DWORKIN, QUANDO IL DIRITTO DIMENTICA
IL FETO VITTORIO POSSENTI – Avvenire, 16 febbraio 201
La scomparsa di Ronald Dworkin
(1931-2013) rilancerà la discussione sul suo pensiero filosofico e giuridico, oggetto
di attenzione da vari decenni. Nell’autunno scorso Dworkin aveva ricevuto il
premio Balzan per i suoi contributi nel campo della Teoria e filosofia del diritto
con la seguente motivazione: «Per i suoi fondamentali contributi alla teoria generale
del diritto, condotti con profondità di analisi, originalità di risultati e
chiarezza argomentativa in fecondo interscambio con le teorie etico-politiche e
con le pratiche del diritto». Dopo aver condotto ad Harvard i suoi studi, Dworkin
ha insegnato a Yale ed alla Law School della New York State University. Tra le
sue tante opere, meritano di essere ricordate: "I diritti presi sul
serio" (1977), "Questioni di principio" (1985), "L’impero
del diritto" (1986), "Il dominio della vita Aborto, eutanasia e
libertà individuale" (1994), "La giustizia in toga" (2010). Nei
suoi scritti Dworkin è andato elaborando una forma etica di liberalismo, derivante
valori e diritti da una nozione di libertà strettamente imparentata con quella
di uguaglianza. Nel campo della giurisprudenza ha criticato, in contrapposizione
al positivismo giuridico, l’esclusione delle considerazioni etiche dal diritto,
sostenendo che, oltre ai diritti giuridici, espressi dalle norme riconosciute
dalla comunità, esistono diritti morali preesistenti all’organizzazione giuridica;
e tra questi ha sottolineato i diritti all’eguale considerazione e rispetto di
fronte allo Stato ("equal concern and respect"), che si trovano
espressi nella Carta costituzionale degli Stati Uniti. Nella critica del positivismo
giuridico l’obiettivo polemico è la versione del positivismo di H.L.A. Hart in
"The Concept of Law" (1961) e nel "Postscript", apparso
postumo nel 1994. Anche il pragmatismo giuridico non incontra i favori di Dworkin,
perché esso procede calcolando le conseguenze della decisione giudiziaria onde
arrivare a un esito che sia migliore per la società. Secondo Dworkin, il punto di
vista privilegiato da cui guardare il diritto è quello del giudice, che deve
presentare il diritto nella sua luce migliore ("law in its best light").
Nel volume "Il dominio della vita" Dworkin affronta la questione
dell’aborto: la sua tesi è che sia intrinsecamente sbagliato porre fine
deliberatamente a una vita umana in quanto il "dominio della vita" è
sacro. Ma aggiunge che non sussiste incoerenza alcuna nel credere che la
decisione di porre termine a una vita nei primi mesi di gravidanza debba essere
lasciata alla donna in gravidanza. Secondo Dworkin è bene eludere la questione
se un feto sia un essere umano al momento del concepimento: se così fosse gli
si dovrebbe riconoscere un diritto incondizionato alla vita. Egli ritiene
dunque che non vi è bisogno di decidere se un feto è persona per rispondere
alla domanda sull’esistenza o meno di interessi del feto e sulla sua sacralità.
Dworkin adotta un’etica laica della sacralità della vita che però rende
possibile l’aborto. Tra i motivi addotti è che la Costituzione degli Stati
Uniti nega che il feto sia una persona costituzionale. Ma questo mostra soltanto
che il diritto alla vita deve precedere la costituzione. Nonostante le
intenzioni dell’autore, viene eluso il tema centrale sullo statuto del concepito
e la domanda se questi abbia o meno un diritto incondizionato alla vita: questo
rimane il tema decisivo tanto a livello filosofico che costituzionale. ©
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