Letture interessate, allarmi veri - Differenza insuperabile - Avvenire, 20 febbraio 2013
Il coro col quale è stata fatta rimbalzare la notizia che «la Corte di Strasburgo apre alle adozioni alle coppie gay» è l’ennesimo episodio di frettolosa lettura (o di omessa lettura) di ciò che la Grande Chambre ha scritto nella sentenza pubblicata ieri. La Corte ha condannato l’Austria perché la sua legge in tema di adozione «coparentale» (quando in una coppia uno dei partner ha un figlio suo, e l’altro chiede di diventarne genitore adottivo, completando la relazione parentale) tratta diversamente la coppia convivente non sposata e la coppia omosessuale.
La Corte dice che il diverso trattamento fra il partner ammesso all’adozione e il partner escluso si fonda sull’«orientamento sessuale», e dunque urta contro il divieto di discriminazione e di ingerenza nella vita privata e familiare.
Sembra di trovarsi davanti a un paralogisma concentrato sul "difetto di omogeneità" del diritto, dimentico non solo di esplorare le risposte razionali al "perché questi sì e questi no", ma anche di considerare che se il sì per taluni fosse una smagliatura sul piano dei valori, l’estensione sarebbe una dilatazione dell’errore. Fra i 47 Stati che compongono il Consiglio d’Europa solo 10 ammettono all’adozione coparentale le coppie non sposate, come l’Austria. Tutti gli altri no, e il loro no è incensurabile. Lo rammenta proprio questa Grande Chambre, che sui quesiti generali scrive alcuni punti d’arresto precisi: primo, «l’articolo 8 non impone agli Stati membri di estendere il diritto all’adozione coparentale alle coppie non sposate»; secondo: «La Convenzione non impone agli Stati membri di aprire il matrimonio alle coppie omosessuali».
Sulla decisione di censura all’Austria la Corte si è spaccata (9 sì e 7 no, e una separata adesione del presidente). È paradossale che mostri di non capire perché al figlio che, in seno alla coppia non sposata, ha un solo genitore naturale, la legge austriaca dà in forma adottiva "il genitore che gli manca". Il padre se ha soltanto la madre, o la madre se ha soltanto il padre. L’adozione, per natura sua, supplisce la mancanza, o soppianta, i genitori di natura. Lì c’era, invece, una madre che restava madre, e una donna che si doleva di non poter fare quello che la legge avrebbe consentito a un maschio (diventare padre).
Non è una discriminazione, è una differenza. Maschio e femmina. Non c’entrano i loro «orientamenti», che appunto per il diritto sono irrilevanti. E le differenze costituiscono le ragioni assennate del diritto appropriato, coerente, in vista dell’interesse giuridico e umano preminente, che è quello del bambino. In Italia il problema non c’è, perché l’adozione è consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio, senza separazione neppure di fatto da almeno tre anni. Questo chiude il discorso. Similmente lo chiudono 36 Stati del Consiglio d’Europa, più dei tre quarti.
Motivi di apprensione giungono frattanto dalla Germania, dove la Corte di Karlsruhe ha ammesso l’adozione «successiva» all’interno di una coppia omosessuale (cioè l’adozione del figlio adottivo del partner). È un allentamento delle restrizioni in seno alle «unioni registrate», l’estensione di una smagliatura già fatta per i figli naturali, circoscritta. Non è la stessa cosa della «adozione consentita ai gay», ma resta un’allerta per correggere la deriva. Quanto a noi italiani, teniamoci stretta la nostra Costituzione, la nostra legge, l’autonomia che la Corte europea ci riconosce, i diritti umani ai quali siamo fedeli.
Giuseppe Anzani
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