martedì 21 dicembre 2010

Storia della malattia e della cura 5 - La lebbra, la peste e gli ospedali - Autore: Riva, Michele; Laguri, Innocenza  Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 21 dicembre 2010

Vediamo tutto questo nel caso della lebbra. La lebbra è per eccellenza il simbolo della caduta, dell’uomo cacciato dall’Eden, il lebbroso è exemplum della giustizia di Dio, ma rappresenta anche il Cristo che si incarna per redimere. Contagioso e incurabile, non può che servire Dio per il resto dei suoi giorni. Però imitatori di Cristo sono anche quei sani che si dedicano al lebbroso. Essi costituiscono con i lebbrosi un’unica comunità, stretta dagli stessi voti (povertà, obbedienza, castità). Si tratta di voti obbligati per chi, scacciato dalla comunità dei sani, non è più persona giuridica, perde i propri beni, deve negare la sessualità per non riprodurre malattia, deve prestare obbedienza.
La comunità del lebbrosario è mimetica rispetto alle comunità degli ordini religiosi. Il lebbrosario è istituito ai margini delle città, finanziato dalle autorità municipali, comunità permanente, stabile convivenza tra persone affette da un male incurabile ma a lento decorso.
Noi oggi siamo abituati ad un’altra mentalità. Teniamo presente che, davanti a lebbra e peste, lo scacco della medicina era totale. Questo certamente accentua il fatto che ci si potesse aspettare, appunto nel caso di lebbra o peste, non tanto la guarigione del corpo ma la salvezza ottenuta in occasione della malattia. Spiega anche che, per la guarigione, si desse il primato all’intervento soprannaturale su quello medico. Come dire che Cristo vince Esculapio.
La figura del medico, scomparsa nella sua specificità con la crisi barbarica, è oggetto di nuova riflessione, a partire dal XII secolo, quando si origina un lento itinerario di differenziazione tra le figure sanitarie e quelle religiose. Cioè i decreti Conciliari vietano al clero di dedicarsi alla medicina, per evitare una sovrapposizione di compiti, ciò contribuisce a caratterizzare in termini più specifici la professione medica.
Si esprime l’idea che Dio interviene non solo direttamente, ma anche col dare al medico il donum scientiae. Dunque abbiamo una sintesi: davanti al malato c’è una lettura della malattia come riscatto dell’anima, come stimolo alla carità per i sani. In questa prospettiva si inserisce il medico che inquadra nella carità la sua professione e il sacerdote, che trova nel sapere medico aiuti per il suo compito
A partire dal Basso Medioevo iniziano le creazioni degli ospedali urbani come luoghi di cura, essi si formano sempre di più attraverso lasciti di beni. Nell’epoca delle Signorie a Milano, le donazioni di Francesco Sforza e San Carlo Borromeo diedero origine alla costituzione dell’Ospedale Maggiore di Milano, che venne progettato dall’architetto Filerete, nell’attuale via Festa del Perdono, oggi sede dell’Università Statale. Questo modello di ospedale, fatto significativamente a crociera per ricordare la Croce di Cristo, distingue, per la prima volta, i malati acuti da quelli cronici, mentre i poveri non vengono più mischiati agli ammalati. La distinzione tra malati acuti e malati cronici è una grande svolta sul piano dell’efficacia della cura. Però in questi ospedali la cura è ancora fornita in modo maggiore da infermieri che provengono da ordini religiosi (nel 1500 nascono grandi ordini religiosi che si dedicano agli ammalati, come quello di San Camillo de Lellis).
Un evento particolarmente tremendo è la peste nera della metà del 1300; con questa spaventosa pestilenza, che ha fatto morire un terzo della popolazione europea, sembra tornare a vincere il terrore della morte, particolarmente tra i medici che si sentono sopraffatti da questo flagello. A partire dalla peste, i medici si dotano di maschere e camici perché si immaginava che la peste si trasmettesse tramite l’aria. In questo periodo i medici sono presenti negli ospedali, ma non si occupano direttamente del malato, scelgono le cure da impartire all’infermo, spesso senza aver successo. Chi sta veramente accanto al malato sono gli infermieri.

I disabili e i vecchi
Il portatore di handicap faceva parte della massa degli ammalati, tra i poveri poteva esserci il vecchio rimasto solo, ma spesso, per evidenti motivi, apparteneva agli ammalati. Teniamo presente che la persona non più giovane aveva una vita più breve e che nella maggioranza dei casi restava nel contesto familiare.
Un aspetto importante che bisogna sottolineare: il mondo politico medioevale era anche e soprattutto, un mondo di “corpi intermedi”, era cioè basato sul riconoscimento e la tutela di una pluralità di autonomie sociali (la famiglia, le Corporazioni di Arti e Mestieri, le confraternite, i gruppi di interesse) concepiti come strumenti di tutela e di sviluppo della singola persona. Il gruppo era l'elemento centrale dell'ordinamento complessivo della società. La sfera pubblica non si distingueva da queste realtà sociali. In questo quadro non era lo Stato, come per noi oggi a farsi carico dell'assistenza dei poveri e della cura degli ammalati, ma appunto questi corpi intermedi oppure vi era collaborazione tra autorità politica e corpi intermedi, come nel caso della creazione del Lazzaretto a Milano.

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