Fecondazione e DNA - E’ VIta (Avvenire) 10 maggio 2012, Carlo Bellieni
Sarà un caso, ma mentre
all’estero ne parlano tutti, in Italia sembra che il problema non debba
esistere. Ma i dati ormai parlano chiaro: in media i bambini nati da
fecondazione in vitro (Fiv) hanno più rischi di malformazioni e anomalie
congenite della popolazione generale. Già questo dato era stato mostrato da
tanti studi, analizzati nel luglio 2007, dalla rivista Lancet che concludeva
che i bambini Fiv hanno un 30% di rischio in più di altri di nascere con
anomalie fisiche di vario tipo. Ora uno studio pubblicato nel New England
Journal of Medicine mostra che il tasso di malformazioni nei bambini nati da
Fiv è dell’8,3%, di cui quelli nati con la tecnica Icsi è del 9,8%, mentre
nella popolazione generale è del 5,6%. Inoltre, per la Icsi il rischio sembra legato
più alla tecnica che ad altri fattori predisponenti. Lo studio riguarda 300mila
nascite ed è stato eseguito in Australia. Anche uno studio dall’altra parte del
mondo, fatto da studiosi iraniani, mostrerebbe che nei nati da fecondazione in
vitro c’è circa più del doppio di malformazioni rispetto alla popolazione
generale: il 7% rispetto al 2-3%.
Sono dati che necessitano di una
precisazione: più del 90% del nati da Fiv non ha malformazioni e anche di
quelli con malformazioni la maggior parte non ha un impatto sulla salute; lo
sottolineiamo perché non vogliamo dare queste informazioni per spaventare (i
dati ognuno li interpreti come vuole), ma per sottolineare una domanda di
metodo: è bene mettere in commercio una tecnica che ha questi rischi? Ed è bene
che i genitori accettino il rischio stesso, come se le conseguenze eventuali le
portassero loro e non in primo luogo il figlio? Se questo livello di insuccessi
fosse stato mostrato scientificamente per interventi medici meno osannati dai
mass-media e dalla politica, certo si sarebbe preteso un livello di cautela e
di precauzione massimo con azzeramento dei rischi: tanta fretta invece ci pone
vari interrogativi.
L a raccomandazione a non
esagerare con l’ingresso della medicina nelle profondità della vita non è solo
un consiglio morale perché la vita non è nostra; dipende anche dal fatto che
queste profondità come scatole cinesi: una ne porta un’altra in sé, in un
cammino senza fine. Chi conosce in fondo il Dna? Forse qualcuno pensa di aver
capito davvero come funziona dopo averlo mappato? E non pensiamo che al
problema grave della sterilità si debba rispondere con più prevenzione – che
invece latita – e non solo con le tecniche di laboratorio? La manipolazione
dell’embrione sembra essere davvero un rischio per la sua salute. Già
ecologisti come Enzo Tiezzi avevano messo in guardia sull’ingresso tecnico nel
Dna, il motore della cellula e dunque dello sviluppo umano. Ormai sappiamo che
l’ambiente non lascia indifferente il Dna, ma addirittura la luce o le variazioni
in concentrazioni di ossigeno o del terreno di coltura possono alterare il modo
in cui il Dna «parla». Si chiama epigenetica ed è una nuova branca della
biologia, e inizia a spiegarci certi rischi che riscontriamo.
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