venerdì 11 maggio 2012


Fecondazione e DNA - E’ VIta (Avvenire) 10 maggio 2012, Carlo Bellieni

Sarà un caso, ma mentre all’estero ne parlano tutti, in Italia sembra che il problema non debba esistere. Ma i dati ormai parlano chiaro: in media i bambini nati da fecondazione in vitro (Fiv) hanno più rischi di malformazioni e anomalie congenite della popolazione generale. Già questo dato era stato mostrato da tanti studi, analizzati nel luglio 2007, dalla rivista Lancet che concludeva che i bambini Fiv hanno un 30% di rischio in più di altri di nascere con anomalie fisiche di vario tipo. Ora uno studio pubblicato nel New England Journal of Medicine mostra che il tasso di malformazioni nei bambini nati da Fiv è dell’8,3%, di cui quelli nati con la tecnica Icsi è del 9,8%, mentre nella popolazione generale è del 5,6%. Inoltre, per la Icsi il rischio sembra legato più alla tecnica che ad altri fattori predisponenti. Lo studio riguarda 300mila nascite ed è stato eseguito in Australia. Anche uno studio dall’altra parte del mondo, fatto da studiosi iraniani, mostrerebbe che nei nati da fecondazione in vitro c’è circa più del doppio di malformazioni rispetto alla popolazione generale: il 7% rispetto al 2-3%.


Sono dati che necessitano di una precisazione: più del 90% del nati da Fiv non ha malformazioni e anche di quelli con malformazioni la maggior parte non ha un impatto sulla salute; lo sottolineiamo perché non vogliamo dare queste informazioni per spaventare (i dati ognuno li interpreti come vuole), ma per sottolineare una domanda di metodo: è bene mettere in commercio una tecnica che ha questi rischi? Ed è bene che i genitori accettino il rischio stesso, come se le conseguenze eventuali le portassero loro e non in primo luogo il figlio? Se questo livello di insuccessi fosse stato mostrato scientificamente per interventi medici meno osannati dai mass-media e dalla politica, certo si sarebbe preteso un livello di cautela e di precauzione massimo con azzeramento dei rischi: tanta fretta invece ci pone vari interrogativi.

L a raccomandazione a non esagerare con l’ingresso della medicina nelle profondità della vita non è solo un consiglio morale perché la vita non è nostra; dipende anche dal fatto che queste profondità come scatole cinesi: una ne porta un’altra in sé, in un cammino senza fine. Chi conosce in fondo il Dna? Forse qualcuno pensa di aver capito davvero come funziona dopo averlo mappato? E non pensiamo che al problema grave della sterilità si debba rispondere con più prevenzione – che invece latita – e non solo con le tecniche di laboratorio? La manipolazione dell’embrione sembra essere davvero un rischio per la sua salute. Già ecologisti come Enzo Tiezzi avevano messo in guardia sull’ingresso tecnico nel Dna, il motore della cellula e dunque dello sviluppo umano. Ormai sappiamo che l’ambiente non lascia indifferente il Dna, ma addirittura la luce o le variazioni in concentrazioni di ossigeno o del terreno di coltura possono alterare il modo in cui il Dna «parla». Si chiama epigenetica ed è una nuova branca della biologia, e inizia a spiegarci certi rischi che riscontriamo.

Nessun commento:

Posta un commento