giovedì 23 dicembre 2010

La vita è questione di scelte. Ma forse no - argomenti - Il breve filmato di Exit riduce la vita a una rassegna di circostanze e oggetti che ciascuno vuole per sé. Ma è un inganno: l’esistenza vera non è affatto così: non scegliamo di venire al mondo, il luogo, la lingua, la famiglia e un’infinità di fatti che ci hanno reso felici di Claudio Sartea - Avvenire, 23 dicembre 2010

D’improvviso, la questione dello «spot per l’eutanasia» realizzato dall’associazione necrofora Exit International e promosso dai Radicali italiani è tornata d’attualità perché RaiTre e poi RadioUno, nello spazio lasciato in autogestione ai Radicali stessi, l’hanno mandato in onda. Vale la pena di rifletterci. Il punto a mio avviso essenziale è che lo spot presuppone un’intera antropologia, come del resto numerose delle rivendicazioni che, in àmbito biogiuridico, vengono periodicamente affacciate nel nome dell’autodeterminazione. Il protagonista dello spot esordisce infatti a bruciapelo con un’affermazione che costituisce il punto di partenza dell’argomentazione, e che il testo del cortometraggio costringe a dare per scontata: «La vita è questione di scelte». Un simile presupposto, a ben guardare, è il risultato di numerose premesse che restano implicite e condizionano l’affidabilità dell’argomento iniziale.

1)L’identificazione della vita con la volontà elettiva è tutt’altro che un primum: fino a quando non si è capaci di scelte autonome si sottintende che non vi sia vita, o almeno vita autentica; e dal momento in cui tale capacitazione viene meno è possibile, nella logica dello spot, discutere se vi sia ancora vita, e se essa meriti di essere vissuta.

2)L’elenco delle scelte che il personaggio enumera come il tessuto della sua esistenza (ora tragicamente segnata dalla sofferenza terminale, 'che non ho scelto'), è incredibilmente disordinato. Si parla della scelta dell’università, della moglie, e dei due figli. È poi la volta della scelta delle macchine da guidare, quindi del taglio di capelli, infine della maglietta.

3)Come è evidente a una riflessione anche elementare, si tratta di scelte diversissime: anzi, per molte di esse è forzato parlare di scelta, specialmente se si adotta a modello la scelta elementare di un oggetto. Quale analogia vi sarebbe tra la scelta di una maglietta e la scelta di un figlio?

4)Con un’ulteriore, bruschissima svolta semantica, il protagonista dello spot afferma poi di non aver scelto che la sua famiglia venisse trascinata con lui «in questo inferno». Si tratta di un indizio rivelatore della strutturale difficoltà, così tipica dell’individualismo, di elaborare una prospettiva relazionale adeguata alle circostanze tragiche di ogni vita: è evidente che nessuno di noi sceglie (o desidera) di far soffrire le persone che ama; ma è proprio il fatto che preesista un legame di amore a generare la sofferenza inseparabile da quel legame. Ancora una volta, i fatti di vita precedono la volontà degli individui: e le chiedono non la libertà di determinazione, ma quella di accettazione.

Lo spot s’inserisce in una corrente filosofica (o ideologica), e in una conseguente mentalità, che alimentano da tempo le rivendicazioni più spinte sul terreno biogiuridico, nel nome dei 'nuovi diritti' che altro non sono se non una consacrazione politica e poi legale (ma non per forza giuridica) di scelte individuali che pretendono per se stesse il crisma dell’insindacabilità: se oggi la tecnologia mi consente di riprodurmi artificialmente, non vedo perché non dovrei chiedere allo Stato di garantirmi questa possibilità secondo i miei desideri e le mie scelte; se ho concepito un figlio che per qualche motivo non è o smette di essere un desiderabile oggetto di scelta non posso che pretendere dalla legge l’autorizzazione per porre fine col minimo rischio personale a questa vita indesiderata; se non voglio o posso dare un senso al dolore che affligge me o un mio congiunto, e ho i mezzi tecnici per porvi fine senza sofferenze aggiuntive, non vedo perché lo Stato non dovrebbe assicurarmi la possibilità di farlo legittimamente.
Il punto è che la vita non è semplicemente questione di scelte: lo è anche, ma non esclusivamente. Ciò che la rende bella è proprio quel potenziale nascosto di incognite che, se può arrecarmi dolore, è però anche in grado di riempirmi di gioia inattesa. Buona parte delle cose migliori di ogni vita non dipende da una scelta, e nessuno è in grado di dirmi con certezza se, potendo scegliere, avrei scelto proprio quella cosa, quella giusta, che mi ha reso felice. La mia nascita non l’ho scelta, le mie capacità e attitudini, la mia lingua materna, la mia famiglia, gli incontri decisivi della mia vita: nulla di tutto questo è stato oggetto di scelta consapevole, in un qualche momento della mia vita. Non può essere compito del diritto, né dello Stato, essere favorevoli a opzioni letali solo perché si tratta di 'scelte'. 

Nessun commento:

Posta un commento