domenica 12 dicembre 2010

Su condom e AIDS il papa è sceso dalla cattedra - Si fa sempre più vivace la discussione aperta da Benedetto XVI su uno dei punti più sensibili della morale cattolica. Due nuovi interventi di un teologo e di un filosofo, in esclusiva su www.chiesa  -  di Sandro Magister

ROMA, 11 dicembre 2010 – La discussione su AIDS e profilattico accesa da Benedetto XVI con un passaggio del suo libro-intervista "Luce del mondo" registra in campo cattolico nuovi importanti sviluppi.

Contro le interpretazioni più restrittive delle parole del papa – di cui ha riferito www.chiesa in due precedenti servizi – è arrivata la replica di un teologo morale molto impegnato sul tema, lo svizzero Martin Rhonheimer (nella foto), docente di etica e filosofia politica alla Pontificia Università della Santa Croce, l'università romana dell'Opus Dei.

Non solo. È intervenuto nella discussione, difendendo un'interpretazione ancor più aperta ed estensiva delle parole del papa, anche un filosofo cattolico italiano di primo piano.

Ma andiamo con ordine.

Il professor Rhonheimer è lo stesso che già nel 2004, con un articolo su "The Tablet" di Londra, si era espresso a favore dell'uso del preservativo per finalità non contraccettive, in casi simili a quelli ora esemplificati da Benedetto XVI nel suo libro.

Quell'articolo, ci rivela oggi il suo autore, fu sottoposto all'esame della congregazione vaticana per la dottrina della fede. E la congregazione non trovò in esso nulla da eccepire.

Nello stesso tempo, però, quell'articolo di Rhonheimer fu vivacemente contestato da altri studiosi cattolici, in particolare da Luke Gormally, membro della Pontificia Accademia per la Vita.

E Gormally è di nuovo oggi uno dei più inflessibili sostenitori del "no" all'uso del profilattico, senza eccezione alcuna, neppure per una prostituta che voglia proteggersi da un'infezione mortale.

Oltre a lui e ad altri, si è pronunciato per un'interpretazione molto restrittiva delle parole del papa il gesuita Joseph Fessio, editore di "Luce del mondo" negli Stati Uniti, nonché membro dello Schülerkreis, il circolo degli studiosi che ebbero Joseph Ratzinger come loro professore di teologia.

In Vaticano, si è espresso in termini rigidi il cardinale Raymond Burke, prefetto del supremo tribunale della segnatura apostolica.

Il professor Rhonheimer ha quindi deciso di tornare sull'argomento, a sostegno di un'interpretazione più aperta – e a suo giudizio più fedele – delle parole del papa.

L'ha fatto con un'ampia intervista al più diffuso settimanale cattolico degli Stati Uniti, "Our Sunday Visitor", di cui sono riportati più sotto i passaggi principali.

E soprattutto l'ha fatto con un nuovo articolo, scritto espressamente per www.chiesa, pubblicato qui di seguito integralmente.

In esso, Rhonheimer spiega i motivi per cui Benedetto XVI ha pienamente ragione quando riconosce, nell'uso del profilattico in particolari situazioni di peccato, "un primo passo verso una moralizzazione" e "una prima assunzione di responsabilità".

Sul caso classico – non toccato dal papa – di una coppia di sposi di cui uno sia infetto e usi il profilattico per non trasmettere il contagio, Rhonheimer si esprime con cautela, limitandosi a indicare i criteri di giudizio.

Entra invece direttamente nell'esame di questo caso, difendendo la liceità dell'uso del preservativo, il filosofo cattolico autore dell'altro intervento importante di questi giorni.

Questi cela la propria identità firmando con il nome di Giovanni Onofrio Zagloba, che è un personaggio letterario ideato da Henryk Sienkiewicz, una specie di Falstaff polacco, ingegnoso e sbruffone.

Dalla lettura del testo si ricava che è ferrato in filosofia e teologia, è molto partecipe della vita della Chiesa e ha un'alta stima sia dell'attuale pontefice che del predecessore.

Il suo scritto, ampio ed argomentato, ha voluto che fosse pubblicato in forma di lettera.

Il testo integrale è dal 9 dicembre in "Settimo Cielo", il blog di corredo a www.chiesa per i lettori di lingua italiana (e riportato in fondo a questo articolo n.d.r.):

> "Caro Magister, le parole del papa sull'uso del preservativo..."

C'è un passaggio, in questo scritto, che sicuramente farà discutere, là dove l'autore parla dell'adulterio e ammette, in questo caso, l'uso del condom anche per scopi contraccettivi:

"Nell’adulterio ciò che è sbagliato non è l’uso (eventuale) del preservativo. È sbagliata la relazione sessuale con una persona che non è il proprio coniuge. Evitare che da quella relazione nascano dei figli può essere preferibile al fatto di aggravare ulteriormente la situazione con la procreazione di un bambino fuori del matrimonio".

Tornando a Rhonheimer, ecco dunque, nell'ordine, il suo articolo esclusivo per www.chiesa e la sua intervista a "Our Sunday Visitor".

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RIFLESSIONI SULLE CONSIDERAZIONI DEL PAPA SU AIDS E CONDOM

di Martin Rhonheimer


Perché papa Benedetto ha improvvisamente deciso di toccare il tema dell'AIDS e del condom? E perché lo ha fatto nel modo in cui l'ha fatto?

Stando a ciò che dice a Peter Seewald in "Luce del mondo", il papa era rimasto deluso dalle reazioni alle sue considerazioni su questo tema durante il suo viaggio in Africa nel marzo del 2009. La tempesta che ne seguì nei media mostrò che nella società occidentale erano diffuse tre credenze: che i profilattici erano la soluzione all'AIDS in Africa; che l'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione implicava una proibizione dell'uso del preservativo da parte di persone dedite a stili di vita immorali e ad alto rischio; e che quando papa Benedetto aveva detto che le campagne di promozione dei profilattici per combattere l'AIDS in Africa erano "inefficaci", era sembrato riferirsi alle affermazioni fatte nel 2004 dal cardinale Alfonso López Trujillo, all'epoca capo del pontificio consiglio per la famiglia, secondo cui i profilattici erano troppo permeabili per opporre un'effettiva barriera alla trasmissione del virus dell'HIV.

Papa Benedetto era desideroso di dissipare questi miti, e nel suo libro-intervista lo fa in pochi brevi paragrafi. Ha messo in chiaro che le campagne di promozione dei preservativi "banalizzano" la sessualità, consentendo al virus di diffondersi ancor di più, e che solo "umanizzando" la sessualità la diffusione del virus può essere frenata. Ma ha anche aggiunto che l'uso di un profilattico da parte di un prostituto [o di una prostituta], quando usato per prevenire l'infezione, sarebbe almeno "una prima assunzione di responsabilità"; e dicendo questo ha implicitamente smontato gli altri due miti: poiché se i profilattici fossero inefficaci nel frenare la trasmissione del virus tra gruppi ad alto rischio, farne uso non sarebbe un atto responsabile. E se, come alcuni avevano detto, la Chiesa ha insegnato che i preservativi sono "intrinsecamente un male", allora il papa difficilmente potrebbe riconoscere il loro uso come un "primo passo" sulla via verso un progresso morale.

Personalmente, mi ha confortato che egli abbia fatto chiarezza sull'ultimo punto, poiché quando, alcuni anni fa, ho sviluppato il tema in un articolo su "The Tablet" di Londra (“The truth about condoms”, 10 luglio 2004), fui accusato da numerosi buoni e fedeli cattolici di difendere la distribuzione dei profilattici per fermare l'epidemia dell'AIDS e, quindi, di minare gli sforzi della Chiesa in difesa dei valori del matrimonio, della fedeltà e della castità. Ma mentre l'articolo era fatto oggetto di pubbliche critiche, prevalentemente da parte di colleghi nella teologia morale, fui informato che la congregazione per la dottrina della fede, allora guidata dal cardinale Ratzinger, non aveva trovato nulla da eccepire in esso o nelle sue argomentazioni.

Ciò che mi indusse a scrivere quell'articolo fu che nel numero precedente di "The Tablet", l'allora suo vicedirettore, Austen Ivereigh, in un articolo di commento a un programma della BBC, "Panorama", che analizzava le affermazioni del cardinale López Trujillo, metteva tra loro in contrasto due posizioni nella Chiesa sulla questione dell'uso del profilattico contro l'AIDS.

La prima era quella del cardinale Godfried Danneels, all'epoca arcivescovo di Bruxelles, del quale fu riportata questa citazione: "Se una persona infetta da HIV ha deciso di non rispettare l'astinenza, allora deve proteggere il suo partner e può farlo in questo caso usando un preservativo". Fare diversamente, disse il cardinale, sarebbe "infrangere il quinto comandamento", non ammazzare.

La seconda era una citazione dell'allora responsabile per l'istruzione del cattolico Linacre Centre di Londra, Hugh Henry, il quale, in disaccordo con le posizioni del cardinale Danneels, disse a Ivereigh che l'uso di un profilattico era un peccato contro il sesto comandamento, in quanto "mancando di onorare la struttura fertile che ogni atto coniugale deve avere, non può costituire una mutua e completa personale donazione di sé, e quindi viola il sesto comandamento".

Ciò ha fatto pensare che, come Ivereigh ha scritto, un "lavoratore emigrato che va in un bordello in Sudafrica non dovrebbe, naturalmente, fare sesso; ma se lo fa, sembra suggerire Henry, non dovrebbe usare un preservativo per evitare di trasmettere l'AIDS alla donna, poiché il suo uso mancherebbe di onorare la struttura fertile che gli atti coniugali devono avere". E ha concluso: "I lettori devono decidere se sia il cardinale Danneels o il Linacre Centre a offrire l'indicazione più strana".

Il mio punto di vista, leggendo questo articolo, era che entrambe le indicazioni citate avevano punti vulnerabili essenziali, e che la scelta tra le due era ingannevole. Il problema era che sia l'uno che l'altro esprimevano le loro posizioni in termini di norme od obblighi morali – usare o non usare un preservativo – laddove un approccio normativo era inadeguato per affrontare la questione.

Ciò che il Linacre Centre proponeva come l'autentica posizione cattolica era che esiste un obbligo morale, per persone non caste dedite ad atti sessuali peccaminosi, almeno di astenersi dall'usare preservativi, al fine di evitare un ulteriore peccato contro il sesto comandamento e quindi di rendere meno peccaminosi i loro atti peccaminosi, anche se da ciò derivasse di infettare altre persone o loro stessi con una malattia mortale. Un simile argomento fa credere erroneamente che sia l'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione a portare a simili conseguenze controintuitive; ma questo insegnamento riguarda essenzialmente l'amore coniugale e la sua espressione nel rapporto sessuale, e non si applica a simili circostanze. Viceversa, la posizione del cardinale Danneels ha sì una certa plausibilità, ma semplicemente rovescia il sofisma di Henry convertendo in una norma morale per quelle persone l'obbligo di almeno usare un preservativo, al fine di non peccare addizionalmente contro il quinto comandamento. Come Henry, il cardinale Danneels stabilisce una norma morale al fine di rendere meno immorale un comportamento intrinsecamente immorale.

Per tornare alla tesi del Linacre Centre: l'insegnamento della "Humanae vitae" non include la fissazione di una norma morale su come compiere atti intrinsecamente cattivi; la Chiesa non ha mai prodotto un simile insegnamento, né lo farà mai, poiché un simile insegnamento sarebbe semplicemente contro il senso comune. La sola cosa che la Chiesa può eventualmente insegnare circa, ad esempio, a uno stupro, è l'obbligo morale di astenersi da esso del tutto, non di portarlo a termine in una modalità meno immorale. Ci sono contesti nei quali le indicazioni morali perdono completamente il loro significato normativo poiché esse possono al massimo diminuire un male, non essere dirette al bene; ciò che deve essere vinto, ed è normativo sconfiggere, è l'intrinseco disordine morale in quanto tale. Come scrissi nel 2004, "sarebbe semplicemente privo di senso stabilire norme morali per tipi di comportamento intrinsecamente immorali".

L'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione non è un insegnamento sui "condom", ma sul vero senso e significato della sessualità e dell'amore coniugale. La questione della contraccezione è differente dalla questione dell'uso del condom. La contraccezione in quanto intrinsecamente cattiva è descritta dalla "Humanae vitae" al n. 14 (ripresa nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2370) quando "o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga [in latino "intendat"], come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione". La contraccezione non è semplicemente un'azione che di fatto impedisce la procreazione, ma un'azione di impedimento della procreazione che è precisamente compiuta con un intento contraccettivo. (L'impedimento di fatto della concezione non è sufficiente perché un atto sia, in un senso morale, un atto di contraccezione; questo è il motivo per cui l'uso di pillole antiovulatorie per regolare il ciclo di una donna per ragioni mediche non è contraccezione nel senso morale).

Ma da ciò consegue che uno dovrebbe positivamente consigliare di usare i condom per motivi strettamente profilattici? Le persone che non vogliono cambiare il loro modo di vita e che usano i condom per prevenire l'infezione di se stesse o di altri, a me sembra che abbiano almeno conservato un certo senso di responsabilità, come lo stesso papa Benedetto ha detto in "Luce del mondo". Ma noi non possiamo dire che essi "dovrebbero fare così" oppure sono "moralmente obbligati" a farlo, come il cardinale Danneels sembrava suggerire. Papa Benedetto sottolinea questo quando mette in chiaro che [il profilattico] non è una "soluzione morale". Questo è il motivo per cui è anche sbagliato sostenere in questo caso principi come il "male minore", il quale stabilisce che al fine di evitare un male più grande può essere scelto un male minore se c'è una ragione proporzionata. Questa metodologia morale, nota come "proporzionalismo", non è un insegnamento della Chiesa, ed è stata rigettata da papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica del 1993 "Veritatis splendor", con la quale papa Benedetto XVI è pienamente concorde.

Dicendo, come egli fa, che uno agisce con "un certo senso di responsabilità" nel cercare di evitare l'infezione, il papa non sostiene che usare il preservativo per prevenire le infezioni di HIV significa agire responsabilmente. Una reale responsabilità, per delle prostitute, significherebbe astenersi completamente da contatti sessuali rischiosi e immorali e cambiare completamente il loro stile di vita. Se non lo fanno (perché non possono, o non vogliono), esse agiscono almeno soggettivamente in un modo responsabile quando cercano di prevenire l'infezione, o almeno agiscono meno irresponsabilmente di quelle che non lo fanno, che è un'affermazione alquanto diversa.

Questa è una posizione di senso comune, espressa in termini personalistici; non è una norma morale positiva che permette un "male minore". la Chiesa deve sempre  proporre alla gente di fare il bene, non il male minore; e la cosa buona da fare – e quindi da consigliare – non è di agire immoralmente e nello stesso tempo di diminuire l'immoralità minimizzando i possibili danni causati da essa, ma di astenersi dal comportamento immorale in tutto. Ecco perché una giustificazione dell'uso profilattico del condom come "male minore" è sbagliata e pericolosa, poiché apre la strada a giustificare qualsiasi tipo di scelta morale di un "male minore": fa il male che il bene verrà. È anche una questione mal posta. I condom di per sé, considerati come "cose", non sono un "male"; nell'insegnamento della Chiesa il loro uso negli atti contraccettivi quali definiti dalla "Humanae vitae" è male, ma come abbiamo mostrato, questa enciclica non si applica alla profilassi.

Ciò che le parole di papa Benedetto non toccano è il caso di una coppia sposata nella quale uno dei coniugi sia infetto, e nella quale un profilattico sia usato per proteggere l'altro dall'infezione. Nel mio articolo del 2004 mi sono riferito a simili casi piuttosto incidentalmente, parlando di "ragioni pastorali o semplicemente prudenziali" che sarebbero contro l'uso dei condom in queste circostanze. Questo caso è diverso da quello precedente, e più complesso, poiché qui è in gioco ciò che propriamente costituisce un atto coniugale. È importante sottolineare che la questione della contraccezione nel matrimonio e quella della prevenzione dall'infezione con l'uso del condom si riferiscono a due differenti problemi morali.

Senza dubbio la questione continuerà a essere dibattuta; ma qualsiasi cosa la Chiesa dichiari alla fine su questo tema, ci saranno sempre per i pastori buone ragioni per esortare all'astinenza in queste situazioni, poiché l'uso di un condom esclusivamente per finalità mediche è in realtà qualcosa di teorico. È probabile che – almeno per coppie fertili – l'intenzione di prevenire l'infezione si mescoli con l'intento propriamente contraccettivo di evitare la concezione di un neonato infetto. Personalmente, io non incoraggerei mai una coppia a usare un preservativo, ma ad astenersi. Se essi non sono d'accordo, io non penserei che il loro rapporto sessuale sia ciò che i teologi morali chiamano un peccato "contro natura" al pari della masturbazione o della sodomia, come alcuni teologi morali sostengono. Ma la completa astinenza sarebbe la scelta moralmente migliore, non solo per ragioni prudenziali (i condom non sono completamente sicuri nemmeno quando sono usati con attenzione e correttamente), ma perché corrisponde meglio alla perfezione morale – a una vita virtuosa – astenersi del tutto da atti pericolosi, piuttosto che prevenire i loro pericoli usando uno strumento che aiuta ad aggirare l'esigenza di sacrificio.

Nel difendere l'insegnamento della Chiesa e la via da essa indicata per prevenire la trasmissione dell'HIV si dovrebbe evitare di ricorrere ad argomentazioni autodistruttive e prive di senso che deformano lo stesso insegnamento della Chiesa. Mentre esortiamo all'astinenza, alla fedeltà e alla monogamia come la vera soluzione per fermare l'epidemia dell'AIDS, non dobbiamo negare che l'uso del preservativo da parte di gruppi ad alto rischio causa il calo dei tassi di infezione, mentre contiene la diffusione dell'epidemia in altre parti della popolazione. Ma questo compito è principalmente di pertinenza delle autorità civili.

Il ruolo della Chiesa nella battaglia contro l'AIDS non è quello del vigile del fuoco che cerca di contenere la devastazione, ma quello di insegnare e aiutare la gente a costruire case a prova di fuoco e ad evitare di fare ciò che può far scoppiare l'incendio, oltre naturalmente a curare quelli che hanno riportato ustioni. La Chiesa fa così, soprattutto, per offrire la riconciliazione con Dio e la guarigione delle anime di coloro che sono stati feriti nella loro umana dignità dai loro stessi comportamenti immorali o dalle terribili scelte e circostanze imposte dall'AIDS.

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"IL PAPA HA VOLUTO PORTARE LA DISCUSSIONE IN CAMPO APERTO"

Intervista con Martin Rhonheimer


D. – Alcuni commentatori cattolici considerano le osservazioni del papa un cambiamento totale; altri dicono che non è cambiato assolutamente nulla. Qual è la posizione giusta?

R. – Né l'una né l'altra. Comincerei con la seconda: "Niente è cambiato". Non è vero. Papa Benedetto, immagino dopo un'attenta ponderazione, ha fatto affermazioni pubbliche che hanno cambiato la riflessione su queste materie, sia dentro che fuori la Chiesa. Per la prima volta è stato detto da parte del papa in persona, sia pure non in un formale atto di insegnamento del magistero della Chiesa, che la Chiesa non "proibisce" incondizionatamente l'uso profilattico del condom. Al contrario, il Santo Padre ha detto che in certi casi (nel commercio del sesso, ad esempio), il loro uso può essere un segno di un primo passo verso la responsabilità (nello stesso tempo chiarendo che questa non è né una soluzione per vincere l'epidemia dell'AIDS né una soluzione morale; la sola soluzione morale è abbandonare uno stile di vita moralmente disordinato, e vivere la sessualità in un modo realmente umanizzato). Queste considerazioni accendono molte sensibilità su entrambi i versanti, e questo è il motivo per cui spero che il passo compiuto da papa Benedetto possa cambiare il modo con cui discutiamo questi temi, verso un modo meno teso e più aperto.

Ma l'altra posizione, secondo cui ciò che ha detto il papa è un cambiamento totale, è ugualmente inesatta.

Primo, ciò che egli ha detto non cambia in nessun modo la dottrina della Chiesa sulla contraccezione; semmai conferma questa dottrina, come insegnata dalla "Humanae vitae".

Secondo, le sue affermazioni non dichiarano che l'uso del condom sia privo di problemi morali o sia in genere permesso, anche per finalità profilattiche. Papa Benedetto parla di "begründete Einzelfälle", che tradotto letteralmente significa "giustificati singoli casi" – come il caso di una prostituta – nei quali l'uso del condom "può essere un primo passo nella direzione di una moralizzazione, una prima assunzione di responsabilità".

Ciò che è "giustificato" non è l'uso del condom come tale: non, almeno, nel senso di una "giustificazione morale" da cui consegua una norma permissiva tipo "è moralmente permesso e buono usare in condom in questo e quel caso". Ciò che è giustificato, piuttosto, è il giudizio che ciò può essere considerato un "primo passo" e "una prima assunzione di responsabilità". Papa Benedetto certamente non ha voluto stabilire una norma morale che giustifichi eccezioni.

Terzo, ciò che papa Benedetto dice non si riferisce a persone sposate. Parla solo di situazioni che sono in se stesse intrinsecamente disordinate.

Quarto, come ben mette in chiaro, il papa non difende la distribuzione dei condom, che egli crede portino a una "banalizzazione" della sessualità che è la causa primaria della diffusione dell'AIDS. Egli semplicemente menziona il metodo "ABC", insistendo sull'importanza di A e B (astinenza e fedeltà, "be faithful"), considerando C ("condom") un ultimo ripiego (in tedesco "Ausweichpunkt") nell'eventualità che delle persone rifiutino di seguire A e B.

Inoltre, molto più importante, egli dichiara che quest'ultima soluzione appartiene propriamente alla sfera secolare, cioè a programmi di governo per combattere l'AIDS. Ciò che il papa ha detto, quindi, non riguarda come le istituzioni sanitarie guidate dalla Chiesa debbano trattare i condom. Ha dato una valutazione su che cosa pensare riguardo a una prostituta che abitualmente fa uso di condom, non riguardo a coloro che sistematicamente li distribuiscono al fine di contenere l'epidemia, cosa che è nella responsabilità delle autorità di uno stato. Da parte sua, la Chiesa continuerà a presentare la verità riguardo all' esercizio pienamente umano della sessualità.

D. – Nelle sue osservazioni, papa Benedetto non definisce l'uso del condom da parte di persone infette di HIV un "male minore", eppure è così che alcuni teologi e leader cattolici spiegano ciò che ha detto. Sono i preservativi in qualche caso un "male minore"?

R. – Descrivere l'uso del preservativo per prevenire il contagio come un male minore è molto ambiguo e può produrre confusione. Certo, possiamo dire che quando una prostituta usa un condom, ciò diminuisce il male della prostituzione o del turismo sessuale, dato che diminuisce il rischio di trasmettere il virus HIV a più larghi strati della popolazione. Ma ciò non significa che sia bene scegliere atti cattivi per conseguire una finalità buona.

Fermo restando che un comportamento sessuale immorale dovrebbe essere evitato in tutto, a mio giudizio il punto giustamente messo in luce dal Santo Padre è che quando una persona che già sta compiendo atti immorali usa un preservativo, egli o ella non scelgono propriamente un male minore, ma semplicemente cercano di prevenire un male, il male del contagio. Dal punto di vista del peccatore questo ovviamente significa scegliere un bene: la salute.

D. – Se il papa dice che l'uso del preservativo in alcuni casi può essere un segno di risveglio morale, non è che egli dice che la pratica della contraccezione è talvolta accettabile? O che la pratica della contraccezione è preferibile alla trasmissione dell'HIV?

R. – Un condom è fatto per essere un mezzo per impedire ai fluidi maschili di penetrare nel grembo della donna. Il suo uso corrente è per la contraccezione. Nel caso di cui parla il papa, invece, la ragione del loro utilizzo non è di impedire il concepimento, ma di prevenire il contagio. Non dobbiamo confondere gli atti umani, che possono essere intrinsecamente buoni o intrinsecamente cattivi, con delle "cose". Non è il condom come tale, ma il suo uso che presenta problemi morali. Quindi, ciò che il papa dice non si riferisce anche alla questione della contraccezione.

Sappiamo che alcuni teologi morali sostengono che poiché – eccetto nel caso di partner sessuali sterili – l'effetto dei condom è sempre fisicamente contraccettivo e per questa ragione intrinsecamente cattivo, coloro che li usano necessariamente commettono il peccato della contraccezione, anche se non ne fanno uso per questo scopo. Questo è il motivo per cui essi argomentano che il loro utilizzo rende un atto già immorale ancora peggiore. Ma ciò che papa Benedetto ha detto ora – tenuto conto che non ha voluto restringere il caso alla sola prostituzione omosessuale maschile, nella quale la questione della contraccezione ovviamente non si pone – indebolisce in modo decisivo questa argomentazione.

Io penso che la sola via per sfuggire dal bizzarro vicolo cieco a cui portano tali argomentazioni – la tesi, ad esempio, che anche da un punto di vista morale sarebbe meglio per una prostituta essere infettata che utilizzare un condom – è avere ben chiaro che i preservativi, considerati come tali, non sono "intrinsecamente contraccettivi" nel senso di un giudizio morale. È il loro uso, e l'intenzione implicata in questo uso, che determina se l'uso di un condom equivale a un atto di contraccezione.

D. – Si può presumere che il papa fosse consapevole della confusione che certe parole possono produrre tra i cattolici. Non le chiedo di fare congetture indebite sulle sue intenzioni, ma che cosa di buono può venir fuori da questo?

R. – È evidente che il Santo Padre ha voluto portare questa materia in campo aperto. Sicuramente ha previsto il trambusto, i fraintendimenti, la confusione e anche lo scandalo che avrebbe potuto causare. E credo che egli abbia giudicato che sia necessario, nonostante tutte queste reazioni, parlare di queste cose, nello stesso spirito di apertura e di trasparenza con il quale, da quando era a capo della congregazione per la dottrina della fede, ha trattato i casi di abuso sessuale tra il clero. Penso che papa Benedetto creda nella forza della ragione, e che dopo un certo tempo le cose diverranno più chiare. Egli ha cambiato la riflessione pubblica su questi temi e ha preparato il terreno per una più vigorosa e appropriata comprensione e difesa dell'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione, come parte di una dottrina dell'amore coniugale e del vero significato della sessualità umana.


Il papa e il preservativo. Un filosofo cattolico ci scrive di Giovanni Onofrio Zagloba


Caro Magister,
le parole del papa sull’uso del preservativo contenute nel libro intervista a Peter Seewald “Licht der Welt” hanno destato sensazione. Alcuni le hanno salutate come una provvidenziale attenuazione della posizione tradizionale di chiusura sulla contraccezione, altri vi hanno visto un tradimento della dottrina cattolica sulla sessualità, altri ancora hanno cercato di minimizzarle sostenendo che il papa non ha in realtà detto nulla di nuovo. Lei ne ha (a mio parere giustamente) sottolineato la novità e la positività. Il problema è il seguente: in cosa consiste tale novità e positività? A me sembra che il papa si sia comportato come quello scriba del Vangelo che trae dal suo scrigno “cose vecchie e cose nuove”. Le sue parole ci offrono una prospettiva nuova per vedere la dottrina di sempre. Dicono insieme di più e di meno di quello che alcuni interpreti vi hanno voluto vedere. Questa volta il papa si è espresso in un linguaggio colloquiale, non tecnico. Questo rende più difficile ai teologi capire la portata esatta delle sue parole, ha però anche il vantaggio di raggiungere direttamente ed efficacemente l’uomo comune. Vediamo più in dettaglio di cosa si tratta.
QUELLO CHE IL PAPA HA DETTO
Cerchiamo prima di tutto di collocare le affermazioni del papa nel loro giusto contesto. La domanda di Seewald riguarda il viaggio in Africa del papa e la risonanza che ebbero le sue parole quando disse che davanti al dramma dell’AIDS il condom non è la soluzione. Si rimproverava alla Chiesa di essere lontana dal dramma dell’AIDS e addirittura di essere responsabile del diffondersi della malattia a causa del suo rifiuto del preservativo. Nella intervista il papa non rinnega nulla di quanto allora ha detto. La Chiesa è vicina ai malati di AIDS, ne rispetta la dignità e ne condivide la pena. Circa un quarto dei malati di AIDS nel mondo sono curati in istituzioni cattoliche. Il condom però non è la soluzione. La soluzione è la astinenza prematrimoniale e la fedeltà coniugale. Una coppia di sposi fedeli è isolata dal contagio. La cultura della sessualità responsabile è la vera risposta all’AIDS. Le campagne di propaganda del profilattico hanno il difetto di dare per scontato che la fedeltà coniugale sia impossibile e che le relazioni sessuali non possano essere contenute all’interno di una norma morale. Il presupposto di quelle campagne è che la persona non possa controllare la propria sessualità e che non abbia nemmeno un obbligo morale di farlo. È la cultura del “one night stand”. Vai a letto una notte con uno, e quella dopo con un altro. Insieme con quella cultura si diffonde inevitabilmente anche l’AIDS e l’uso del condom può certo ritardare questa diffusione ma non impedirla. A prescindere dall’AIDS quella cultura crea solitudine e disperazione umana ed è il contrario della cultura della famiglia e del lavoro di cui l’Africa ha bisogno per crescere.
Ai giovani la Chiesa dirà non di usare il condom ma di evitare i rapporti prematrimoniali. Alle coppie la Chiesa non dirà di usare il condom ma di essere fedeli. Ma cosa dirà la Chiesa alle prostitute? Qui inizia il problema a cui il papa vuole rispondere.
C’è stata, a questo proposito, una polemica nella polemica che riguarda la traduzione del testo del papa. Il papa ha usato l’espressione “Prostituierter” che il traduttore italiano ha tradotto con “prostituta”. Qualcuno ha osservato che la parola, in tedesco, è di genere maschile. La differenza non è di poco conto. Se un transessuale usa il condom in un rapporto omosessuale passivo l’uso, evidentemente, non può avere né una finalità né un effetto contraccettivo e quindi il papa, dicendo che in tale caso il prostituto fa bene ad usarlo non solo non direbbe nulla di nuovo ma non direbbe neppure nulla di interessante. In realtà mi sento di difendere il povero traduttore italiano che si è trovato davanti ad un compito impossibile. Nel dizionario tedesco la parola “Prostituierter” non c’è. Neppure nel Duden (il grande dizionario che fa testo). C’è però il verbo “prostituieren”, prostituirsi. “Prostituierter” è il participio passato maschile di “prostituieren”. Indica dunque un maschio? Non necessariamente. Il participio passato ha una funzione aggettivale, bisogna dunque vedere di che sostantivo è aggettivo. In questo caso l’aggettivo è sostantivato e il sostantivo quindi non è espresso. È chiaro in questo caso che il riferimento è ad un uomo che si prostituisce. In tedesco , però, esistono due parole che significano “uomo”. Una di esse è “Mann” (uomo maschio) e l’altra è “Mensch” (essere umano, maschio o femmina). Il papa voleva dire “ein prostituierter Mann” oppure “ein prostituierter Mensch” ? Non sappiamo. Il traduttore si è trovato davanti a un compito impossibile. Forse avrebbe dovuto tradurre “un essere umano di sesso maschile ma forse anche di sesso femminile”. Traduzione evidentemente improponibile. Si è deciso a tradurre con “prostituta”. Non lo condanneremo. Conforta la sua scelta il fatto che il papa parla chiaramente di un uso del condom moralmente significativo e anche il fatto che il papa fa riferimento (un poco avanti nel testo) alla teoria “ABC” in tono cautamente positivo o almeno senza condannarla. Cosa dice questa teoria, sviluppata in ambito secolare sulla base della esperienza sul campo? Prima di tutto dice di non avere rapporti sessuali fuori di una scelta di comunità di vita coniugale. A sta per “abstinence”. Una volta stabilita questa comunità di vita dice di essere fedeli. B sta per “Be faithful”.Se proprio non ci riesci (per esempio perché fai la prostituta) almeno usa il condom. Sui primi due punti sembrano non esserci problemi per la morale cattolica. Cosa dire sul terzo?
Proviamo a svolgere il ragionamento del papa. Se fai la prostituta il tuo primo problema morale non è certo il condom ma la prostituzione. Se proprio non riesci a tirartene fuori almeno usa il condom in modo da non mettere a rischio la tua vita e quella dei tuoi clienti. L’uso del condom rimane in sé peccaminoso e nessun cambiamento viene apportato alla dottrina tradizionale. È tuttavia un peccato meno grave dell’omicidio o del tentato omicidio, del suicidio o del tentato suicidio che commetteresti accettando un rapporto non protetto. Per questo, come dice esattissimamente il papa, può essere un primo passo verso un recupero della coscienza morale. Esistono peccati più gravi di altri? Non c’è dubbio, lo attesta una lunghissima tradizione che risale a san Tommaso ed oltre. Erano gli stoici ma non i cristiani a sostenere che tutti i peccati sono eguali. Ad un amico devo sempre indicare la vita della virtù. Se però (per il momento) non riesce a seguirla faccio bene a consigliarlo almeno di evitare le colpe più gravi. Non c’è nessun cambiamento dottrinale. C’è una intelligente lettura pastorale che ha conseguenze di grande rilievo, per esempio, per il politico che deve decidere in materia di campagne di propaganda anti AIDS oltre che per tutti quelli che hanno il compito di orientare altre persone (genitori, educatori ecc…). Non posso dire al mio popolo che il condom è la soluzione. Devo parlare prima di tutto di astinenza e di fedeltà. Però posso (devo) dire anche: se proprio non ce la fai usa almeno il condom.
QUELLO CHE IL PAPA NON HA DETTO
Il papa non è in alcun modo intervenuto sulla polemica suscitata dall’articolo di Martin Rhonheimer che giustifica l’uso del condom nel caso di rapporti in cui un coniuge sia malato di AIDS. Il referente delle parole del papa è la prostituta, quello della argomentazione di Rhonheimer il coniuge. Rhonheimer applica la nota teoria del doppio effetto dell’azione. Nel mettere il preservativo io ho una finalità: proteggere il coniuge dal contagio. L’azione ha però due effetti: protegge dal contagio ma evita anche il concepimento. Un effetto è voluto, l’altro invece no. Io sarei lieto di poter avere un bambino ed il fatto che il concepimento non avvenga non è il fine verso il quale è rivolta la mia volontà ma la conseguenza non voluta, anche se prevedibile, di una azione che mira a salvaguardare la salute del coniuge. Io sono responsabile delle conseguenze intenzionali del mio atto e non di quelle non intenzionali (anche se prevedibili). Sulla tesi di Rhonheimer vi sarebbero molte cose da dire ma qui ci accontenteremo di segnalare il fatto che su di essa il papa non prende posizione. Né a favore né contro. Parla di un’altra cosa e da un’altra prospettiva.
QUELLO CHE POSSIAMO PENSARE
Ma non ha proprio nulla da dire il papa al coniuge di un malato di AIDS? La domanda non gli è stata posta e quindi il papa non ha risposto. È però possibile cercare di applicare il criterio che il papa ha usato anche a situazioni differenti. Lo si fa, naturalmente, a proprio rischio e pericolo e senza in alcun modo impegnare l’autorità del papa. Il criterio è, lo ricordiamo, che ci sono colpe maggiori e colpe minori, c’è un più e un meno anche nel peccato. Sulla base di questo criterio dovremmo dire al coniuge del malato che il Signore lo chiama a una difficile croce, a una particolare unione alla croce di Cristo. Dovremmo però anche dirgli che avere rapporti non protetti è peggio che avere rapporti protetti e se non riesce a compiere interamente il dovere morale cerchi almeno di non mettere in pericolo la vita propria e quella della persona amata.
Il principio è naturalmente estensibile ad altre situazioni che non hanno nulla a che fare con l’AIDS.
Nell’adulterio ciò che è sbagliato non è l’uso (eventuale) del preservativo. È sbagliata la relazione sessuale con una persona che non è il proprio coniuge. Evitare che da quella relazione nascano dei figli può essere preferibile al fatto di aggravare ulteriormente la situazione con la procreazione di un bambino fuori del matrimonio.
E cosa dire della procreazione di un numero di figli chiaramente superiore a quello che siamo in grado di allevare ed educare? È anche questo un male maggiore rispetto all’uso di strumenti anticoncezionali?
UN ALTRO MODO DI PENSARE
In poche parole, il papa ci ha aperto uno spiraglio su di un modo nuovo (e tradizionale) di pensare i problemi della teologia morale. La argomentazione del papa sembra essere consequenzialista ma non lo è.
Sembra essere consequenzialista perché ci invita a fare un bilanciamento di mali morali. È meglio (rectius: meno peggio) rischiare il contagio o proteggersi con il preservativo? È meglio proteggersi. Ci sono mali peggiori dell’uso del preservativo. L’etica consequenzialista ritiene che la valutazione morale dell’azione sia interamente dipendente da una considerazione delle conseguenze dell’azione stessa. Spesso le conseguenze non sono né solo buone né solo cattive. Bisogna allora fare un bilanciamento degli effetti buoni e di quelli cattivi. Se uccidendo una persona innocente ne salvo altre dieci allora il bilanciamento è positivo e l’uccisione di quella persona va considerata come buona. Per l’etica consequenzialista non esistono azioni che di per sé (a prescindere dal bilanciamento delle conseguenze) possano essere considerate buone o cattive.
All’etica consequenzialista si oppone l’etica della coscienza che ritiene che alcune azioni siano cattive di per sé e indipendentemente da qualunque considerazione delle conseguenze. Esse sono “intrinsice mala” e non possono mai essere accettate. La qualifica morale dell’atto non dipende (solo) dalle conseguenze ma, primariamente, dalla sua natura propria. Il dibattito sulla “Humanae vitae” è stato dominato in larga parte dal confronto fra queste due scuole teologiche.
La posizione del papa non è consequenzialista perché per lui non ci sono dubbi sul fatto che la contraccezione artificiale è intrinsecamente cattiva, sempre e in ogni caso, e non può mai essere buona. Alcune azioni (e la contraccezione è una di queste) hanno una loro natura intrinseca che comporta una valutazione morale.
Come mai allora il papa introduce un argomento consequenzialista? Lo fa perché (correttamente) la valutazione delle conseguenze è importante per determinare il grado della responsabilità morale.
Facciamo un esempio lontano dalla discussione sulla “Humanae vitae”. L’uccisione di una persona umana è sempre un male, è in un certo senso il prototipo dell’ “intrinsice malum”. Esiste però una differenza fra il serial killer e il boia che esegue la pena di morte contro di lui, specialmente se non ci sono carceri sicure in cui detenerlo impedendogli di nuocere. Non diremo che il boia fa bene ma non lo metteremo nemmeno sullo stesso piano con il serial killer. Il male rimane male ma alcuni mali sono peggiori di altri. Il male minore rimane sempre male ma, appunto, è minore rispetto ad un altro male. Il presupposto della valutazione del papa è la debolezza del soggetto in questione che non riesce a seguire il cammino del bene. Che fare? Abbandonarlo? O chiedergli un cammino progressivo di allontanamento dal male cominciando dal cercare di evitare le colpe più gravi?
Già Giovanni Paolo II, nella esortazione apostolica “Familiaris consortio” aveva parlato di una “legge della gradualità” distinguendola accuratamente da una (supposta) gradualità delle legge. La legge di Dio non cambia. La conversione, però, non è un avvenimento puntuale ma un cammino con le sue tappe ed i suoi ritorni indietro. La Chiesa accompagna l’uomo in questo cammino, con rigore e pazienza. Qualcosa del genere aveva scritto, anni prima, un grande amico di Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthazar.
IN CONCLUSIONE
Il papa riconosce chiaramente il ruolo e anche un certo primato dell’oggetto nella determinazione della natura dell’atto morale. Richiama però a non sottovalutare il ruolo, complementare ma importante, delle circostanze e del lato soggettivo dell’azione. Bisogna domandarsi quanto il soggetto sia in grado di percepire pienamente la situazione morale nella quale si trova e guidarlo per un cammino progressivo di avvicinamento alla verità. La natura dell’atto non cambia ma la responsabilità soggettiva per esso può variare. Si apre qui lo spazio dell’accompagnamento pastorale dell’uomo verso la verità.
Con amicizia,
Giovanni Onofrio Zagloba
Roma, 9 novembre 2010

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