giovedì 16 dicembre 2010

La Corte europea decide sull’aborto, Irlanda in bilico - È atteso per oggi il verdetto della Grande Chambre di Strasburgo sul ricorso contro la legge che vieta l’interruzione di gravidanza, protetta dal dettato costituzionale Un’eventuale condanna di Dublino da parte dell’organismo del Consiglio d’Europa potrebbe avere pesanti conseguenze - dentro la cronaca di Pier Luigi Fornari – Avvenire, 16 dicembre 2010

Significativo test oggi per la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Infatti dal pronunciamento sui limiti all’aborto messi in atto in Irlanda si capirà se i magistrati di Strasburgo intendono arrestare la deriva di 'colonialismo etico', denunciata da molti giuristi, oppure confermarla, contraddicendo così la più consolidata linea giurisprudenziale della Corte. Infatti una eventuale, inopinata, ingerenza nella legislazione nazionale di Dublino in materia di tutela della vita non solo infrangerrebbe il rispetto del «margine di apprezzamento», cioè della sussidiarietà giuridica in temi eticamente sensibili, ma violerebbe anche il criterio della ammissibilità dei ricorsi sempre adottato dai giudici del Consiglio d’Europa (composto da 47 Paesi membri), cioè «l’esaurimento dei rimedi interni».


Strasburgo infatti di norma non ammette istanze contro gli Stati membri prima che esse siano state esaminate e respinte in tutti i gradi di giudizio nazionali. Cosa che nel «caso A, B, C», (la denominazione adottata per garantire il rispetto della privacy delle ricorrenti) non è affatto avvenuto. Secondo le argomentazione usate dagli avvocati, esse si sarebbero recate in Gran Bretagna per effettuare l’interruzione di gravidanza con una procedura «inutilmente costosa», «traumatica» e «complicata». Tutto ciò avrebbe comportato – hanno sostenuto davanti alla Grande Chambre – una violazione del «diritto al rispetto della vita privata e alla vita familiare», del «diritto alla vita», del «divieto di discriminazione», e addirittura del «divieto di tortura». La Corte in questo caso ha evitato di pronunciarsi attraverso una delle sue sezioni ristrette e ha inviato direttamente il caso alla Grande Chambre. L’udienza si tenne il 9 dicembre del 2009. Oggi sarà resa pubblica la sentenza definitiva.
In realtà la giustificazione addotta per adire direttamente a Strasburgo, cioè che la legislazione irlandese in materia sarebbe confusa e non efficace, non ha fondamento perché tra l’altro è noto che nel febbraio 1992 la Corte suprema di Dublino consentì l’interruzione della gravidanza di una quattordicenne che aveva subìto uno stupro. In quella vicenda si ritennero presenti evidenze che la sua vita fosse a rischio per la minaccia che si potesse suicidare. Il ricorso, peraltro, doveva essere considerato «irricevibile» perché, come ha osservato l’European centre for law and justice (Eclj), intervenuto nel processo come parte terza a favore dell’Irlanda, «il dossier di A, B e C è vuoto». Non è stato sufficientemente motivato come richiede la giurisprudenza della Corte europea: «Non hanno portato alcuna prova dell’assenza di soluzioni ai loro problemi». La legislazione irlandese in materia è regolata dall’articolo 40.3.3 della Costituzione che sancisce: «Lo Stato afferma il diritto alla vita del nascituro e, tenuto conto dell’eguale diritto alla vita della madre, garantisce nella propria legislazione il riconoscimento e, per quanto possibile, l’esercizio effettivo e la tutela di tale diritto, attraverso idonee disposizioni normative».

Un eventuale mancato rispetto oggi del principio di sussidiarietà da parte della Corte che ha sede nel capoluogo dell’Alsazia comporterebbe pesantissime ricadute politiche. Infatti l’adesione dell’Irlanda all’Unione europea (composta da 27 Paesi membri) è stata condizionata al fatto che la sua legislazione in materia di aborto fosse rispettata.

Potrebbe porsi anche un intricato problema istituzionale. Infatti con il Trattato di Lisbona l’Unione europea ha aderito alla Convenzione europea dei diritti, su cui si basa l’azione della Corte di Strasburgo (organismo del Consiglio d’Europa e non dell’Unione).

Negare il «margine di apprezzamento» non sarebbe certo di buon auspicio per le trattative che sono iniziate la scorsa estate per l’ingresso della Ue nella Convenzione, e per l’articolazione dei ruoli rispettivi della Corte di Strasburgo e della Corte di giustizia europea di Lussemburgo.

Nessun commento:

Posta un commento