lunedì 27 dicembre 2010

IL CASO/ Il Manifesto che "trasforma" i neonati in persone Carlo Bellieni - lunedì 27 dicembre 2010 - ilsussidiario.net

È stato presentato al Senato il 22 dicembre il “Manifesto dei diritti del bambino nato prematuro”, carta italiana dei diritti dei piccolissimi. È un passo importante che si deve in primo luogo alla perseveranza della Associazione “Vivere Onlus”, che coordina moltissime associazioni locali di bambini prematuri, e della Società Italiana di Neonatologia.

I diritti elencati sono fondamentali: diritto alla presenza dei genitori, all’allattamento materno, alla continuità delle cure, a nascere in un ospedale attrezzato appositamente, ecc. Carta importantissima ed esemplare. Ma pensate un momento: siamo arrivati a dover scrivere che dei cittadini hanno gli stessi diritti degli altri: non è un paradosso? Non dovrebbe essere ovvio? Invece no: perché i diritti di questi piccolissimi cittadini sono terribilmente a rischio.

Già: per qualcuno questi bambini sono dei cittadini un po’ meno cittadini degli altri. Per alcuni filosofi, infatti, questi cittadini non sono “persone”, e non sono filosofi eccentrici, ma quelli che compaiono con maggior frequenza e autorevolezza nelle maggiori riviste internazionali di bioetica. Come fanno a dire che non sono persone? Semplice, perché per loro si è persona solo se si ha “autocoscienza”, cioè capacità di autonomia decisionale.

È il nuovo culto del 21° secolo, che si chiama “principialismo”, e che mette quattro fondamenti per le decisioni etiche, il culmine dei quali è per l’appunto l’autonomia. Senza autonomia non sei persona. E questo culto purtroppo è così diffuso nella nostra società, che anche chi non sa niente di filosofia finisce per seguirlo. Ci sono linee-guida in vari Paesi che subordinano la rianimazione del neonato al rischio di handicap, ed evitano di rianimare sotto le 24 e alcuni sotto le 25 settimane di gestazione, anche se le possibilità di sopravvivenza sono alte. È rispetto per i disabili indifesi questo?

Altri protocolli subordinano la rianimazione al parere dei genitori, come se non ci fosse talora un chiaro conflitto di interesse (tanti episodi di cronaca ci mostrano casi di genitori “non meravigliosi”) e come se al momento della nascita i genitori fossero sereni e lucidi da decidere circostanziatamente e con conoscenze mediche chiare e profonde. Protocolli di rianimazione così fatti sarebbero impensabili per un adulto, ma nel neonato sono possibili; forse perché si sente che il valore intrinseco del neonato dipende dall’“umanizzazione” che gli si dà quando noi (adulti e autonomi) vogliamo. E questo è inaccettabile (vedi a questo proposito il nostro studio pubblicato su Acta Paediatrica nel gennaio 2010 e gli studi della canadese Annie Janvier per avere un’idea della discriminazione culturale che subisce il prematuro).
Dunque il Manifesto è un segnale importante per l’Italia e per il mondo: il neonato prematuro è una persona (art. 1) e ha diritto all’assistenza e alla migliore assistenza possibile. Ed è un passo importante verso un più ampio diritto dei genitori dei prematuri a un’assistenza da parte dello Stato, sommando al periodo di permesso dal lavoro riconosciuto a tutti i genitori, anche il periodo che il bambino passa in rianimazione, che può durare dei mesi. Non è pensabile che i genitori “passino” i mesi di congedo dal lavoro in ospedale e quando il figlio viene dimesso debbano ritornare al lavoro perché “il congedo è finito”. È una richiesta dell’Associazione Vivere, che le forze politiche devono fare loro.

L’ultimo punto cui la presentazione del Manifesto ci richiama è la prevenzione della prematurità. Perché la prematurità è in espansione, per via dell’aumento dell’età media a cui le donne sono costrette a mettere al mondo il primo figlio; e in questo non aiuta la fecondazione in vitro che spesso determina gemellarità e prematurità essa stessa, e magari induce nella popolazione la falsa idea che è possibile rimandare indefinitamente senza rischi la gravidanza, tanto ci pensa la medicina.

Molto deve essere fatto dalla cultura e dallo Stato per aiutare le donne a far figli in un’età sicura, fisiologicamente adatta alla gravidanza e dovrebbero essere sanzionati i giornali che banalizzano le gravidanze rimandate a età avanzate,o sbandierate erroneamente come “esempi” da seguire e non come imposizioni sociali quali spesso sono.

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