sia, all’interno delle UGCA, la soluzione organizzativa più efficace è ad oggi impossibile stabilirlo con certezza e deve essere necessariamente oggetto di una verifica delle esperienze. In ogni caso l’accento deve rimanere su un Sistema Integrato “Coma to Community” caratterizzato da una forte governance clinica. Stante la scarsità di modelli consolidati in Italia, parrebbe essere necessario qualche grado di libertà nella sperimentazione regionale e locale delle soluzioni. In una ipotesi organizzativa coerente il paziente, una volta terminata la fase acuta determinata dai criteri di stabilizzazione clinica (20), dovrebbe essere accolto nelle Unità che seguono anche le Gravi Cerebrolesioni Acquisite post-acuzie (UGCA), dove il percorso si dovrebbe articolare su vari livelli assistenziali.
E’ comunque da sottolineare che i criteri di età, etiologia e pluripatologia non precludono in assoluto il trasferimento verso le UGCA.
Il gruppo di lavoro ha discusso a lungo e ha, infine, concordato che le UGCA si debbano dotare di particolari unità a maggior intensità di trattamento e sorveglianza per l’accoglimento di pazienti più complessi, purché tali strutture siano in continuità con un percorso riabilitativo previsto all’interno delle UGCA. Tale affermazione è in linea con quanto espresso dalle linee guida per la riabilitazione (Maggio 1998).
Il termine per definire queste aree più intensive all’interno delle UGCA potrebbe essere “aree per SV e SMC”.
All’interno di tali unità debbono essere garantite competenze, organizzazione e spazi in grado di agevolare il recupero della coscienza attraverso una regolazione degli stimoli. Tali sub unità dovrebbero avere una dimensione congrua. Per una maggior definizione degli aspetti organizzativi sarebbe opportuno definire standard precisi di attrezzature e personale dedicato assieme a protocolli sulla gestione clinica e riabilitativa di queste persone.
Le aree per SV e SMC, o LTCR, inserite nelle UGCA hanno come mandato quello di ricoverare questi pazienti in fase precoce, riducendo i tempi di ricovero nelle Unità di Cure Intensive. Per rispondere a questo mandato non è opportuno che tali reparti ricoverino pazienti in SV o SMC in fase di cronicità, salvo il perseguimento di obiettivi specifici definiti da specialisti della rete di assistenza e cura (un esempio è la valutazione e le attività connesse alla rimozione di una cannula, oppure una rivalutazione in ambiente specialistico in caso di modificazioni dello stato di vigilanza/coscienza).
In riferimento alle condizioni cliniche, dovrebbero essere garantiti percorsi riabilitativi diversificati in base ai bisogni e agli obiettivi di recupero: quello “Long Term Comprehensive Rehabilitation” (LTCR) è rivolto ai pazienti slow-to-recover (degenza misurabile in mesi).
I pazienti in condizioni di bassa responsività protratta (SV e SMC) rientrano in questa seconda tipologia di bisogno riabilitativo. La distinzione non è fondata sulla diagnosi clinica, né deve implicare nuove tipologie di strutture, ma sulla peculiare tipologia di bisogni clinici, di percorso e di setting, nonché sulla rilevanza che assume il tema della presa in carico della famiglia.
All’uscita dal percorso riabilitativo ospedaliero, i pazienti che permangono in stato di grave alterazione della coscienza, dopo aver effettuato congrui periodi di cura e riabilitazione, quando l’inquadramento diagnostico sia esaurito, il programma terapeutico sia stato definito, il quadro clinico sia stabilizzato, si strutturano più percorsi verso il domicilio, dove possibile, ma possono essere avviati, a seconda delle condizioni cliniche e della capacità di supporto della famiglia o alle SUAP o a domicili protetti di nuova concezione.
Anche in questo percorso è necessario attuare una speciale attenzione nei confronti del recupero dello stato di coscienza con un costante monitoraggio dei pazienti ed una pari attenzione ai familiari ed al loro percorso di elaborazione.
E’ fondamentale che le sedi di accoglimento territoriali siano in collegamento funzionale con le pluri-specialità necessarie alla corretta gestione dei pazienti.
Il percorso complessivo per GCA non dovrebbe abitualmente superare i 12 mesi per i traumatici ed i 6 mesi per i non traumatici.
Le evoluzioni particolarmente favorevoli possono consentire un passaggio verso trattamenti in DH (Day Hospital).
Come detto precedentemente, i pazienti che permangono in stato di grave alterazione della coscienza, dopo aver effettuato congrui periodi di cura e riabilitazione, quando l’inquadramento
diagnostico sia esaurito, il programma terapeutico sia stato definito, il quadro clinico sia stabilizzato e vi sia una indimissibilità, possono trovare accoglienza nelle strutture descritte di seguito.
FASE DEGLI ESITI
Lo Stato Vegetativo veniva definito "permanente" implicando, in questo caso, un concetto di irreversibilità e, quindi, di prognosi negativa per il recupero a distanza di dodici mesi dall'evento. (22)
Da molti anni è stato convenzionalmente stabilito che l’aggettivo "permanente" non può e non deve essere usato dal momento che, anche se in forma sporadica, si è assistito ad evoluzioni cliniche, invece il termine permanente implica una certezza di immodificabilità della non responsività che non può essere data per scontata e che rischia solo di affievolire ogni interesse per il paziente.
Viene usato invece il termine Stato Vegetativo prolungato o cronico, con l’indicazione della durata.
Tale fase, che subentra solitamente dopo alcuni mesi (3-6 per pazienti non traumatici e 12 per i traumatici), è caratterizzata da non evidenti modificazioni o da modificazioni molto limitate del quadro neurologico e della coscienza.
L’attivazione di percorsi domiciliari interessa quelle persone in cui persiste una condizione di bassa responsività e le cui necessità assistenziali non sono più tali da impedirne l’affidamento all'ambiente extrasanitario.
E’ opinione condivisa che la mancanza di un percorso di rete efficiente e di un progetto che si delinei all’interno del percorso precedentemente descritto crea enormi difficoltà ai reparti di riabilitazione, specialmente di alta specialità (Cod. 75) nella dimissione di pazienti “cronici”. Come sottolineato dalla Consensus Conference di Verona del 2005, uno degli anelli fragili della catena per queste condizioni è la carenza di strutture e percorsi non ospedalieri che consentano appunto la gestione della cronicità.
Infatti, in mancanza di strutture e percorsi chiaramente definiti, la proposta di dimissione risulta difficilissima anche per le implicazioni di tipo familiare. Inoltre, affermare che più il quadro (sia esso SV o SMC) si cronicizza, meno è necessario un intervento riabilitativo, risulta inaccettabile per i familiari che, in assenza di una prospettiva assistenziale di qualità, avvertano la situazione del congiunto come una condizione di abbandono terapeutico.
Anche il termine “cronicità” non definisce il quadro clinico di riferimento ma, solo il decorso temporale delle malattia. Non va interpretato in forma rigida e non soltanto per l’impatto devastante che ha per la famiglia. Infatti, come sottolineato dalle Associazioni delle famiglie dei pazienti, il termine “cronicità” molto spesso non evoca la necessità di accompagnamento, condivisione, presa in carico, ma molto più semplicemente rimanda a termini come “parcheggio”, “attesa di fine vita” e tutte la terminologia che i media possono coniare nelle definizioni di “non mondo”, “non vita” o “altro.”
E’ necessario, comunque e sempre, nella gestione di tali pazienti garantire un sistema di monitoraggio dello stato di coscienza e documentare la loro responsività e/o la loro evoluzione da parte di specialisti neurologi esperti in riabilitazione e fisiatri esperti in riabilitazione neurologica.
Sembra a questo punto non solo opportuno, ma fondamentale e significativo, introdurre una nuova concezione dei pazienti in SV o SMC, sostenuta anche dalle Associazioni delle famiglie. Secondo queste, infatti, è “importante e innovativo iniziare a sviluppare il concetto, per cui una persona in SV, in particolare quella che raggiunge la stabilità clinica, non debba essere più considerata “malato o paziente”, bensì persona con “gravissima” disabilità che, al pari di altre con gravissime patologie croniche, può seguire terapie di prevenzione, mantenimento e cura presso strutture non sanitarie. Tale considerazione è da ritenersi importante sia per legittimare la richiesta di passaggio di una persona in SV o SMC a strutture di carattere “non prettamente sanitario”, sia per “agevolare” e predisporre gli aspetti psichici e psicologici della famiglia coinvolta ad una migliore comprensione dello stato del suo congiunto e della sua nuova realtà e quindi ad una sua predisposizione per un ritorno a casa del congiunto o per un suo passaggio ad altra struttura.
E’ chiaro ed evidente che la fase di passaggio ad altra struttura non sanitaria di persone con disabilità gravissime (quali quelle in SV o SMC) costituisce una fase molto delicata che necessita di indispensabili strumenti sociali e sanitari di supporto alla persona e alla famiglia”.
Le soluzioni che il gruppo di lavoro individua sono:
1 . DOMICILIO
2 . SPECIALI UNITÀ DI ACCOGLIENZA PERMANENTE (SUAP)
3 . RESIDENZE DOMICILIARI PROTETTE
1. DOMICILIO ( Reinserimento domiciliare)
L’esigenza di prendere in esame e mettere definitivamente a fuoco un percorso assistenziale specificamente dedicato alle persone in condizioni di stato vegetativo è strettamente collegata all’evidente impatto sociale che esse determinano e alle difficoltà crescenti che l’offerta attuale da parte delle istituzioni sanitarie, sia pure con le solite eccezioni virtuose, determina in termini di oneri assistenziali a carico delle famiglie nelle quali è presente una persona in stato vegetativo:
oneri tanto più pesanti quanto più marcate sono le deficienze strutturali ed organizzative dei servizi sanitari e lacunosi e disomogenei i programmi di assistenza domiciliare integrata da parte dei servizi socio-sanitari del territorio. A queste considerazioni si deve aggiungere la difficoltà di coinvolgere e coordinare nel percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale le numerose figure professionali impegnate nelle diverse fasi della condizione di stato vegetativo.
La complessità della problematica è affrontabile in maniera efficace ed efficiente se improntata ai seguenti principi generali:
A. Il percorso assistenziale della persona in stato vegetativo in assistenza domiciliare deve caratterizzarsi per la complessità e la diversificazione della intensità degli interventi in relazione alla evoluzione della condizione, all’evenienza di complicanze e al contesto familiare e socio-ambientale. Per queste ragioni è indispensabile individuare con chiarezza le diverse criticità e gli interventi da mettere in campo in relazione ad esse.
B. La continuità assistenziale tra l’assistenza domiciliare e le altre forme di assistenza sanitaria alla persona in stato vegetativo deve basarsi sulla consapevolezza che sono fondamentali l’integrazione degli interventi per uno stesso paziente e il coordinamento fra soggetti, strutture e servizi, secondo la modalità di rete e di presa in carico globale.
C. La centralità e l’unitarietà della persona devono rappresentare elementi imprescindibili per l’organizzazione dell’intervento assistenziale domiciliare.
È sentita, pertanto, come indifferibile l’esigenza di mettere a punto un sistema integrato che parta dai Medici di Medicina Generale (MMG) e dai Pediatri di Libera Scelta (PLS) che possa costituire lo snodo tra il paziente, la famiglia e gli operatori del sistema.
L’obiettivo deve essere quello di integrare l’assistenza domiciliare nella più complessiva rete assistenziale che garantisca, attraverso un continuo feed-back, l’attuazione per ciascun paziente del proprio specifico percorso assistenziale ed il suo continuo aggiornamento in relazione all’evolversi della condizione.
Risulta pertanto necessario che al paziente in assistenza domiciliare venga garantita:
- un’ampia condivisione dei dati del paziente tra i vari operatori del sistema;
- una regia unitaria capace di coniugare efficacia, qualità e tempestività degli interventi;
- la “rete” assistenziale, sia in termini di struttura che in termini di collegamento operativo tra tutte le figure professionali coinvolte;
- la promozione di iniziative atte a facilitare l’accesso periodico alle strutture specialistiche ed ospedaliere per la effettuazione di prestazioni sanitarie richieste dal medico curante;
- la promozione di forme avanzate di integrazione sociosanitaria anche supportate con forme di attribuzione mensile alle famiglie di risorse finanziarie eventualmente rese disponibili dal sistema regionale dei servizi sociali.
Il rientro nel proprio domicilio, laddove possibile, deve essere incentivato in particolare per i soggetti giovani. A fronte di tale auspicio occorre tuttavia segnalare come il carico assistenziale (con il devastante coinvolgimento emozionale, relazionale, di tempo e di risorse economiche) sia molto elevato come risulta dai dati presentati nella Consensus Conference di Verona 2005 (media di 90 ore assistenza settimanali). Prima del rientro a domicilio è dunque necessario che il team riabilitativo delle UGCA Cod. 75 o delle altre strutture di ricovero valuti la capacità della famiglia di poter gestire tali situazioni a domicilio, previa attivazione di tutta la rete di supporto logistico/organizzativo necessaria. Preso atto della situazione clinica, per organizzare il rientro domiciliare in condizione di protezione deve, quindi, essere precocemente attivata l’Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM) (medica, infermieristica, fisioterapica, sociale) del territorio/ASL della persona in SV, SMC o con grave disabilità, esiti tutti di gravi cerebrolesioni acquisite.
All’interno della UVM deve esserci un medico specialista in riabilitazione con specifiche competenze neurologiche o neurologo con specifiche competenze riabilitative che fa parte del sistema a rete dedicato alle gravi cerebrolesioni acquisite e che veicola e garantisce la continuità delle cure nonché rappresenta le necessità assistenziali.
Compiti della UVM:
- valutazione sociale e psicologica del nucleo familiare;
- valutazione del domicilio e degli adattamenti necessari;
- definizione del programma personalizzato socio-sanitario (incluso nursing specialistico);
- definizione del programma di dimissione protetta verso il domicilio;
- valutazione dei bisogni per nutrizione artificiale e gestione della cannula tracheostomica;
- informazione ai famigliari sui servizi territoriali forniti con specifica “carta dei servizi”;
- valutazione dei bisogni di ausili e sussidi indispensabili;
- identificazione del case-manager della persona in SV o SMC;
- previsione di periodi programmati di accoglienza temporanea presso strutture dedicate;
Servizi forniti alla famiglia:
- i Servizi territoriali dell’ASL e del Comune di residenza forniscono assistenza domiciliare integrata, sanitaria e sociale, nell’ambito di uno specifico progetto individuale concordato con la famiglia, elaborato sulla base dei bisogni del paziente, delle esigenze della famiglie e delle risorse attivabili nel territorio di riferimento;
- il servizio di riabilitazione domiciliare (1° livello) della ASL può fornire interventi di riabilitazione di mantenimento a giudizio del fisiatra del servizio medesimo;
- è compito del Medico di medicina generale verificare periodicamente o su chiamata eventuali necessità sanitarie intercorrenti;
- il Servizio Territoriale verifica periodicamente la situazione psicologica e sociale della famiglia e individua eventuali necessità e provvedimenti;
- il Servizio Territoriale programma anche eventuali modifiche di percorso della persona con SV e SMC quando necessari o consigliabili;
- laddove possibile, la persona con SV e SMC deve poter essere accolta per 1-2 volte a settimana presso un centro diurno territoriale, sia con finalità socializzante che per consentire al care-giver di potersi assentare da casa.
E’ inoltre opportuno che:
- i familiari abbiano punti di riferimento (Cod 75 o 56) per eventuali bisogni valutativi in ordine al cambio di programma (ausili, comunicazione, interventi chirurgia funzionale etc.);
- su indicazione del Medico di medicina generale, il Servizio Territoriale dell’ASL di residenza fornisca direttamente al domicilio del paziente le visite specialistiche, i servizi per prelievi ematici e controlli e, laddove possibile, i servizi di indagine clinica da effettuarsi con apparecchiature trasportabili/mobili quali: ecografie, radiografie, ECG;
- i Servizi Territoriali delle ASL di appartenenza regionale e i relativi distretti seguano tutte un unico “protocollo” nella fornitura dei servizi per cui sono preposti evitando “difformità” di comportamenti e nella fornitura di servizi;
- i Servizi Territoriali delle ASL snelliscano l’attuale iter burocratico previsto per la categoria delle persone in SV e SMC; ciò potrebbe consentire una riduzione della pressione e degli oneri gravanti sulle famiglie (esempio: evitare di sottoporre a verifica trimestrale lo stato di una persona in SV o in SMC per confermare prescrizioni di fornitura di ossigeno, pannoloni e traverse, presidi di consumo etc.). Tale compito potrebbe o dovrebbe essere delegato al Medico di medicina generale, a cui compete, tra l’altro, la prescrizione delle forniture dei materiali di consumo;
- è opportuno prevedere un contributo per l’abbattimento delle barriere architettoniche ed adeguamento degli ambienti in conformità con le indicazioni date direttamente dalla ASL di competenza.
2. SPECIALI UNITÀ DI ACCOGLIENZA PERMANENTE (SUAP) PER SOGGETTI IN SV O IN SMC
Il Gruppo di lavoro ha ritenuto necessario attribuire il concetto di cronicità alle strutture e non alla persona suggerendo di correggere il termine di Stato Vegetativo Permanente che in alcune regioni contraddistingue tali unità. Le SUAP, strutture intermedie che seguono i soggetti in Stato vegetativo e SMC prolungati devono essere separate e distinte da aree di degenza ordinaria e dai reparti di riabilitazione intensiva o estensiva o di riabilitazione per Gravi Cerebrolesioni Acquisite.
Esse debbono essere aree/nuclei con spazi specifici, anche in caso di coesistenza in uno stesso contenitore, in grado di favorire una risposta adeguata e personalizzata ai bisogni di questi pazienti.
Si stima che vi debba essere una necessità di almeno 30/40 letti per milione di abitanti in tali unità.
Le SUAP dedicate ai soggetti in SV devono ottemperare a precisi requisiti tecnici, strutturali e di personale. L’accesso alle SUAP può essere effettuato, alla luce di un preciso progetto individuale, direttamente da reparti di riabilitazione e/o lungodegenza o da strutture riabilitative per GCA (Cod. 75) o dal domicilio per periodi di sollievo, nell’ambito del progetto individuale formulato dalla Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM) territoriale attivata nell’ASL di residenza.”
Non costituiscono criteri di esclusione per l’accesso:
- la presenza di cannula tracheostomica;
- la nutrizione enterale;
- la comorbilità;
- la presenza di piaghe da decubito;
- la famiglia “debole” o assente.
Le SUAP devono essere inserite in un sistema di rete regionale integrato con i reparti ospedalieri e con il territorio anche per garantire una distribuzione geografica equilibrata.
3. DOMICILI PROTETTI
Si tratta di strutture prettamente sociali, case di accoglienza dove coabitano in un domicilio comune più persone in SV o SMC, che recentemente stanno nascendo come modello teorico grazie alle iniziative di singoli professionisti del settore in collaborazione con associazioni di volontariato e con gli enti locali (comune, regione, ASL).
Si tratta di modelli di assistenza integrata dove la ASL territoriale garantisce le competenze sanitarie di assistenza domiciliare e il supporto gestionale viene fornito dal comparto sociale, da associazioni di volontariato, dalle famiglie stesse, tutti sottoposti preventivamente ad adeguato training formativo.
Le modalità relative all’accesso e il “governo” presso queste strutture sono di competenza di commissioni sanitarie e sociali (tipo UVM). Il paziente dimesso con i criteri e le regole del reinserimento domiciliare, viene ospitato previa approvazione di una apposita commissione.
Si configura non solo come luogo di residenza, tutela ed assistenza per persone con totale assenza di autonomia ma, anche come luogo di servizi psico-sociali a sostegno della famiglia, ponendosi, nell’ambito dei servizi rivolti ai soggetti in SV e in SMC, come sostituto stabile o temporaneo al servizio di assistenza domiciliare convenzionale.
Oltre a posti di residenza stabili, possono essere dotate di “posti di sollievo” e di “transito”.
In questo caso le persone dovrebbero fissare il loro domicilio presso queste strutture temporaneamente per un periodo non superiore ai 2 mesi.
Anche la funzione di questi posti letto va ad assumere un valore fondamentale nel percorso assistenziale per persone in SV o SMC.
Queste strutture dovrebbero prevedere anche la possibilità di pernottamento di un familiare presso la struttura.
PRIORITA' e RACCOMANDAZIONI
Dall’analisi fisiologicamente connessa alla attuale realtà e in linea non solo con le indicazioni del PSN, ma anche con i LEA che incentivano l’individuazione di percorsi terapeutici è, ormai da tempo emersa, la necessità di direttive nazionali per definire i percorsi di cura e incentivare lo sviluppo di reti regionali assistenziali dei pazienti in SV e SMC.
Per assolvere correttamente alle necessità specifiche e rendere efficiente il sistema, si ritiene opportuno sottolineare la necessità di un tavolo di lavoro che, in collaborazione tra esperti della materia, con gli assessorati alla sanità regionale, comunale e una rappresentanza nazionale delle associazioni, in uno stato di sinergia operativa, avvii un programma sia di interventi progressivi sia l’individuazione di indispensabili linee di ricerca.
In particolare gli interventi necessari sono:
- riconoscimento dei sistemi di assistenza primaria alle persone in SV e SMC;
- regolamento ministeriale per l’individuazione degli standard qualitativi (strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito) e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza - legge n. 311 del 2004 (art. 1, comma 169) - con l’intento di integrare e specificare i LEA sul versante attuativo, assicurarne una erogazione omogenea tra le diverse aree del territorio evitando disparità dei costi sostenuti (dalle singole Regioni) e nel trattamento riservato ai cittadini (con differente residenza);
- valutazione analitica e critica dei sistemi di finanziamento delle strutture attualmente attive con particolare riferimento alla adeguatezza e congruità delle differenti tariffe basate sulla complessità o sulla tipologia di pazienti ed intensità degli interventi erogati sia in regime di ricovero h 24 e diurno;
- ricognizione delle risorse finanziarie ed umane impiegate nell’assistenza alle persone in SV e SMC;
- processi di coerente collegamento in rete tra presidi ospedalieri e tra questi e le strutture territoriali;
- definizione degli standard in caso di mancata definizione da parte delle Regioni dei tempi di attesa per le singole prestazioni rientranti nei LEA. legge n. 266 del 2005 (l. finanziaria per il 2006) e legge n. 311 del 2004;
- programmi di sviluppo della rete dei servizi territoriali, nonché programmi incisivi per il grado di appropriatezza;
- valutazione efficacia degli specifici interventi riabilitativi;
- sviluppo attraverso adeguate politiche di aggiornamento e formazione del “governo clinico”;
- integrazione professionale come elemento imprescindibile per l’esistenza e il buon funzionamento di un sistema di assistenza primaria, in funzione di una presa in carico efficace nelle varie fasi cliniche ivi compresa la cronicità;
- implementazione del sistema informativo finalizzato all’incremento non solo dell’efficienza ma anche della qualità;
- rilevazione dell’impatto clinico ed economico dei comportamenti professionali sugli obiettivi del sistema.
La progettazione e la realizzazione di servizi adeguati è condizionata da fattori eterogenei:
- carenza di dati epidemiologici;
- differenti modalità d’osservazione, trattamento e registrazione dei dati;
- differenti criteri e metodiche di supporto al clinico per definire l’outcome dello SV e SMC.
Infine, anche i limiti delle conoscenze sul funzionamento del cervello e sulla fisiopatologia della coscienza nello stato di Coma e nelle gravi alterazioni dello stato di Coscienza, continua a presentare delle grandi difficoltà, con le immaginabili conseguenze nelle ricadute della pratica clinica.
Anche dal punto di vista dell’efficienza e dell’appropriatezza dei modelli assistenziali è, pertanto, indispensabile, come precisato in altre parti di questo report, sostenere nuove frontiere e prospettive nella ricerca, per l’individuazione di criteri diagnostici, prognostici e di best practices.
Nel proporre lo studio di pazienti in coma o in SV e in SMC, cioè in stati neurologici a basso livello di responsività, si compie una scelta etica fondata sia sul rispetto della persona, sia sul duplice rifiuto dell’abbandono assistenziale e dell’accanimento terapeutico.
Si tratta di un aspetto cruciale nella organizzazione dell’assistenza alle persone con grave disabilità, prima di tutto per garantire a questi soggetti la certezza diagnostica, ma anche per garantire funzionalità ed efficienza complessiva alla rete delle strutture dedicate a questo settore.
Tale scelta ha delle ricadute non solo pratiche, ma anche etiche di enorme rilevanza, soprattutto per quelle condizioni drammatiche in cui la condizione clinica di SV o di SMC si protrae indefinitamente.
Il miglioramento dei modelli assistenziali e la ricerca scientifica sugli stati neurologici a basso livello di responsività possono offrire un importante contributo per far crescere appropriatezza ed efficienza in sanità, per garantire maggiori livelli di giustizia per tutti i cittadini, fondati su principi di equità e solidarietà all’interno del corpo sociale, e per far avanzare il livello complessivo di civiltà del Paese.
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