mercoledì 27 febbraio 2013


Pillola dopo lo stupro, vescovi spagnoli: «Se ne esiste una non abortiva, noi non la conosciamo »
febbraio 27, 2013 Redazione - http://www.tempi.it

«Lo stupro è un atto di violenza e un’ingiustizia», per questo è «legittimo impedire la fecondazione, ma non abortire». Così si è espresso il segretario generale della Conferenza episcopale spagnola, Juan Antonio Martinez Camino, dopo che settimana scorsa i vescovi tedeschi hanno ammesso l’uso della pillola del giorno dopo nei casi di stupro.
PILLOLE SCONOSCIUTE. Ma quale farmaco è in grado di impedire il concepimento e allo stesso tempo non ha «effetti abortivi», dal momento che i normali contraccettivi sono anche abortivi? Ancora Martinez, che è anche vescovo ausiliario di Madrid: «Se in Germania esiste una pillola che ha queste caratteristiche, noi però non la conosciamo».

IL CASO. I vescovi tedeschi hanno fatto riferimento nella loro nota che permetteva l’uso della pillola del giorno dopo in casi di stupro a nuovi farmaci recentemente apparsi sul mercato. Quali siano, però, non è ancora stato detto. Il caso è scoppiato dopo che due ospedali cattolici di Colonia hanno rifiutato la somministrazione della pillola del giorno dopo ad una donna vittima di uno stupro.
26/02/2013 - SALUTE
Il cervello non ha età: i neuroni sopravvivono all’organismo - http://www.lastampa.it/


Scoperta potrebbe essere utile per nuove terapie contro le malattie degenerative
ROMA
I neuroni di alcuni mammiferi possono vivere più a lungo dell’organismo che li ha generati, il limite della loro esistenza non sarebbe, dunque, scritto nei geni. In pratica il cervello può sopravvivere al corpo.  

È la conclusione raggiunta - dopo un esperimento che ha richiesto oltre cinque anni di lavoro - da Lorenzo Magrassi, professore di Neurochirurga dell’Università di Pavia che lavora presso la Fondazione Policlinico S. Matteo e l’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Pavia, insieme al professor Ferdinando Rossi e Ketty Leto, neurofisiologi del NICO - Istituto di Neuroscienze della Fondazione Cavalieri Ottolenghi presso l’Università di Torino.  
Lo studio è pubblicato su Pnas, la rivista dell’Accademia delle Scienze Usa.  

Nei mammiferi i neuroni vivono per l’intera esistenza dell’individuo, in assenza di malattie neurodegenerative. Non è ancora chiara alla scienza, però, la durata dei singoli neuroni e se il limite della loro vita sia geneticamente determinato, legato cioè alla sopravvivenza degli individui tipica di ogni specie, ad esempio 20 anni per un gatto, 120 per l’elefante. In questo caso gli sforzi per prolungare la vita media dell’uomo sarebbero resi inutili dall’inevitabile invecchiamento del cervello. Ora lo studio dei ricercatori italiani offre una prima risposta alla questione.  

L’esperimento ha previsto il trapianto di neuroni in fase embrionale prelevati dal cervello di un embrione di topo - con vita media di circa un anno e mezzo - in quello di un ratto, una specie con vita media più lunga, circa tre anni (il doppio rispetto al donatore). Le cellule trapiantate si sono sviluppate in neuroni cerebrali, integrandosi nel cervello del ratto pur mantenendo le dimensioni lievemente più piccole tipiche topo donatore. Inoltre, i neuroni di topo non sono morti circa un anno e mezzo dopo il trapianto - come sarebbe successo se fossero rimasti nel topo, essendo questa la durata media della vita dei topi utilizzati - ma sono sopravvissuti tre anni, fino alla morte naturale del ratto in cui sono stati trapiantati.  

I risultati suggeriscono quindi che la sopravvivenza dei neuroni trapiantati non è geneticamente fissata, ma può essere determinata dal microambiente del cervello dell’organismo ospite. Considerando le differenze di specie, i risultati dell’esperimento suggeriscono che - ammessa una vita media di ottant’anni - fino a centosessant’anni non ci sarebbero problemi di sopravvivenza dei neuroni.  

Questa scoperta contraddice dunque l’opinione diffusa che aumentare la vita media degli individui può essere inutile in quanto i neuroni - anche in assenza di patologia - morirebbero, riducendo chi sopravvive oltre una certa età ad una vita priva di facoltà cognitive. Il lavoro di Magrassi, Leto e Rossi dimostra invece che l’ambiente in cui i neuroni vengono a trovarsi modula la loro sopravvivenza che, almeno entro i limiti studiati, non è determinata geneticamente.  

I risultati indicano che i fattori presenti nel microambiente in cui le cellule sono state trapiantate contribuiscano a mantenere in vita i neuroni, indipendentemente dall’età raggiunta. Identificare questi fattori mediante nuovi esperimenti aprirebbe la strada per nuove terapie, anche nel caso di malattie neurodegenerative che conseguono alla morte precoce dei neuroni in aree specifiche del cervello.  

Il Messaggero - "Nei segreti della mente", intervista a Vittorino Andreoli



DISCUSSIONI - La nostra cultura insegna la droga? 27 febbraio 2013 - http://www.avvenire.it/


«Oggi sarebbe forse in controtendenza un artista che non facesse uso di droghe». L’osservazione buttata lì quasi en passant da Alessia Bertolazzi, autrice di Sociologia della droga (Franco Angeli, 2008) dà il senso del tipo di cultura diffusa in cui ci si trova. Quel che appariva off limits solo pochi decenni fa, si è scavato una solida nicchia nel modo di vivere e di pensare. Silenziosamente. 

Ci siamo avvicinati a un "nuovo mondo" alla Aldous Huxley? L’uso delle droghe è entrato nel vivere quotidiano non solo di specifiche categorie quali, appunto, artisti o sportivi professionisti. «È anzitutto un problema di cultura» sostiene Antonio Maria Costa, che dal 2002 al 2010 è stato direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc). «Dal dopoguerra abbiamo attraversato tre grandi periodi. Negli anni ’50-’60 la droga era vista come una stravaganza di qualche rampollo di famiglie agiate, ed era stigmatizzata. Alla fine degli anni ’60, adottata da vari movimenti giovanili, si ammantò del profumo di rivolta sociale. Oggi è accettata nell’indifferenza di un relativismo che si è assolutizzato. La prendi? Non la prendi? Fa lo stesso...». Ma la droga uccide... «Meno del tabacco, in termini assoluti: approssimativamente 500 mila morti all’anno nel mondo, a fronte di circa 5 milioni uccisi dal tabacco. Ma in percentuale il discorso è diverso, perché circa il 30 per cento della popolazione fuma tabacco mentre solo il 2 per cento consuma droghe: è vero, la droga uccide. Ma l’idea diffusa è invece che la si possa consumare impunemente. Qui sta il pericolo».

«Contro il tabacco da anni sono in atto campagne di informazione che hanno generato una coscienza della dannosità, e questo si traduce in pressione psicologica verso i fumatori, per quanto il tabacco sia legale. Viceversa chi consuma droga non ha informazioni adeguate e non subisce pressioni sociali, per quanto sia illegale. A volte anzi le pressioni sono di segno opposto e capita che in discoteca si presenti come sfida: "mi drogo perché sono forte". Purtroppo è vero il contrario: nella maggioranza dei casi chi diventa tossicodipendente ha alle spalle problemi psicologici e familiari». Il che vale per tutte le droghe? «In chi si droga c’è sempre un groviglio di tensioni, timori, disillusioni. 

Ma, com’è noto, la cocaina è usata da chi insegue il successo. Oppiacei come l’eroina hanno funzione consolatoria e in Europa il loro consumo è diminuito nell’ultimo decennio, ma oggi, con la crisi è in ripresa. Dilagano le droghe sintetiche, ritenute pulite perché calibrate a seconda degli effetti desiderati, con un’offerta variegata e sempre nuova, di fronte alla quale il legislatore è sempre in ritardo. Quello della droga è un grosso affare. Vi sono implicati anche grossi laboratori farmaceutici». 

C’è modo per contrastarla? «Con l’informazione. Anche i cannabinoidi sono dannosi alla salute, oltre a essere la porta di accesso ad allucinogeni più pesanti. In Svezia quasi il 90 per cento dei giovani lo sa e per questo li evita. In quel Paese hanno svolto ampie campagne informative: nel secondo dopoguerra furono vittimizzati dall’enorme afflusso di droghe psicotropiche avanzate dalle scorte usate dai militari (sia tedeschi, sia alleati) durante il conflitto per vincere la paura. 

E hanno voluto evitare nuove ondate di consumi di massa. In Italia la percentuale di giovani che conoscono il pericolo è, invece, molto bassa: non sorprende che l’assunzione di sostanze sia maggiore che in Svezia». «L’uso delle droghe si è normalizzato», constata la Bertolazzi che all’università di Bologna col gruppo coordinato da Costantino Cipolla da anni studia il problema nel nostro Paese. «È inteso in senso ricreativo. Un tempo la prendevano soprattutto i ragazzi, ora non c’è più differenza con le ragazze. Da rilevamenti nelle discoteche romagnole emerge che la ricerca dello sballo è sistematica: una volta la settimana. C’è l’idea che poi si torna alla vita normale. Ed è invalso il pluriconsumo: più sostanze contemporaneamente. Tra queste la ketamina: è meno cara della cocaina e stordisce, con un effetto simile alla morte. Non c’è coscienza della pericolosità. Campagne, poche e sporadiche, come quella "La droga ti spegne" non raggiungono l’obiettivo: con la cocaina uno può star sveglio due giorni di fila. 

E in Internet si trovano informazioni ingannevoli». Ma che concetto ha di sé chi ricorre alla droga, quale idea di essere umano è compatibile con lo "sballo"? «Mi sembra che il problema sia antico e riguardi il tentativo di rispondere all’inquietudine attraverso il godimento» sostiene Silvano Petrosino, docente all’Università Cattolica di Milano. «Noi abbiamo bisogni e piaceri. Abbiamo sete di felicità. Ma che cos’è questa? La società dei consumi ha una risposta chiara. Usa la tal crema e sarai bella come la grande attrice... È lo stesso principio dell’idolo d’oro che gli ebrei chiesero ad Aronne: qualcosa da vedere e da toccare. Il consumismo ci dà idoletti per il consumo quotidiano: sembra semplice. Il passo a un altro tipo di consumo è cospicuo, ma in fondo sullo stessa linea. 5 euro per una dose. E ci si illude si sentirsi bene».

Droghe come hashish e oppio erano estranee alla nostra civiltà. «L’Oriente, da dove vengono, non conosce l’eccesso, perché non pone l’individuo come primario, bensì l’armonia del tutto. L’Occidente ha nell’individuo il suo perno: ne deriva l’impulso al miglioramento, al progresso. Ma anche l’aggressività, la bramosia, l’eccesso. Lo si cerca nelle slot machine, come in altri tipi di godimento: ma la soddisfazione non è mai raggiunta. E da questa insoddisfazione nasce la distruttività. C’è una canzone di Zucchero che dice "ti farò morire... non avrai più desideri, solo piaceri". Il riferimento è al sesso. Il principio è lo stesso: il godimento. E poi? Subentra l’eccesso, l’aggressività. La morte». L’autodistruzione? «È la forma più alta di distruzione: l’individuo può accogliere o distruggere. E quest’ultima via, portata all’eccesso, si rivolge contro il soggetto stesso. Ma la grande carta dell’Occidente è il cristianesimo: il corpo è il tempio dello spirito. Non può essere riciclato alla ricerca del mero piacere effimero».

Leonardo Servadio

I benefici sociali ed economici del matrimonio -  26 febbraio, 2013 - http://www.uccronline.it

Famiglia

Il matrimonio ha effetti positivi per l’intera società, sopratutto dal punto di vista dei benefici per la salute sociale ed economici.  

Lo riporta un articolo comparso su Heritage, citando una serie di studi recenti. Le famiglie sposate, ad esempio, tendono ad avere  una migliore salute finanziaria, maggiori risparmi e una maggiore mobilità sociale rispetto alle famiglie non sposate. Le coppie sposate tendono anche ad avere un reddito medio più elevato e una maggiore probabilità di possedere case di proprietà rispetto a famiglie con adulti non sposati.

Sposarsi può altre sì avere un  effetto profondamente positivo  sul benessere psicologico, lo stess e l’abitudine al fumo. Il matrimonio è anche associato a  tassi di mortalità più bassi .

I bambini che crescono in famiglie formate da una coppia di coniugi sposati hanno una maggiore probabilità di andare incontro a stabilità economica, elevato rendimento scolastico e maturità emotiva. Adolescenti cresciuti in queste famiglie presentano meno probabilità di essere sessualmente attivi  e meno probabilità di abusare di droghe e/o alcool, mostrano inoltre comportamenti sociali migliori e partecipano meno a crimini violenti. 

Purtroppo per la società i legami matrimoniali sono sempre meno, e sempre meno persone godono di questi vantaggi personali e sociali, preferendo le instabili e disimpegnate relazioni di convivenza. 


Family Fact of the Week: Celebrate Marriage’s Many Benefits This Valentine’s Day
Sarah TorreFebruary 14, 2013 
 

Photo credit: Ken Weingart Stock Connection Worldwide/Newscom

Married couples across the country will commemorate St. Valentine’s Day today by exchanging cards and flowers and raising a glass to love. But marriage also provides a host of social, economic, and even health benefits.
As research on Heritage’s FamilyFacts.org demonstrates, married families tend to have better financial health, increased savings, and greater social mobility than unmarried households. Married couples also tend to have a higher average income, more assets, and a greater likelihood of owning their own homes than families led by single adults.
Tying the knot can likewise have a profoundly positive effect on men’s and women’s psychological well-being, stress levels, and smoking habits. Marriage is even associated with lower mortality rates.
Children raised in families headed by a married couple have a greater chance of experiencing economic stability, high academic performance, and emotional maturity. Teens from intact, married families are less likely to be sexually active and also less likely to abuse drugs and/or alcohol, exhibit poor social behaviors, or participate in violent crimes. Consistent parental involvement, especially from fathers, is also related to decreased likelihood of teen pregnancy.
Sadly, fewer Americans are experiencing these personal and social benefits of marriage as the nation’s marriage rate continues to decline and more men and women exchange the commitment of matrimony for the loose bonds of cohabitation.
The many benefits of marriage are arguably being lost on the very people who need marriage’s financial and emotional stability the most. With more than four out of every 10 children born outside of marriage, millions of children are being left at risk of experiencing the financial and social challenges facing single-parent households.
The same children (and their parents) are also more likely to need government financial assistance. Of the more than $450 billion spent on means-tested welfare for low-income families with children, roughly three-quarters goes to households led by single parents.
Just as the greatest Valentine’s Day gift is not the most expensive diamond or the richest three-course meal, the greatest gift of compassion and justice for poor families is not more money and federal handouts. It is the opportunity to learn about the emotional, social, and economic advantages of marriage and to potentially share in the promises of lifelong, married love.
Rather than continue a cycle of dependence with streams of anonymous government checks, policymakers can take steps to remove disincentives to marriage and demonstrate how healthy marital relationships can lead to self-sufficiency.



Obama, famiglia e matrimonio sotto scacco di Donata Fontana - 27-02-2013 - http://www.lanuovabq.it

Barack Obama
    
A giudicare dalle prime mosse del suo secondo mandato come Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama pare intenzionato a mettere sotto scacco la famiglia e il matrimonio. A pochi giorni dalle dichiarazioni d'intenti con cui il Presidente ha indicato l'estensione dei diritti degli omosessuali come istanza fondamentale della sua legislatura, ecco le prime conferme. Con una richiesta formale – qualche giorno fa – il Presidente Obama ha posto all'attenzione della Suprema Corte di Giustizia americana, custode della Costituzione, la necessità di rivedere i contenuti della legge federale che definisce il matrimonio tra uomo e donna.

La normativa, il così detto DOMA: Defence of Marriace Act, che Obama indica ai Giudici come incostituzionale – per un'asserita violazione del V emendamento alla Costituzione USA – è stata introdotta nel '96 da Bill Clinton ed è una legge federale che impedisce il riconoscimento in tutta la Nazione delle unioni tra persone omosessuali, eventualmente permesse dalle legislazioni dei singoli Stati. Secondo il testo dell'istanza di abrogazione presentata alla Corte dal Dipartimento di Stato, il DOMA violerebbe «il principio fondamentale di uguaglianza di fronte alla legge» poiché non riconosce gli stessi diritti alle coppie eterosessuali e non. Per ora, solo 9 stati su 50 – oltre alla capitale Washington – riconoscono effetti giuridici all'unione tra omosessuali, ma mancando un riconoscimento a livello nazionale, si verificherebbero discriminazioni tra cittadini di diversi Stati.

L'insistente richiesta del Presidente Obama di abolire la terza sezione della legge sul matrimonio – eliminando, quindi, il riferimento a una necessaria differenza di sesso tra i componenti della coppia - non è giunta casualmente ora all'attenzione della Suprema Corte americana: proprio in questo mese infatti i Giudici dovranno decidere sul ricorso presentato da Edith Windsor. La donna, omosessuale, si è sposata in Canada nel 2007 con la sua compagna, Thea Spyer; alla morte di Spyer, la Windsor ha richiesto il rimborso al fisco americano di oltre 360.000 dollari in tasse di successione, ma la Internal Revenue Service (l'equivalente d'oltroceano della nostra Agenzia delle Entrate) lo ha negato, proprio citando il DOMA. E' plausibile che l'istanza tempestivamente promossa dal Dipartimento di Stato possa esercitare una qualche influenza su questa decisione della Corte, chiamata già a decidere su casi simili nei prossimi mesi; potrebbe crearsi un precedente significativo che orienterà anche le Corti distrettuali nei singoli Stati.

D'altra parte, già le direttive esposte da Obama lo scorso gennaio, nel Memorandum di coordinamento per le politiche e i programmi di promozione globale dell'uguaglianza tra i sessi e la tutela della donna, parlavano molto chiaro: esse palesano gli sforzi della diplomazia americana per far riconoscere i diritti riproduttivi e la pianificazione familiare come diritti fondamentali anche oltre i confini federali, ampliando la lista di iniziative già promosse dall'ex-Segretario di Stato Hilary Clinton in sostegno dell'aborto e della parificazione giuridica tra famiglie eterosessuali e coppie omosessuali. Ancora ben lontano da una composizione, inoltre, è il contrasto tra Chiesa cattolica e Ministero della Salute americano sulla riforma dell'assicurazione sanitaria: per i datori di lavoro è previsto come obbligatorio l'inserimento nelle polizze dei dipendenti l'acquisto di farmaci contraccettivi e abortivi, che diventerebbero quindi garantiti dal Sistema Nazionale Sanitario a spese anche di istituzioni ospedaliere di matrice cattolica.

Per comprendere il disegno complessivo (e distruttivo) dell'Amministrazione Obama sulla famiglia, basta dare uno sguardo ai membri appena nominati dal Presidente in seno al Consiglio per lo sviluppo Globale: la maggior parte di essi ha militato in iniziative e campagne per la promozione dei diritti riproduttivi e la stessa istituzione – voluta circa un anno fa proprio da Barak Obama – lavora a braccetto con la fondazione di Bill e Melinda Gates, fin troppo conosciuta per i suoi 4,5 miliardi di dollari elargiti per rendere accessibili, diffusi e sicuri aborto, sterilizzazione e pianificazione familiare. Il Consiglio per lo sviluppo globale - gestito da USAID e avente lo scopo di consigliare l’Amministrazione presidenziale su alcuni temi legati allo sviluppo, alla salute e alla popolazione - è composto da noti esperti, provenienti in buona parte da ONG del settore filantropico, scientifico o accademico: l’appartenenza e l’esperienza di ciascun membro la dice lunga sulla posizione di Obama e compagni su tematiche come famiglia, aborto, contraccezione e l’identità di genere.

Ecco solo qualche nome: William K. Reilly ha un passato da amministratore di Environmental Protection Agency, gruppo di promozione della pianificazione familiare per la conservazione delle risorse naturali, e fa tutt’ora parte anche del Cda della Fondazione Packard, nota per aver investito milioni per la commercializzazione di mifepritone (alias RU486). Arduo pensare che i suoi consigli sulla scelta del miglior contraccettivo con cui inondare le farmacie americane siano davvero imparziali. Ancora: Mohamed A. El-Erian, eminente economista, è membro del consiglio per il Centro internazionale di ricerca sulle donne (ICRW), che sostiene l'accesso legalizzato e senza restrizioni all'aborto; è anche CEO della Fondazione PIMCO, quindi grande esperto in sovvenzioni a gruppi che promuovono i diritti sessuali e riproduttivi nei Paesi in via di sviluppo.
Secondo i dati diffusi da C-Fam, i finanziamenti stanziati dagli USA per la salute riproduttiva e la pianificazione familiare sono aumentati di circa il 40% sotto la scorsa presidenza Obama e stime simili sono pronosticabili anche per questo suo nuovo mandato alla Casa Bianca. Infatti per il 2013 sono già stati destinati 530 milioni di dollari per i programmi di USAID: più di quanto dato per combattere la tubercolosi, una pandemia di influenza e la malnutrizione unitamente considerate.

Il grande pasticcio dei vescovi tedeschi di Renzo Puccetti - 27-02-2013 - http://www.lanuovabq.it/

   Norlevo

Pillola del giorno dopo, i vescovi spagnoli contro i vescovi tedeschi. Ieri è intervenuto il portavoce e segretario della Conferenza episcopale spagnola, monsignor Juan Antonio Martinez Camino, per spiegare che se è legittimo prevenire la gravidanza di una donna che abbia subito uno stupro, non lo è usare la "pillola del giorno dopo". Il motivo è quello già spiegato da La Nuova BQ, oltre a un effetto contraccettivo non si possono escludere effetti abortivi: «Noi non conosciamo alcun farmaco» di cui si possa escludere l'effetto abortivo - ha detto Camino - «se esiste e i vescovi tedeschi lo conoscono, ce lo facciano sapere».

Una risposta chiara, che mette in evidenza il pasticcio provocato dalla Conferenza episcopale tedesca in materia. Del resto sono stati proprio i vescovi a parlare di "pillola del giorno dopo", facendo dunque riferimento a un farmaco ben preciso.

«Moraltheologische Fragen im Zusammenhang von Vergewaltigung („Pille danach“)», in tedesco. vale a dire «Questioni etiche nel contesto dello stupro („Pillola del giorno dopo“)», questo è infatti il titolo del capitolo "incriminato" facente parte del documento diffuso dalla Conferenza Episcopale della Germania per cui i media hanno parlato di un via libera dei vescovi tedeschi all’uso della pillola del giorno dopo in caso di stupro. Si tratta di una direttiva che segue il caso avvenuto nel dicembre scorso di una donna violentata a Colonia che non fu presa in carico da due ospedali cattolici. Per inciso l’apertura dei vescovi tedeschi non sembra immediatamente motivata dallo specifico caso di Colonia dove, secondo i resoconti giornalistici, il medico dell’emergenza che per primo aveva soccorso la donna aveva già provveduto in proprio a prescrivere la pillola del giorno dopo. 

Alcuni commenti volti a minimizzare la portata della presa di posizione dell’episcopato germanico lasciano stupefatti. “Pillola del giorno dopo” non è infatti un termine inventato dai giornalisti. Di “pillola del giorno dopo” hanno parlato i presuli tedeschi e con quella espressione, che pure non appartiene al linguaggio scientifico, non si indica qualcosa di indeterminato o futuribile, ma una procedura farmacologica istituita dopo un rapporto sessuale non protetto per evitare la gravidanza. 

In Occidente essa è attuabile soltanto in due modi: con dosi elevate di estroprogestinico, di solito secondo uno schema conosciuto come Yuzpe, dal nome del suo ideatore, oppure attraverso la somministrazione in un’unica soluzione di levonorgestrel alla dose di 1,5 milligrammi. Lo schema Yuzpe è caduto in disuso per la sua minore tollerabilità ed efficacia, esso peraltro non si sottrae a problematiche circa il meccanismo d’azione (Kahlenborn, et al. 2002). Quindi si è in presenza di una direttiva rivolta al personale sanitario che opera nelle strutture cattoliche per consentire, in caso di stupro, la prescrizione del levonorgestrel, una volta accertato che tale farmaco non possa indurre un aborto, inteso come qualsiasi atto volto ad interrompere lo sviluppo vitale dell’embrione eventualmente formato. 

Chi scrive ha imparato dal fondatore del centro di bioetica dell’Università Cattolica, S.E. mons. Elio Sgreccia, che il ragionamento bioetico, prima di articolarsi nella valutazione antropologica e concludersi nel giudizio etico, deve partire esaminando il dato scientifico. Qualcuno che non aveva titoli per farlo ha dichiarato che la pillola del giorno dopo non è un abortivo, ma si tratta di un’affermazione che, oltre a possedere un potenziale diseducativo non trascurabile, è da ritenersi scientificamente superficiale, indimostrata, e supina alla lettura dei risultati fornita dalla lobby dei diritti riproduttivi. 

Cercherò di fare due esempi emblematici. Il gruppo di ricerca del Karolinska Institutet guidato dalla ginecologa Kristina Gemzell Danielsson ha valutato in vitro la capacità di adesione di embrioni umani a un tessuto endometriale tridimensionale in presenza di placebo o di levonorgestrel nel mezzo di coltura. Con il placebo hanno aderito al tessuto endometriale 10 embrioni su 17 mentre in presenza di levonorgestrel l’adesione è avvenuta da parte di 6 embrioni su 14. Poiché la differenza non è risultata statisticamente significativa i ricercatori hanno concluso che il levonorgestrel non è in grado di ostacolare l’adesione degli embrioni e quindi di esplicare effetti anti-nidatori (eticamente abortivi). Come notato però dai ginecologi Mozzanega e Cosmi questo modello non riproduce la realtà, dove il levonorgestrel viene somministrato con significato clinico in fase peri-ovulatoria. Inoltre il nostro gruppo di lavoro ha evidenziato come la differenza rilevata dagli autori nel tasso di adesione sia del 16% e possa risultare statisticamente non significativa a causa della insufficienza numerica del campione (Puccetti et. al. 2012). 

Per rilevare una differenza statisticamente significativa pari al 16% abbiamo calcolato che sarebbero servite almeno 333 osservazioni, una cifra 10 volte maggiore rispetto a  quella effettuata dagli autori che pertanto traggono conclusioni da risultati che non le consentono. Un altro caso è quello del gruppo peruviano del dottor Horacio Croxatto, fondatore dell’Istituto Cileno di Medicina Riproduttiva. In uno dei lavori più recenti sono stati valutati gli effetti del levonorgestrel post-coitale somministrato a 103 donne prima dell’ovulazione e ad altre 45 che avevano già ovulato. Nel primo gruppo gli autori non hanno registrato alcuna gravidanza rispetto alle 16 previste, mentre nel secondo caso le gravidanze osservate sono state 8 rispetto alle 8,7 attese, una differenza non significativa che ancora una volta ha portato a sostenere che il levonorgestrel, se somministrato dopo l’ovulazione, non avendo alcuna efficacia non può agire come abortivo. 

Anche in questo caso però vi sono una serie di elementi che contraddicono conclusioni così rassicuranti. È stata notata ancora una volta l’inadeguatezza numerica del campione per escludere effetti anti-nidatori a bassa incidenza (Lopez-del Burgo, et al. 2011). Ancora il nostro gruppo di lavoro ha segnalato una grave incongruenza nella modalità di rilevazione della gravidanza che ha portato a sottostimare le gravidanze cliniche attese. Invece di effettuare nella popolazione trattata il test di gravidanza a 6 settimane rispetto al giorno della mestruazione precedente come nella popolazione di riferimento, gli autori hanno effettuato la rilevazione nel giorno in cui le mestruazioni sarebbero dovute presentarsi, cioè circa due settimane prima. Dominic Pedulla ha poi evidenziato la fragilità argomentativa degli autori nello spiegare come nessuna gravidanza si sia verificata tra le 103 donne trattate prima dell’ovulazione nonostante tra queste l’ovulazione si sia comunque verificata in ben l’80% dei casi. Questi elementi sono solo un piccolo assaggio di come la lettura erronea del dato scientifico possa indurre a giudizi morali fallaci. Soltanto una conoscenza vasta ed approfondita della materia può rendere accorti di errori scientifici sottili, ma gravi. Allo stato non è possibile somministrare la pillola del giorno dopo senza accettare il rischio di indurre un aborto. 

Da qui nasce la preoccupazione per una questione che ci pare assai rilevante: chi sono stati i consiglieri scientifici dei vescovi tedeschi? Si sono forse affidati al parere della Berufsverbandes der Frauenärzte, l’Associazione dei Ginecologi Tedeschi e della Deutschen Gesellschaft für Gynäkologische Endokrinologie und Fortpflanzungsmedizin, la Società Tedesca di Endocrinologia Ginecologica e Medicina della Riproduzione? Possono dire di avere interpellato la Pontificia Accademia per la Vita, istituita proprio per fornire questo genere di informazioni? I vescovi tedeschi possono affermare di avere ottenuto da questo organismo pontificio l’esclusione di effetti abortivi? In ogni caso oppure solo in caso di somministrazione prima dell’ovulazione? 

In assenza di totali rassicurazioni da chi non ha possibili conflitti d’interesse, consentire che la pillola del giorno dopo sia somministrabile negli ospedali cattolici non significa forse adottare il principio di probabilità al posto del principio di precauzione? E se così è, come sarà possibile non ammettere in casi simili anche l’uso della spirale al rame, dato che questa può sì indurre un aborto con meccanismo antinidatorio, ma può anche agire semplicemente con azione spermiotossica? Sono domande che sembrano degne di risposta, anche perché il dr. Leo Alexander nel 1948 insegnava a stare attenti ai piccoli mutamenti, “From small beginnings”, diceva dalle pagine del New England Journal of Medicine, da piccoli cedimenti iniziali sulla indisponibilità della vita umana innocente si giunge, a piccoli passi, a disastri inenarrabili.

martedì 26 febbraio 2013


Ru486, altre drammatiche storie sulla kill pill. «Mi dicevano che dovevo solo aspettare » - febbraio 26, 2013 Benedetta Frigerio




Il 23 febbraio scorso la giornalista americana Sarah Terzo ha raccontato sul sito di Liveactionnews.org alcuni nuovi casi di aborti provocati dalla Ru486, la pillola abortiva chiamata “kill pill”. Alcuni giornali e siti stranieri hanno ripreso alcune delle storie citate dalla Terzo. Fra le tante, due vicende sono emblematiche.

CONVULSIONI E CRAMPI. La prima storia è tratta dal Boston Phoenix e parla di una donna che, alla sesta settimana di gravidanza, decise di abortire con la Ru486. La ragazza, una studentessa universitaria, aveva assunto il farmaco ed era subito tornata «al dormitorio, qualche ora più tardi», nonostante l’aborto non fosse ancora avvenuto. «Mi contorcevo nel mio letto a due piazze – ha raccontato – soffrendo convulsioni e crampi debilitanti. I miei compagni di stanza, il mio migliore amico e il mio ragazzo si aggiravano intorno a me. Mi portavano antidolorifici, Balsamo di Tigre, borse d’acqua calda…». E se fosse stata sola? La ragazza sapeva solo di aver «versato moltissimo sangue», mentre il suo corpo espelleva il figlio: «Allora ho vomitato. E, infine, mi sono addormentata».

RISCHIO DI MORTE. La seconda storia è tratta da un post apparso sul sito Pregnant Pause. Una donna ha raccontato del suo aborto a domicilio che credeva fosse indolore e che invece «mi ha fatto urlare lamenti terribili. Mi sdraiai sul divano del mio ragazzo, la prima notte ero sola, e mi contorcevo pregando che finisse tutto o piuttosto di morire. Ho chiamato il numero di emergenza che mi avevano dato e dissi loro che gli antidolorifici non funzionavano. Mi risposero, molto cinicamente, che non c’era più nulla da fare per me». Solo allora, ha detto ancora, «mi informarono che questo era normale e che dovevo aspettare». Ma «i dolori continuavano» e solo «dopo due notti di quello che pensavo sarebbe stato la fine di un incubo ho cominciato a sanguinare».
Giunto il terzo giorno sono iniziate le contrazioni: «Pensai: ecco, è finita, ora posso cominciare a guarire, giusto? Sbagliato!!». Circa una settimane e mezzo più tardi, mentre guardava la televisione, la donna ha cominciato a sentirsi male. I crampi erano tornati di nuovo: «Pensando che dovesse essere normale, in un primo momento ho creduto che non fosse nulla. Ma nel giro di due ore cominciai a sanguinare molto. L’emorragia si era aggravata sempre più, non riuscii a raggiungere il bagno». Poi le contrazioni, fino a vedere in faccia quel figlio, descritto come una «massa di carne». Così «chiamai di nuovo il numero di emergenza della clinica, mi risposero che era normale e bastava aspettare». Più i giorni «passavano, più faticavo a muovermi e camminare», fino alla decisione di chiamare il ginecologo che le ha ordinato di andare in pronto soccorso: «Scoprirono che la mia pressione era di circa 60 su 52». La donna, a rischio di morte, aveva bisogno di ben due litri di sangue. Quindi le trasfusioni, e altre «12 ore degradanti, umilianti, dolorose, stressanti e quasi insopportabili».

@frigeriobenedet  

Cuomo e la legge sull’aborto tardivo - http://www.prolifenews.it/

Andrew Cuomo_diritto aborto tardivo_interruzione gravidanza

Il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, sta facendo i ritocchi finali a una legge che presto potrebbe estendere il diritto all’aborto “tardivo”.

La proposta, di cui scrive il New York Times nonostante non sia ancora stata presentata al parlamento statale, prevede la possibilità di interrompere la gravidanza dopo la 24esima settimana di gestazione, quando questa rappresenta una minaccia per la salute della donna, o nei casi in cui si riscontrano gravi problemi nel feto.

Al momento, chiarisce il quotidiano, l’aborto nello Stato è permesso dopo la 24esima settimana di gestazione, solo se la donna è in pericolo di vita.

La proposta di Cuomo, che andrà anche approvata dal Senato a maggioranza repubblicana, permetterebbe inoltre di praticare l’aborto non solo ai medici professionisti, ma anche a figure professionali specializzate.

Se dovesse passare il progetto di legge, l’aborto verrebbe poi cancellato dal codice penale dello Stato, e verrebbe regolato dal codice per la salute.

L’iniziativa del governatore, già preannunciata in agenda nel dicorso di inzio anno dello stato dello Stato, rientra in un dibattito che sta dividendo l’America e che si muove a partire dalla storica sentenza del caso Roe contro Wade, pronunciata dalla Corte Suprema nel 1973, che ha messo in discussione tutte le leggi statali al tempo in vigore sul tema. Proprio lo scorso 21 gennaio, alla vigilia del quarantesimo anniversario della sentenza, il Wall Street Journal ha pubblicato un sondaggio condotto in collaborazione con Nbc News, secondo il quale per la prima volta nella storia la maggioranza degli americani sarebbe pro aborto. Mentre gli attivisti per i diritti delle donne sperano di poter cantare vittoria, gli oppositori pro life hanno etichettato la proposta di Andrew Cuomo come l’Abortion Expansion Act, legge per la diffusione dell’aborto.

Anche le alte sfere della Chiesa sono intervenute, con il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York nominato tra i “papabili”, che qualche settimana fa ha scritto una lettera al governatore dicendo che “difficlmente riusciva a pensare a una legge meno necessaria e più pericolosa”.

N. R.: I nemici della Chiesa e della Vita sono in tutti i partiti. Siamo con l’Arcivescovo Dolan e ricordiamo l’affermazione di S.E. Il Cardinale di Cracovia, Stanislaw Dziwisz “«La Chiesa insegna chiaramente che i cattolici sono obbligati a non accettare il compromesso, ma a puntare alla protezione totale della Vita»

Fonte: America Oggi






Tre o quattro genitori, perché no? L’Olanda studia una legge per «allargare il concetto di famiglia »
febbraio 25, 2013 Leone Grotti - http://www.tempi.it


È al vaglio del ministro della Giustizia olandese una legge che consenta a tre o più persone di formare una famiglia ed essere tutti legittimi genitori di un bambino. In un’intervista rilasciata all’agenzia Afp, il membro dei Verdi Liesbeth van Tongeren ha affermato: «Ci sono già tra i 20 e i 25 mila bambini che vivono in famiglie miste. Abbiamo bisogno di allargare il concetto di famiglia, il legame di genitorialità non può più essere puramente biologico. Non si può più dire che un bambino può avere solo due genitori».

PROBLEMI LEGALI. Già a ottobre il Parlamento olandese aveva discusso una legge simile, ma i problemi legali connessi a una modifica del concetto di famiglia avevano fatto desistere il governo. Ecco perché è stata incaricata una commissione di studiare una soluzione, che però non è ancora arrivata.

QUATTRO GENITORI. Un altro quotidiano, il Suddeutsche Zeitung, ha riportato due storie per descrivere quanto descritto dalla parlamentare olandese. Susanne Supheert, 25 anni, ha raccontato che quando ne aveva solo 11 il padre ha dichiarato di essere gay e ha lasciato la moglie per un altro uomo. Lei si è risposata e così Susanne ha avuto tre padri e una madre. Joaquin e Simon, rispettivamente tre e sei anni, si ritrovano con questa famiglia: i loro genitori sono una coppia gay e una coppia lesbica andati a vivere assieme all’università. Le donne hanno partorito con l’inseminazione artificiale, usando lo sperma dei due uomini, anche se non si sa quale dei due è padre di chi. «Non è importante, in fondo – dichiara una delle due donne – Ciò che conta è che tutti e quattro siamo i loro genitori e li amiamo».

GENITORI LEGALI MULTIPLI. Secondo la deputata dei Verdi Van Tongeren, i “genitori legali multipli” aiuterebbero le coppie a districarsi quando c’è il problema di due genitori dello stesso sesso e un donatore di sperma o una maternità surrogata. «La genitorialità legale non deve per forza coincidere con quella biologica». Via libera dunque al poliamore, tutto è permesso.
@LeoneGrotti

l sociologo Donati: «nuove famiglie? No, ce n’è una sola» -  25 febbraio, 2013 - http://www.uccronline.it

Famiglia donati

«La società contemporanea ritiene che il moltiplicarsi delle forme di famiglia sia un aumento di libertà per gli individui e quindi un progresso, invece è un regresso culturale. Un’illusione che non ha alcun riscontro scientifico. Un’illusione collettiva alimentata dall’ideologia e dai media che inseguono un mito di società felice che è in realtà un grande inganno». Lo ha affermato Pierpaolo Donati, già presidente dell’Associazione italiana di sociologia, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna e tra i maggiori esperti nazionali della tematica.

Il suo ultimo libro “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società“ (Rubbettino 2013), è una rigorosa analisi su quanto la ricerca nel campo delle scienze sociali ha prodotto a livello mondiale sul tema della famiglia, delle nuove famiglie e delle coppie omosessuali. «La famiglia intesa in senso naturale», ha spiegato in un’intervista per Avvenire, «è il contesto più logico per far nascere e crescere i valori essenziali alla base di ogni società che si proponga di durare nel tempo. Il libro mostra le ragioni scientifiche per cui questa concezione di famiglia, la famiglia naturale, resta la migliore». Di “famiglia come società naturale” parla anche la nostra Costituzione, ed è ovvia l’esclusione delle coppie omosessuali come ha riconosciuto di recente anche un’insospettabile Anna Finocchiaro, senatrice del PD. Anche il sociologo dell’Università di Bologna, Gianfranco Morra, non ha certamente dubbi: «io ritengo un errore il matrimonio fra due persone dello stesso sesso (e così ancora la maggioranza degli italiani). Ce lo dice la Costituzione (art. 29): “La famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”. E quel “naturale” significa formata da un uomo e una donna, che desiderano procreare ed educare figli».

Il grave problema di oggi, ha continuato il sociologo Donati, è che «Si vuole rendere indifferente il concetto di famiglia e il codice simbolico che la caratterizza. Convivenze, unioni di fatto, coppie gay, aggregazioni opportunistiche… si suppone che siano tutte forme equivalenti, come quando si dice che una coppia omosessuale possa essere anche più capace di cure nei confronti dei bambini rispetto a una coppia etero. Insomma, non c’è più la famiglia, ma le famiglie. Ma dal punto di vista scientifico queste affermazioni sono errate, perché una simile pluralità di forme familiari, per esempio, genera una società più discriminante». Invece, «è scientificamente dimostrato che le forme familiari non sono equivalenti, ma incidono in modo diverso sulla salute, l’istruzione, il lavoro e in generale sulle possibilità di vita delle persone».

Come ha spiegato anche l’attuale presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi (ANS), Pietro Zocconali, «i media non ne parlano, ma esistono decine di studi che dimostrano che c’è enorme diversità fra i bimbi cresciuti da coppie omosessuali e quelli cresciuti in coppie etero, come ce ne sono fra bimbi nati in una famiglia eterosessuale stabile e quelli nati da matrimoni instabili, da coppie di fatto, da separati e via dicendo. Non solo è documentato, ma è il frutto di indagini condotte su campioni vasti e da ricercatori che sono partiti dall’intento di dimostrare l’omogeneità fra le varie forme di famiglia, ma che si sono trovati con risultati di segno opposto. Insomma, non è un giudizio morale ma una presa d’atto».

Ed infine: «se si esce da un modello di famiglia naturale (fisiologica) costruita su dono, reciprocità, sessualità e generatività equamente presenti, interconnessi e in relazione l’uno con l’altro si genera una società costituita da forme diverse di famiglia (problematiche), che crea più difficoltà di quanto pensa di risolverne». Infatti, le «forme più deboli di famiglia (non sposati, un solo genitore, divorziati, senza figli…) sono quelle che si interessano meno al bene comune», mentre, «la famiglia normocostituita ha più interesse ai problemi sociali, li affronta in modo più equilibrato, ha più funzioni sociali ed è più utile alla società. Le famiglie più deboli sono inoltre quelle che hanno più bisogno di assistenza sociale e psicologica». Bisogna comprendere, ha concluso Donati, «che sono la durata e la qualità della relazione nella coppia uomo-donna a generare futuro e ciò che conta non sono gli interessi o i piaceri ottenibili dall’aggregazione di due individui, ma la capacità di generare un bene relazionale secondo i quattro componenti sopra citati».

Anche Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea presso La Sapienza di Roma, ha spiegato: «Il moltiplicarsi delle forme di famiglia porta con sé qualcosa di falso e di sbagliato. La famiglia è l’istituzione preposta alla procreazione e alla generazione, che avviene solo tra due esseri umani di sesso opposto. La famiglia non può quindi essere moltiplicata attraverso situazioni che non prevedono la possibilità di generazione, perché le persone che non possono procreare non sono famiglia. La famiglia è il luogo che serve a garantire una protezione e una possibilità di sopravvivenza ai bambini. E’ nata con questo scopo e non si può dire che sia un’altra cosa» e, in ogni caso, «una coppia eterosessuale che non può avere bambini da un punto di vista simbolico rappresenta comunque la fertilità dei due generi».

lunedì 25 febbraio 2013


Figlio disabile? Basta abortirlo. Inchiesta del governo inglese sulle interruzioni di gravidanza selettive 
febbraio 25, 2013 Redazione - http://www.tempi.it


L’anno scorso aveva fatto scalpore l’inchiesta del Daily Telegraph, che aveva scoperto che un terzo delle cliniche inglesi pratica aborti selettivi su base sessuale. Poi a inizio anno è stato il ministro della salute Earl Howe ad ammettere che «tra il 2007 e il 2011 i dati delle nascite variano sensibilmente a seconda della nazionalità della madre e del sesso del nascituro». Infine, all’inizio del mese, l’Osservatorio europeo sulle malattie congenite Eurocat ha pubblicato un rapporto secondo cui tra il 2006 e il 2010 ci sono stati almeno 157 aborti illegali, perché il nascituro era affetto da labbro leporino o piedi equini.
APERTA L’INCHIESTA. Non stupisce dunque che il governo inglese abbia deciso di aprire un’inchiesta sull’aborto selettivo nel Regno Unito. L’inchiesta, guidata dalla parlamentare Fiona Bruce, terminerà alla fine di marzo e sarà condotta da una commissione di 12 membri.

«DOVREMMO INORRIDIRE». La legge inglese permette l’aborto fino alla 40esima settimana se i test indicano che il bambino è «gravemente disabile». Che cosa questo significhi, però, non è stato definito e il timore è che molti medici abbiano approfittato della vaghezza della legge per uccidere bambini con il piede equino o palatoschisi. La commissione indagherà anche sugli aborti selettivi in base al sesso. Fiona Bruce ha affermato: «Gli inglesi dovrebbero inorridire sapendo che è ormai provato che un numero significativo di bambine vengono abortite illegalmente nel Regno Unito solo perché femmine».



Fondazione don Gnocchi, sperimentazione sulla coscienza dei pazienti usciti dal coma 
febbraio 25, 2013 Redazione - http://www.tempi.it/


 Non vedono, non parlano, spesso non sono in grado di segnalare a nessuno che cosa accade nella loro mente. Eppure non basta questo a sancire che in quelle menti, rapite al mondo da traumi o gravi lesioni, c’è il vuoto assoluto. Anzi. Il tema dello stato di coscienza delle persone con profonde lesioni neurologiche è diventato tristemente popolare da quando si discute di fine vita e testamento biologico, ma c’è chi, in quei meandri misteriosi della mente, si muove da tempo, confortato dall’esperienza decennale dell’assistenza a persone con questo tipo di patologie. È quanto fa la Fondazione don Gnocchi, che ora sta lanciando una raccolta fondi per sostenere l’acquisto di macchinari necessari proprio per indagare il livello di coscienza delle persone con gravi lesioni cerebrali.

APRIRE LA SCATOLA NERA DEL CERVELLO. All’Istituto “Palazzolo” di Milano della Fondazione Don Gnocchi è infatti in atto una sperimentazione su persone con gravi cerebrolesioni per valutare le loro effettive potenzialità di recupero misurando la comunicazione interna al cervello, condizione necessaria affinché la coscienza possa emergere. Ciò è possibile grazie a un innovativo strumento denominato TMS/EEG, che, combinando stimolazione magnetica transcranica ed elettroencefalogramma, misura in maniera non invasiva il dialogo interno al cervello di pazienti usciti dal coma. I risultati del lavoro avranno importanti ricadute in campo clinico, dato che la distinzione tra pazienti in stato vegetativo e pazienti che possono invece recuperare un livello minimo di coscienza è così difficile da portare un errore diagnostico anche nel 40 per cento dei casi.

COME SOSTENERE IL PROGETTO. Per sostenere l’acquisto del nuovo strumento diagnostico innovativo, la Fondazione Don Gnocchi avvia una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi con SMS solidale: dal 24 febbraio al 17 marzo 2013 si possono donare 2 euro inviando un SMS al 45507 oppure fino a 5 euro con una chiamata da rete fissa. Il ricavato servirà all’acquisto dei macchinari necessari e alla formazione di personale medico specializzato

DAI MUTILATINI IN POI . Istituita alla fine della seconda guerra mondiale da don Carlo Gnocchi - oggi Beato - per assicurare cura, riabilitazione e integrazione sociale ai mutilatini, la Fondazione ha progressivamente ampliato nel tempo il proprio raggio d’azione. Oggi continua ad occuparsi di bambini e ragazzi portatori di handicap, affetti da complesse patologie acquisite e congenite; di pazienti di ogni età che necessitano di interventi riabilitativi neuromotori, cardiorespiratori e oncologici; di persone affette da sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o altre gravi patologie invalidanti; di anziani non autosufficienti (Alzheimer, Parkinson e altre demenze senili); di malati oncologici terminali e pazienti con gravi cerebrolesioni o in stato vegetativo prolungato.

La pillola contraccettiva dopo lo stupro? Ma il vero rimedio è l’accoglienza - febbraio 25, 2013 Benedetta Frigerio - http://www.tempi.it/




 Alla notizia della presa di posizione della Conferenza episcopale tedesca, che ha sollevato la necessità di rivedere la contrarietà della Chiesa verso i contraccettivi d’emergenza, come la pillola del giorno dopo, nei casi di stupro della donna «solo nel caso in cui non siano abortivi», c’è sicuramente da chiedersi se l’affermazione sia scientifica o meno (è ormai noto che la pillola contraccettiva può provocare l’aborto, ndr). Ma soprattutto vengono in mente i casi reali di bambini nati da violenza. Come Ken, figlio di uno stupro, per cui la vita è «straordinaria», o Sandra che di suo figlio, concepito in un atto da cui la donna ha cercato di sottrarsi, parla come del «sole della mia vita». C’è poi la comunità Amici di Lazzaro, stupita da quanto L., figlio di una mamma violentata, sia un bimbo «pieno di vita e gioia». Da ultimo riaffiora alla memoria il caso estremo di alcune donne, delle suore, che abbandonarono addirittura la propria vocazione per «accudire con amore» i loro figli nati da stupri avvenuti nell’estate del 1993, durante la guerra in Bosnia.

SONO FELICE. La prima storia risale all’ottobre scorso, quando Todd Akin, politico americano, aveva fatto una gaffe parlando di stupro “legitimate”, parola ambigua che può voler dire oltre che “vero e proprio” anche “legittimo”. Alla notizia, un uomo, chiamato Ken, era intervenuto in sua difesa. Ken, cresciuto in una famiglia adottiva, conobbe la madre a 30 anni, scoprendo che a 15 la donna era stata violentata. Aiutata da un’istituzione cattolica di carità lasciò loro il piccolo. «Mi si rivolta lo stomaco quando sento parlare di stupro, perché è qualcosa di orribile», aveva precisato l’uomo. Raccontando che al padre avrebbe «tirato un pugno», che «lo stupro è una cosa spaventosa», ma che anche «da qualcosa di così terribile può nascere il bene. E io ne sono la prova». Di più, l’uomo ora sposato con tre figli, e ha detto che «non si può parlare di questi bambini come di condannati». Perché, come lui, «possono nascere, possono crescere, possono vivere una vita».

«MIO FIGLIO È IL MIO SOLE». Il caso di Sandra e di suo figlio Roman è invece apparso il 27 settembre scorso sul quotidiano tedesco Bild. Lei si chiedeva come avrebbe potuto amare un figlio nato da una violenza ma da quando nacque, ha raccontato, «ogni volta che sorride, l’orrore subito non mi interessa più: mio figlio è il sole della mia vita. Che io riesca a sentirmi così per lui, mi rende incredibilmente felice, perché ho la consapevolezza delle circostanze terribili del suo concepimento».

«FELICE PERCHE’AMATO». L. invece è un piccolo di 6 anni, figlio di una giovane violentata, e da qualche mese ospite della comunità Amici di Lazzaro. Giunto lì dopo l’omicidio della madre è stato descritto così: «È un bambino vivace ma ben educato, intelligente, sveglio, amichevole, affettuoso ma per nulla appiccicoso, pieno di vita, in buona salute, bello e promettente. Sprizza gioia di vivere da tutti i pori, e non lo fa per posa. È proprio così. Appena ti vede ti salta al collo, ma mica ci resta per molto: ti coinvolge in una vorticosa conversazione che spazia ampiamente oltre i confini dei pensieri che occupavano la tua mente un minuto prima». E si intuisce da dove venga tanto bene: di sua madre si sa che era stata lasciata sola, isolata persino dalla famiglia, ma che aveva accettato anche questo pur di accudire quel bambino che amava pur essendo stata violentata. E non parliamo di una madre santa: quella di L. non aveva, come si dice, una vita troppo regolare.

LE SUORE BOSNIACHE. Fu invece nel marzo del 1994 che emerse la notizia delle suore Bosniache che, violentate nel giugno del 1993 durante la guerra, avevano deciso di tenere i loro figli, anche se ciò significava o tornare allo stato laicale, o rimanere in convento dando in adozione i bambini. Durante la guerra in Bosnia furono altre le donne violentate e fece scalpore l’appello del beato Giovanni Paolo II che disse a loro di non abortire. Appello che valse anche per le religiose. Ad alcuni teologi, che già allora parlavano di pillola contraccettiva in casi del genere parve troppo, ma non alle suore stesse che accettarono il fatto che una novizia fosse andata a vivere in città, continuando a sostenere madre e figlio come parte della propria comunità.

@frigeriobenedet


Nozze gay, comincia l'attacco delle Regioni di Tommaso Scandroglio - 25-02-2013 - http://www.lanuovabq.it/

Franco Grillini


“Il matrimonio può essere contratto da persone di sesso diverso o dello stesso sesso con i medesimi requisiti ed effetti”. Si tratta dell’art. 1 della Proposta di legge che il Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna ha depositato alla Camera il 15 Febbraio scorso affinché diventi legge dello Stato. La bozza di legge è stata elaborata dai consiglieri Franco Grillini (Gruppo Misto) e  Liana Barbati (Idv). E’ la prima volta che una proposta di legge per il riconoscimento del “matrimonio” omosessuale nasce da un’iniziativa di un Consiglio regionale.

Cosa altro prevede questa proposta di legge? In primo luogo l’eliminazione da tutti i documenti ufficiali – non solo leggi e regolamenti statali ma anche dallo stato di famiglia e altri documenti simili – delle parole “marito” e “moglie” che verranno sostituite dal termine “coniuge”. Ci pare un gesto di rispetto verso la lingua italiana: la “marita” e il “moglio” suonano proprio male. 

In secondo luogo, oltre alla possibilità di adozione di un trovatello o del figlio già venuto alla luce dell’altro partner, si è anche coniata una nuova e rivoluzionaria idea di filiazione para-naturale. All’art. 3 infatti si legge: “Il coniuge dello stesso sesso è considerato genitore del figlio dell’altro coniuge fin dal momento del concepimento in costanza di matrimonio, anche quando il concepimento avviene mediante il ricorso a tecniche di riproduzione medicalmente assistita, inclusa la maternità surrogata”. In buona sostanza si possono dare questi tre casi. Primo: la donna lesbica concepisce un figlio in modo naturale, ovviamente non con la propria compagna ma con un terzo, di sesso maschile, il quale si è prestato come “fecondatore”. Secondo caso: la donna lesbica ricorre alla Fivet. Terzo caso: la coppia omosessuale – due donne o due uomini – ricorrono all’utero in affitto. In tutti questi casi al momento del concepimento quel figlio in automatico diventa figlio di entrambi i membri della coppia. E’ lo sforzo davvero titanico e insieme utopico di rendere uguale dal punto di vista giuridico il concepimento avvenuto tra una coppia eterosessuale sposata con quello ricercato da una coppia omosessuale.

Ma forse l’aspetto più interessante di questa proposta di legge sta in ciò che i due estensori dicono nella Relazione iniziale e in un comunicato che hanno emesso successivamente. Lì vengono in evidenza le strategie ideologiche per arrivare alla legge. In sintesi si tratta di questo: occorre porre sotto assedio il Parlamento. Come riuscirci? Ecco le armi dello scontro.

In primo luogo in puro stile hegeliano si mette ben in chiaro che la morale muta e nulla è per sempre: è la Storia con la esse maiuscola che ci indica dove andare. Non la natura umana, i principi non negoziabili e tutta quella paccottiglia culturale dei preti. “La vita di coppia – si illustra nella Relazione - è alla base della famiglia che […] non costituisce una struttura cristallizzata, ma si modifica di pari passo alle trasformazioni della società, dei costumi e dell’ordinamento giuridico. La famiglia come il matrimonio costituisce un istituto duttile che […] la sociologia e l’antropologia ci raccontano mutevoli nel tempo e nello spazio”. 

Secondo: se il legislatore non ha ancora capito che i tempi sono cambiati, dia almeno ascolto ai giudici, che ormai la sanno lunga su questo tema. Grillini e Barbati richiamano infatti la sentenza n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale la quale stabiliva che “l’unione omosessuale” ha “il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri” invitando il Parlamento “ad individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le forme suddette”. Poi ricordano la sentenza della Cassazione n. 4184 del 2011 la quale con una serie di carpiati mortali affermava che il “matrimonio” omosessuale certo che non esiste nel nostro ordinamento, ma i suoi effetti, se dichiarati tali da un giudice compiacente, certo che esistono. E’ come dire che non serve un albero per produrre frutti. 

Infine come non far appello all’Europa? E dunque ecco il riferimento alla sentenza Shark e Kopf contro Austria del 24 giugno del 2010 della Corte Europea dei diritti dell’uomo confermata nel suo contenuto proprio nei giorni scorsi: è “artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della vita familiare”. Grillini & Co. naturalmente pescano nel mucchio delle sentenze nazionali e internazionali quelle che portano acqua al mulino omosessuale. Infatti si scordano di citare quelle sentenze della Corte di Cassazione che invece giudicavano inesistente il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso (Corte di cassazione, sentenze n. 7877 del 2000, n. 1304 del 1990 e n. 1808 del 1976). 

Il pressing contro il Parlamento nostrano condotto utilizzando le aule dei tribunali è stato anche di recente applicato dall’on. Concia la quale ha contratto un’unione civile con la sua compagna in Germania e poi ha chiesto al Tribunale di Roma il riconoscimento anche qui in Italia di tale vincolo giuridico. I magistrati hanno respinto la domanda e allora l’onorevole ha fatto sapere che ricorrerà ai giudici di Strasburgo. In realtà la Concia sapeva benissimo che la sua richiesta sarebbe finita nel cestino e forse in cuor suo se ne rallegra perché proprio grazie a questo rifiuto non solo può montare un drammone giuridico a livello europeo ma aver la prova provata che il nostro ordinamento sconta gravi lacune su questo fronte: “Il tribunale di Roma – dice la Concia - esorta infatti il legislatore a colmare il vuoto in materia. Ed io sono convinta che nella prossima legislatura noi del centrosinistra ci riusciremo. Siamo assolutamente pronti ad una legislatura di tipo europeo per le coppie omosessuali”.

Altro trucchetto per far sentire il fiato sul collo ai parlamentari è quello di qualificare gli omosessuali come categoria discriminata, meritevole di tutela giuridica. E’ l’escamotage di innescare nel sentito sociale una falsa pietas verso coloro che sono considerati “ultimi”, soggetti socialmente fragili e colpiti – dicono Grillini e Barbati - da “invisibilità sociale”. Se siamo minoranza dobbiamo essere tutelati, così come stabilito dalla Costituzione. E’ un vecchio trucco già applicato su altri fronti. Ad esempio alla donna che ha subito violenza deve essere concesso il “diritto” di abortire, al malato il “diritto” di morire, alla coppia sterile il “diritto” di avere un figlio, alla coppia fertile ma con una malattia genetica il “diritto” ad avere un figlio sano, alla donna tradita il “diritto” a divorziare. Tutti soggetti che nel percepito diffuso sono“minus habens”.

Poi nella Relazione ecco comparire un’intuizione originale: se gli omosessuali sono una minoranza discriminata, cosa dire dei figli degli omosessuali che “sono costretti per legge ad avere un solo genitore”? (Domandiamo noi: per legge o perché mamma ha deciso di diventare lesbica?). Non sono loro gli emarginati per eccellenza? Perché non permettere allora la loro adozione o il loro riconoscimento?

Grillini e Barbati a questo punto non si arrendono ancora e sfruttano un altro stratagemma tipico dei nemici della vita e della famiglia: il sentito popolare. E via a snocciolare i dati di un sondaggio del 2010 dell’Istat in cui più della metà degli italiani riteneva che gli omosessuali sono discriminati e quasi la metà era d’accordo sulle “nozze” gay. Se i parlamentari sono i rappresentanti del popolo e il popolo ha questo orientamento pro-omosessualità, Camera e Senato sono pregati di darsi una mossa.

Infine l’ultimo colpo di ariete. Nel comunicato stampa a cui accennavamo prima Grillini lancia una sfida: “Infine rivolgiamo l’invito ai colleghi delle altre Regioni a presentare anche nei loro consigli questa proposta di legge perché un pronunciamento corale non potrà che influire positivamente sui lavori del Parlamento nazionale”. Grillini & Co. chiamano quindi tutti a raccolta: le amministrazioni locali, i giudici, i cittadini, i sociologi che ci dicono che la morale cambia, la Costituzione che tutela le minoranze. Tutti. Una chiamata universale alle armi per marciare verso Roma ed ottenere la tanto sospirata vittoria.


Le femministe italiane stravolgono la legge 194 -  24 febbraio, 2013 - http://www.uccronline.it/



Femen 

Recentemente Serenella Fuksia, capolista marchigiana del Movimento 5 Stelle, ha fatto infuriare i saltimbanchi sessantottini del Fatto Quotidiano sostenendo che «la legge 194 è una sconfitta e non una vittoria per tutte le donne [...] L’aborto rappresenta sempre un problema e pertanto dovremmo impegnarci a renderlo evitabile. L’aborto non è un anticoncezionale, talora una certa superficialità porta invece a considerarlo tale [...]. L’obiettivo deve essere non far trovare la donna nella necessità di farlo perchè costretta, magari per mancanza di welfare adeguato».

Le anacronistiche femministe anticlericali di “Se non ora quando”, definite “altezzose borghesi romane la cui principale attività è piazzare le amichette” in politica”, non hanno ancora capito che è proprio la legge 194 a dire quello che ha affermato la Fuksia, si legge infatti che lo Stato ha il compito -tramite i Consultori- di «far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza», che l’aborto «non è mezzo per il controllo delle nascite» e bisogna evitare che «sia usato ai fini della limitazione delle nascite» (lo è stato ribadito anche nel recente convengo organizzato dai docenti delle cattedre di Ostetricia e Ginecologia delle Università di Roma, da cui è emerso questo comunicato).

In poche parole, la legge 194 afferma che l’aborto in Italia non è lecito, tranne l’eccezione di un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Lo ha spiegato perfettamente il giurista Francesco D’Agostino, ordinario di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, nonché Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica: «La situazione italiana è questa: esiste una legge sull’aborto che fa eccezione al principio generalissimo della liceità delle pratiche abortive. L’aborto in Italia non è lecito, a meno che la donna non chieda l’applicazione a suo carico di quelle procedure previste dalla legge 194 che rendono legale la pratica abortiva. Quindi, a voler prendere sul serio quella legge, l’aborto in Italia è legale come situazione di eccezione, ed è oltretutto doveroso dare prova che le pratiche previste dalla legge siano state rispettate. In questo senso l’aborto in Italia è una legalizzazione parziale che si incastra nel principio generale della illiceità dell’aborto».

Si vuole invece far credere che la legge permetta di avere completo arbitrio sulla vita che porta nel grembo (“l’utero è mio e decido io”). Si vuole far crede che in Italia l’aborto sia libero e che debba essere considerato un diritto insindacabile della gestante. Ma c’è un altro paradosso nella situazione italiana: «la magistratura», ha spiegato il giurista, «ritiene giustamente responsabili i medici che, con pratiche mediche di qualunque tipo, danneggiano la salute del nascituro; di questo dobbiamo essere soddisfatti e dobbiamo chiedere che si prosegua lungo questa stessa via, però allo stesso tempo al nascituro non è riconosciuta soggettività giuridica. Il paradosso è questo: si difende la salute del nascituro ma non si ha il coraggio di dire che il nascituro è una persona, è una soggetto di diritto, è uno di noi. Da questa contraddizione non si esce, poiché essa, almeno per l’Italia, serve a giustificare una legge come la 194 che, obiettivamente, nonostante le belle espressioni che adopera, è servita a diffondere l’idea che l’aborto sia una pratica affidata liberalmente e discrezionalmente alla volontà della donna. In Italia viviamo cioè in un regime di aborto libero ed insindacabile che non viene avallato dal dettato esplicito della legge 194; come dire, viviamo in una situazione di contraddizione permanente».

Le femministe italiane, al posto di stravolgere la legge 194, dovrebbero difendere la dignità delle donne e ribadire che il corpo non è un oggetto e dunque prendere le distanze dalle Femen, la cui unica attività è mettersi in topless e aggredire chi non la pensa come loro. O per lo meno, spiega Luisella Saro, criticare il fenomeno delle madri surrogate indiane, il cui utero viene sfruttato per poche monete sopratutto dalla lobby gay per sfornare bambini da adottare. Il comitato promotore di Se Non Ora Quando ha scritto nel settembre del 2011: «Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale». Sottoscriviamo, rispediamo al mittente e attendiamo risposta.

La Francia non apre all’eutanasia, ma alla sedazione terminale -  24 febbraio, 2013 - http://www.uccronline.it

Eutanasia

Molti quotidiani hanno scelto di sottolineare nei titoli che la Francia avrebbe aperto all’eutanasia, salvo poi riferire che invece è stata accettata la sedazione terminale per pazienti in fine di vita che abbiano fatto richieste persistenti e lucide per la quale tutte le cure sono diventate inefficaci e i trattamenti palliativi già adottati, si parla di “situazioni cliniche eccezionali”.

Stranamente il disinformatore per eccellenza, Il Fatto Quotidiano, questa volta ha visto giusto e ha voluto correggere gli altri quotidiani italiani: «La sedazione terminale non ha nulla a che fare con l’eutanasia. La sedazione, legale in Italia e praticata normalmente in cure palliative, è la soppressione mediante farmaci della coscienza quando il dolore non è sostenibile, è un coma indotto farmacologicamente, una sorta (per capirci) di anestesia generale, che non solo non sopprime la vita, ma in molti casi prolunga la sopravvivenza. Perché menzionare allora l’eutanasia?».

Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di Oncologia medica dell’Istituto Tumori di Aviano, ha approfondito sottolineando che quella francese «non mi sembra una grande novità. Mi pare una decisione ovvia, nel caso in cui un paziente con malattia oncologica ha già sfruttato tutti i trattamenti oncologici possibili e si trova in una condizione di fine vita in cui la morte è attesa entro un lasso di tempo compreso tra poche ore e pochi giorni e vi è una impossibilità a controllare sintomi molto severi quali la fatica a respirare e i dolori, ed essendosi i medici e gli infermieri tra di loro consultati coinvolgendo anche i terapisti del dolore con un consenso sull’utilizzo della stessa sedazione terminale». Così «si può procedere a utilizzare farmaci che sedano il paziente e inducono alla perdita di coscienza così da “addormentarlo” senza più provare quei disturbi severi di cui sopra».

La sedazione in fase terminale è certamente approvata anche dalla Chiesa cattolica, come ha spiegato mons. Pierre d’Ornellas, arcivescovo di Rennes, Dol e Saint-Malo: «Una sedazione è legittima in fase terminale. Se la sofferenza è incontrollabile, la scienza deve continuare le sue ricerche per trovare l’analgesico e la maniera per somministrarlo perché permetta di alleviarla. Certo, ciò può provocare la venuta molto rapida della morte, ma la sua causa non è l’atto medico ma la malattia». Non a caso in Italia è stata legittimamente scelta anche dal card. Carlo Maria Martini, anche se purtroppo il suo sedicente figlio spirituale, Vito Mancuso, ha tentato di sfruttare la sua morte per una legge pro-eutanasia.

Se anche Il Fatto Quotidiano è riuscito a riportare correttamente la notizia, Corrado Augias è rimasto incorreggibile. Ha subito approfittato della notizia golosa e falsa per le sue prediche, oltretutto affermando: «Del resto alcuni paesi europei (Paesi Bassi, Svizzera che io sappia, forse anche altri) hanno già introdotto la possibilità di un suicidio assistito e non risulta che ci siano stati inconvenienti degni di nota». Se per una buona volta Augias fosse informato di ciò di cui vuole parlare, saprebbe che perfino la rivista The Lancet si è mostrata preoccupata per la situazione dei Paesi Bassi. Lo stesso ha fatto recentemente l’European Institute of Bioethics (EIB) e diversi operatori sanitari del Belgio -alla faccia di Augias e “dell’inesistenza di inconvenienti”- hanno spiegato allarmati: «Per depenalizzare l’eutanasia, il Belgio ha aperto un vaso di Pandora. Come previsto, una volta tolto il divieto, si cammina rapidamente verso una banalizzazione dell’eutanasia. Dieci anni dopo la depenalizzazione dell’eutanasia in Belgio, l’esperienza dimostra che una società che sostiene l’eutanasia rompe i legami di solidarietà, fiducia e sincera compassione che sono alla base del “vivere insieme”, arrivando ad auto-distruggersi».

Questo perché mentre l’eutanasia è stata legalizzata per malati terminali, lentamente il piano inclinato ha portato alla possibilità di eutanasia anche per ciechi, minorenni “in grado di discernere”, affetti da artrosi, malati di Alzheimer, detenuti sani e anche coloro che soffrono di depressione. Si è scoperto, infine, che la legalizzazione del suicidio assistito aumenta per contagio il tasso di suicidio generale nella popolazione, soprattutto per gli adolescenti.

La redazione

sabato 23 febbraio 2013


L’offensiva per i matrimoni gay arriva in America. Obama chiede ufficialmente un “sì” alla Corte suprema -febbraio 23, 2013 Redazione - http://www.tempi.it


 Si allarga il fronte dell’offensiva per la legalizzazione dei matrimoni omosessuali. Dopo le campagne condotte dal governo socialista di François Hollande in Francia e da quello conservatore di David Cameron del Regno Unito, la battaglia per l’equiparazione totale delle unioni gay alle nozze tradizionali attraversa l’oceano e arriva nell’America di Obama.
Il presidente fresco di riconferma, infatti, mantenendo l’impegno assunto all’insediamento per il secondo mandato, ha avanzato una richiesta formale alla Corte suprema per l’abolizione dell’articolo 3 del Defense of Marriage Act (Doma), legge federale del 1996, che definisce il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna.

LA PRIMA VOLTA DELLA CASA BIANCA. Il 26 e 27 marzo il massimo organo della giustizia americano dovrà pronunciarsi sul ricorso di Edith Windsor, una lesbica che si è sposata legalmente in Canada nel 2007 e che poi, rimasta vedova, si è vista recapitare dal fisco americano un’ingiunzione di pagamento da 360 mila dollari per le tasse di successione. In base al Doma, infatti, la Windsor sul suolo statunitense non è considerata una donna sposata.
Nel documento della Casa Bianca – con il quale per la prima volta un presidente americano si schiera a favore dei matrimoni omosessuali davanti alla Corte suprema – si sostiene che il Defense of Marriage Act «viola la garanzia fondamentale dell’uguaglianza davanti alla legge» e impedisce a «decine di migliaia di coppie omosessuali, legalmente sposate nei loro Stati, di godere degli stessi vantaggi federali delle coppie eterosessuali». Le nozze tra persone dello stesso sesso sono legali in nove stati americani su 50 oltre e nella capitale Washington.

Dorme, soffre, deglutisce. Le evidenze sul feto che nemmeno gli abortisti possono negare 
febbraio 22, 2013 Benedetta Frigerio - http://www.tempi.it


«Sembra che di questi tempi tutti abbiano diritti, tranne che il feto. E che ciascuno sempre di più ne reclami per se stesso salvo poi dimenticarsi dei doveri (…). Il feto non è persona, si dice, e se non è persona non può essere soggetto di diritti», così inizia l’articolo di Stefano Bruni, ricercatore medico e pediatra pubblicato sul portale cristiano Uccr.



DNA. Ma cosa vuole dire essere una “persona”? Un onesto abortista non può negare che l’uomo è tale sin dal concepimento. Dal punto di vista genetico, ad esempio, ormai si sa che «l’uomo è diverso da qualsiasi scimmia, gorilla o macaco che sia», che «ogni uomo è diverso da qualsiasi altro uomo, gemelli inclusi». A dimostrarlo fu il padre della genetica, Jérôme Lejeune, per cui oggi possiamo vedere il Dna dell’embrione.
COSCIENZA. Non solo, il ricercatore cita lo studio pubblicato da alcuni autori francesi nel 2009 sulla rivista internazionale Pediatric Research. Lo studio parla della coscienza del feto. Si sostiene «che il feto dorme per la maggior parte del tempo e si trova quindi in stato di incoscienza», ma gli autori stessi ammettono «che tentare di svegliare un feto con uno stimolo doloroso provoca un aumento della sedazione anziché il risveglio», come se lo stato di sedazione abbia un effetto protettivo nei suoi confronti. Se dunque il feto si deve proteggere dal dolore e da sensazioni spiacevoli significa che «può esserne cosciente». Bruni fa poi notare che gli autori ammettono che il neonato ha un cervello in una fase di sviluppo che progressivamente evolve, anche se «sembrano dimenticare che questo “continuum” di sviluppo ha in realtà origine molto prima della nascita del bambino».

CINQUE SENSI. Si stanno poi moltiplicando in letteratura gli studi che riguardano «l’esperienza sensoriale-intellettiva» del feto in epoca molto precoce. Quell’esperienza che «è in grado di strutturargli addirittura una “memoria” propedeutica allo sviluppo successivo, durante la fase post-natale. Oggi, continua l’articolo, siamo in grado di studiare la risposta del feto alla voce della madre, e «sappiamo che già dalla diciannovesima settimana di gestazione è possibile osservare una risposta fetale come conseguenza di una stimolazione sonora».
Il suo cuore batte poi in maniera diversa quando ascolta la voce della sua mamma «già dalla ventinovesima settimana di gestazione». Ma la cosa più affascinante «è che questa sua capacità, con il progredire continuo delle competenze fetali (…) permette al feto di memorizzare e riconoscere, una volta che sarà nato, la voce della madre tra le tante voci che ascolterà, di provare interesse particolare nei confronti di canzoni o musica che gli siano state fatte ascoltare nel periodo prenatale, addirittura di dimostrarsi più attento e più incline ad imparare fonemi ascoltati in utero anziché espressioni linguistiche non proprie della sua mamma».
Tutte cose che gli saranno «utili per il successivo sviluppo delle proprie competenze dopo la nascita». Prima di due mesi il feto ha già sviluppato il senso del gusto: alla settima settimana «presenta le papille gustative», tanto che è dimostrato che «l’esposizione in utero a sapori diversi (il feto deglutisce numerose volte nelle 24 ore il liquido amniotico e ne percepisce dunque il sapore che varia al variare dell’alimentazione materna) fa sì che il neonato ricordi e preferisca quei sapori che ha conosciuto in epoca molto precoce durante il suo sviluppo». Anche l’olfatto è già maturo, poiché nel terzo trimestre prenatale «il bambino è in grado di riconoscere odori percepiti in utero attraverso il contatto del liquido amniotico con i suoi recettori olfattivi».

DOLORE. È poi provato che «il feto prova dolore già in epoca molto precoce del suo sviluppo». E perché ci sia dolore occorre «che ci sia una struttura centrale in grado di elaborare le varie sensazioni determinando una reazione emozionale. Studi su neonati anche gravemente prematuri dimostrano ampiamente come stimoli tattili o dolorosi evochino una robusta attività corticale e dunque una percezione cosciente del dolore. Così come prova dolore, il feto è capace di elaborare e ricordare anche le sensazioni piacevoli». Leibniz lo aveva detto, anche se riferendosi ad altro tema: “Natura non facit saltus”.

COSA FA LA DIFFERENZA? Lo sviluppo dell’uomo è un continuum che inizia al momento del concepimento e continua per tutta la vita, prima intrauterina e poi alla luce del sole. E in questo sviluppo non si può individuare un “salto di qualità” che trasforma completamente una realtà in un’altra (…) E questo non solo guardando la realtà dal punto di vista scientifico».

@frigeriobenedet  

venerdì 22 febbraio 2013


Ecco perché il feto umano è da considerarsi persona, 21 febbraio, 2013, di Stefano Bruni, pediatra - http://www.uccronline.it

 Feto 11 settimane

“Essere o non essere, questo è il problema”. Contesto, quello della tragedia shakespeariana, completamente diverso da quello in cui mi appresto ad addentrarmi. Ma domanda centrata: “Essere o non essere: questo è il nocciolo della questione!”: il feto è o non è un essere umano vivente, unico ed irripetibile, con coscienza di sé e dunque in quanto tale persona e perciò soggetto di diritti, in primis quello alla vita?

Sembra che di questi tempi tutti tranne che il feto abbiano diritti, e che ciascuno sempre di più ne reclami per se stesso (salvo poi dimenticarsi dei doveri che da questi diritti discendono e che dovrebbero essere la condizione per meritarsi i diritti stessi). Anche tra i più illuminati ben pensanti, un qualche generico diritto anche del feto viene accettato, ma questo è pur sempre subordinato, in second’ordine rispetto a quello della madre. Come dire: un diritto “parziale”, che c’è e non c’è ed è comunque limitato. Limitato dal fatto che il feto non è persona, si dice, e se non è persona non può essere soggetto di diritti.

Ma cosa vuole dire essere una “persona”? E perché il feto non sarebbe una persona? Non sono un filosofo né un teologo e nemmeno un giurista. Quello che voglio proporre è un’opinione che trae spunto da solide evidenze scientifiche.

Ormai anche gli abortisti più convinti (almeno quelli con un minimo di cultura e senso logico), hanno dovuto inchinarsi all’evidenza biologica-genetica-tassonomica che feto ed embrione umani sono un “essere umano vivente unico e irripetibile”. Dal punto di vista genetico l’uomo è diverso da qualsiasi scimmia, gorilla o macaco che sia (se si esclude una certa somiglianza tra questi primati e coloro che si ostinano a negare la suddetta evidenza scientifica!) e ogni uomo è diverso da qualsiasi altro uomo, gemelli inclusi. Un uomo non è il suo patrimonio genetico ma certamente il suo DNA lo caratterizza e lo distingue da tutti gli altri esseri viventi. Su queste evidenze dunque non mi soffermerò, avendolo tra l’altro già fatto in articoli e commenti precedentemente postati su questo sito.

Se dunque ogni embrione e ogni feto è un essere umano vivente unico e irripetibile, come si può giustificarne la soppressione senza che ciò configuri un omicidio e dunque un vero e proprio atto criminoso? Pare che la giustificazione risieda nel fatto che embrione e feto non sarebbero “persona” in senso giuridico e per questa loro condizione dunque non possano essere considerati titolari, soggetti di diritti, ivi incluso quello alla vita.

Ho letto molto spesso ed ho sentito dire altrettante volte che un pre-requisito essenziale della “personalità” è la “coscienza di sé”. E siccome, si sottolinea, il feto non ha coscienza di sé allora non può essere considerato persona e dunque soggetto di diritti. Una difesa del feto nei confronti dell’aborto non può prescindere quindi dalla soluzione di questo primo, originale (nel senso di: “che sta alle origini”) problema, cioè cosa sia la coscienza e se il feto sia cosciente o no. “Essere o non essere”, il dilemma ritorna.

Trovo che per definire la “coscienza” possa essere interessante leggerne la definizione che ne dà il CICAP, ente certamente non confessionale. È una delle più interessanti che ho trovato: “… uno stato soggettivo di consapevolezza sulle sensazioni psicologiche (pensieri, sentimenti, emozioni) e fisiche (tatto, udito, vista) proprie di un essere umano e su tutto ciò che accade intorno ad esso. La soggettività della coscienza è data dal fatto che ogni persona ha una propria modalità di rapportarsi alle esperienze e tale modalità dipende in gran parte da un determinato stile culturale di appartenenza. … In un individuo la consapevolezza di se stessi e dell’ambiente si struttura grazie ad un insieme di funzioni psico-fisiologiche come la percezione, la memoria, l’attenzione, l’immagazzinamento e l’elaborazione delle informazioni, tutte dipendenti l’una dall’altra e controllate dal cervello. Tutte le informazioni, sia esterne che interne, passano attraverso i nostri organi recettori (occhi, naso, recettori muscolari) e, dopo aver raggiunto il sistema nervoso, vengono da quest’ultimo elaborate.”

Un’interessante review di autori francesi pubblicata nel 2009 su Pediatric Research tenta di sostenere come tutte le reazioni identificabili nel feto con le moderne tecnologie siano in realtà probabilmente pre-programmate e con un’origine sottocorticale inconscia. Questi autori sostengono che il feto dorme per la maggior parte del tempo e si trova quindi in stato di incoscienza, in parte anche a causa dell’effetto di una sedazione endogena legata al basso livello di ossigeno del sangue fetale, all’effetto del pregnanolone e della prostaglandina D2 prodotta dalla placenta. Nello stesso articolo però gli autori citano due elementi che dal mio punto di vista indeboliscono la loro posizione. L’evidenza sperimentale che tentare di svegliare un feto con uno stimolo doloroso provoca un aumento della sedazione anziché il risveglio mi fa pensare che lo stato di sedazione, di abbassamento dello stato di coscienza abbia un effetto protettivo nei confronti del feto. Ma, mi chiedo, da cosa dovrebbe essere protetto il feto se non proprio da dolore e sensazioni spiacevoli che, se non avesse un qualche livello di coscienza non significherebbero nulla per lui? Dunque se la natura ha fatto in modo di proteggere il feto dal dolore significa che il feto può esserne cosciente.

In altre parole si tratta di uno stato di “ridotta coscienza” artificiale, esattamente come quella che mettiamo in atto con la sedazione palliativa nei malati terminali o più semplicemente nelle persone che devono sottoporsi ad un intervento chirurgico. Non è che queste persone non abbiano una coscienza; semplicemente l’abbiamo ridotta per evitare loro la sensazione spiacevole del dolore, fisico o psichico. L’altro elemento che trovo contraddittorio di questo articolo è che da una parte gli autori ammettono che il neonato ha un cervello in una fase di sviluppo “transizionale” che progressivamente evolve verso quello dell’adulto, mentre sembrano dimenticare che questo “continuum” di sviluppo ha in realtà origine molto prima della nascita del bambino. Se dunque, come gli autori ammettono, un neonato ha una propria coscienza, ancorché minima ed in evoluzione, perché mai questo non dovrebbe essere altrettanto vero anche per il feto?

In realtà, sempre più lavori originali stanno apparendo in letteratura riguardo l’esperienza sensoriale-intellettiva che un feto è in grado di costruirsi già in epoca molto precoce. Quell’esperienza che a nulla varrebbe se non potesse essere elaborata a livello cosciente e che invece è in grado di strutturargli addirittura una “memoria” propedeutica allo sviluppo successivo, durante la fase post-natale. Posso di seguito citare per brevità, a titolo meramente esemplificativo, solo alcune di queste evidenze scientifiche.

Oggi siamo in grado di  studiare la risposta del feto alla voce della sua mamma con metodiche funzionali non invasive e sappiamo che già dalla 19° settimana di gestazione è possibile osservare una risposta fetale come conseguenza di una stimolazione sonora. Il cuoricino del feto batte in maniera diversa quando ascolta la voce della sua mamma e questo accade già dalla 29° settimana di gestazione. Ma la cosa più bella è che questa sua capacità, con il progredire continuo delle competenze fetali, che segue la maturazione funzionale delle strutture cerebrali a ciò deputate, permette al feto di memorizzare e riconoscere, una volta che sarà nato, la voce della madre tra le tante voci che ascolterà, di provare interesse particolare nei confronti di canzoni o musica che gli siano state fatte ascoltare nel periodo prenatale, addirittura di dimostrarsi più attento e più incline ad imparare fonemi ascoltati in utero anziché espressioni linguistiche non proprie della sua mamma. È ormai assodato che il feto impara ad ascoltare e riconoscere, cioè elabora le sensazioni sonore che lo raggiungono e ne immagazzina nella memoria gli elementi essenziali che poi gli torneranno utili per il successivo sviluppo delle proprie competenze dopo la nascita. Questi ed altri studi suggeriscono una capacità di memorizzare esperienze e di imparare attraverso queste esperienze che, già nel feto, evidentemente devono fare riferimento ad un livello più alto di controllo (sottocorticale/corticale), rispetto a quello rudimentale del tronco encefalico.

Il feto presenta le papille gustative già alla 7° settimana di gestazione ed è dimostrato che l’esposizione in utero a sapori diversi (il feto deglutisce numerose volte nelle 24 ore il liquido amniotico e ne percepisce dunque il sapore che varia al variare dell’alimentazione materna) fa sì che il neonato ricordi e preferisca quei sapori che ha conosciuto in epoca molto precoce durante il suo sviluppo. I gusti del bambino perciò si formano anche grazie all’esperienza maturata nell’ambiente uterino. Anche l’olfatto fetale è già strutturalmente maturo entro il terzo trimestre di vita prenatale e alla nascita il bambino è in grado di riconoscere odori percepiti in utero attraverso il contatto del liquido amniotico con i suoi recettori olfattivi.

Sappiamo oggi (anche qui) che il feto prova dolore già in epoca molto precoce del suo sviluppo. Perché ci sia dolore occorre non solo che siano funzionanti i recettori che distinguono e raccolgono le sensazioni perifericamente, ma anche che ci sia una struttura centrale in grado di elaborare le varie sensazioni determinando una reazione emozionale. Studi su neonati anche gravemente prematuri dimostrano ampiamente come stimoli tattili o dolorosi evochino una robusta attività corticale e dunque una percezione cosciente del dolore. Così come prova dolore, il feto è capace di elaborare e ricordare anche le sensazioni piacevoli. Tra gli altri studi, molto interessanti sono quelli compiuti osservando le risposte alle coccole materne di neonati molto prematuri (dei feti, in pratica, che vivono e proseguono il loro sviluppo nell’utero surrogato che è l’incubatrice). La kangaroo-care, ad esempio, cioè tenere il piccolo prematuro a contatto della pelle della mamma, tra i suoi seni, sappiamo che tranquillizza il bimbo. È stato anche osservato come un prematuro riesca a concentrarsi sulle parole e le coccole della mamma tanto da essere distratto dal dolore provocato ad esempio da un prelievo venoso. In un bell’articolo pubblicato lo scorso anno gli autori sottolineano come lo sviluppo del feto sia una progressione di eventi all’interno dei quali si può individuare anche un’attività, ancorché rudimentale, di tipo cognitivo, correlata all’apprendimento.

Dunque non mi pare possano esserci dubbi su cosa, chi siano embrione e feto. Salvo voler negare le evidenze scientifiche, alla domanda se “sia o non sia” una persona umana vivente in formazione, unica e irripetibile, con una propria “esperienza” razionale di sé e dell’ambiente che lo circonda e quindi con un qualche livello di seppur minima “coscienza”, genetica, biologia, neurologia, neurobiologia, neuroradiologia, fisiologia, ricerca scientifica e medica e il semplice buon senso danno una risposta inequivocabilmente positiva. Una bella review scritta da un neonatologo intensivista italiano riassume così, nel titolo del suo articolo, l’evidenza: “Il feto è una persona? Un’evidenza clinica”.

Se dunque il Codice Civile Italiano recita che “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita (462, 687, 715, 784).” mi verrebbe da dire che alla luce delle scoperte scientifiche che, in maniera incrementale, stanno spostando sempre più precocemente l’evidenza di una “personalità” del feto, il Codice Civile dovrebbe essere rivisto. Fissare al momento della nascita il godimento di diritti relativi alla personalità dell’individuo umano è arbitrario, così come lo è fissarlo in un momento specifico dello sviluppo fetale. Limiti fissati sulla base delle conoscenze di ieri sono abbondantemente stati anticipati dalle evidenze disponibili oggi e probabilmente saranno ulteriormente anticipati col progredire della scienza medica e la conoscenza del feto.

Leibniz lo aveva detto, anche se riferendosi ad altro tema: “Natura non facit saltus”. Lo sviluppo dell’uomo è un continuum che inizia al momento del concepimento e continua per tutta la vita, prima intrauterina e poi alla luce del sole. E in questo sviluppo non si può individuare un “salto di qualità” che trasforma completamente una realtà in un’altra. Il feto è uno di noi, una persona; anche se debole e per certi versi “mancante” di alcuni attributi della maturità e del pieno vigore intellettivo (questo non vale forse anche per il prematuro? e per l’ammalato? e per l’anziano? eppure nessuna persona sensata si sognerebbe di dire che prematuro, malato e anziano non sono persone). In altre parole l’essere-uomo coincide con l’essere-persona. E questo non solo guardando la realtà dal punto di vista scientifico.

Ma se il feto è una persona, può essere legittimo un diritto della donna a sopprimere quello che certamente É un INDIVIDUO umano con una propria, ancorché preliminare, “esperienza razionale”? Ed ecco che ancora una volta torna l’amletico dubbio: “Essere o non essere: questo é il punto”. Cioé se sia o non sia un diritto per la donna sopprimere quell’essere umano capace di sentire suoni, gusti e odori, di vedere, di provare piacere e dolore, in altre parole di “assaporare” la vita nell’ambiente che dovrebbe proteggerlo e supportarne lo sviluppo e di crearsi un’esperienza propedeutica al suo adattamento alla vita extrauterina; se sia o non sia un diritto della donna interrompere, negare il diritto di nascere, “abortire” questo meraviglioso continuum che conduce ad un nuovo uomo o a una nuova donna. E, non volendo essere politicamente corretti, la risposta mi é molto chiara: non può esistere un diritto del più forte di sopprimere il più debole, non quando parliamo di uomo.

Spero di avere spiegato il mio pensiero e di avere fornito sufficienti elementi scientifici a supporto della mia opinione. Ho citato solo una piccolissima parte dei lavori presenti nella letteratura scientifica internazionale sull’argomento; chi volesse può approfondire il tema con una semplice ricerca su PubMed.

Il monologo di Amleto continua, dopo il celeberrimo incipit: “…se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli … Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le ingiustizie del tiranno, il disprezzo dell’uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? … Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l’incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso: e dell’azione smarriscono anche il nome…”. Quasi un involontario monito per chi, come me, crede fortemente nel valore della vita umana in ogni suo istante di sviluppo, a non schierarsi, per quieto vivere, dalla parte del “politicamente corretto” ma ad impegnarsi, per amore della vita, nella battaglia in sua difesa.