giovedì 10 marzo 2011

Argomenti - Strafalcioni d’autore, c’è una replica per tutti di Alberto Gambino, Avvenire, 10 marzo 2011

Una legge «illiberale» che ci «espropria» del diritto di decidere sulla nostra vita e impedisce di vedere eseguite le proprie volontà costringendo a una «vita artificiale». Una norma dettata dalla caccia ai «consensi» perduti, che infligge l’alimentazione «forzata»...

Dibattito virtuale con intellettuali e politici che si sono espressi aspramente su un provvedimento che avversano
Si susseguono in questi giorni le pre­se di posizione di voci autorevoli sulla legge che dovrà normare il «fine vita». Ecco alcune tra le numerosissime frasi che incalzano la nostra capacità di analisi e di giudizio, con altrettante risposte.

1.

«Se questa legge venisse appro­vata, ciascuno di noi perderebbe il dirit­to fondamentale ad autodeterminarsi, verrebbe espropriato del potere di go­vernare liberamente la propria vita» (Ste­fano Rodotà, 21 febbraio). Il cosiddetto diritto all’autodeterminazione non si rinviene in alcuna legge dello Stato italiano, né tanto­meno nella nostra Carta costituzionale. Si tratta piuttosto di una creazione giurispru­denziale, confortata da una parte della no­stra dottrina costituzionalistica, che ha fat­to propri principi di alcuni ordinamenti giuridici stranieri di common law , cioè fon­dati sull’elaborazione delle decisioni giu­diziali e, dunque, su una casistica sempre diversa. Il sistema giuridico italiano garan­tisce la libertà di governare la propria vita, ma trattandosi appunto di una libertà non è automatico che il diritto positivo (cioè regole giuridiche idonee a darne esecuzio­ne) debba sempre assecondarla. In parti­colare, ove una scelta individuale contrasti con i valori costituzionali della tutela del­la salute e della vita umana, l’ordinamen­to legislativo non offre strumenti di attua­zione, ma anzi sanziona chi volesse aiuta­re altri a portare a termine i propri intenti autolesionistici: è il caso dei reati di suici­dio assistito e omicidio del consenziente. Quindi ha il sapore di uno slogan affer­mare che la legge sul fine vita esproprie­rebbe i cittadini del «diritto fondamentale ad autodeterminarsi», in quanto già oggi ta­le diritto, in Italia, opera entro i limiti in­dicati.

2.

«È in sé pasticciata e contraddit­toria una legge in cui si dice al cittadino: fa’ pure testamento, ma sappi che non sarà vincolante, e che su due punti cru­ciali come l’idratazione e la nutrizione artificiale di persone in stato vegetativo, la tua volontà non può essere ascoltata» (Giuliano Ferrara, 22 febbraio). Non si trat­ta di fare 'testamento', in quanto il nostro ordinamento non considera la salute e il corpo umano come se fossero 'cose' (es­sendo tra l’altro espressamente vietato dal­l’articolo 5 del Codice civile italiano). Pro­prio perché non si tratta di cose ma della propria vita e della propria salute, va la­sciata l’ultima parola a chi, come il medi­co, ha gli strumenti per valutare la percor­ribilità di una terapia. Per questo motivo le direttive anticipate non possono essere vincolanti, altrimenti trasformerebbero il medico in mero esecutore di volontà al­trui. È, invece, proprio la decisione medi­ca in scienza e coscienza a garantire la mi­gliore protezione della vita e della salute del paziente, il quale – occorre sempre ricor­darlo – è il soggetto psicologicamente e fi­siologicamente più debole di tutta la vi­cenda.

3.

«La legge in discussione di fron­te al tremore di una scelta tragica, invece di assumerne la gravosa responsabilità (continuare o sospendere nutrizione e idratazione artificiali), decide di estro­mettere la volontà del soggetto. E di affi­dare la scelta, conseguentemente, all’ap­parato biotecnologico» (Luigi Manconi, 1 marzo). L’«apparato biotecnologico» di cui parla Manconi è un sondino che veicola liquidi per sostentare il paziente. La scelta tragica è se introdurre in Italia l’eutanasia o meno: questo significa sospendere nu­trizione e idratazione operate con il distacco del sondino. Dal momento che la linea del­la legge è di escludere forme di eutanasia, si ha come logica conseguenza la preclu­sione di introdurre disposizioni eutanasi­che nelle Dat, come sarebbe l’indicazione al medico di sospendere nutrizione e idra­tazione parenterali.

4.

«È una legge anticostituzionale che vuole costringere le persone alla vita artificiale» (Umberto Veronesi, 2 marzo). O­gniqualvolta una legge non corrisponde al­la propria impostazione, si sostiene che è 'anticostituzionale'. Gli organi deputati a vagliare la costituzionalità di una legge so­no, preventivamente, il Parlamento (e an­che il partito con il quale è stato eletto Ve­ronesi, il Pd, ha escluso di sollevare ecce­zioni di incostituzionalità della legge sulle Dat) e il Capo dello Stato. Poi, a legge ap­provata, sarà la Corte costituzionale, ove fosse investita del problema, a stabilirne la conformità alla Costituzione italiana. Poi­ché, peraltro, questa legge non innova ri­spetto a quanto già previsto nel nostro or­dinamento, se essa fosse incostituzionale dovrebbero già esserlo oggi tutte la prati­che e i protocolli sanitari che prevedono che il medico non possa assecondare le vo­lontà eutanasiche del paziente.

5.

«Avendo perso consensi per aver troppo sporcamente giocato col corpo delle donne giovani belle e disponibili, cercano di recuperarlo giocando coi cor­i pi 'in stato vegetativo', maschili e femminili, giovani o vecchi che siano» (Federico Orlando, 2 marzo).

È una frase a effetto tipica di un li­berale sarcastico com’è Orlando, che comunque ci richiama all’eti­ca dei comportamenti e a condur­re con trasparenza le nostre inizia­tive per la tutela della vita e della salute delle persone. Temi non ri­ducibili dentro schieramenti parti­tici.

6.

«Se attraverso un inter­vento chirurgico si inserisce un tubo di plastica nell’intestino del paziente per alimentarlo forzata­mente, quella non è alimentazio­ne, è una cura» (Ignazio Marino, 5 marzo). No, perché quel tubo non fa altro che consentire il passaggio di liquidi vitali. Se il paziente fosse cosciente potrebbe rifiutarlo. Ma la libertà di rifiuta­re alimentazione e idratazione e, dunque, di lasciarsi morire non si può trasporre su un documento scritto delegandone l’at­tuazione a un medico, che fungerebbe da esecutore e dunque da compartecipe della scelta eutanasica. Il tema della rinunzia e­spressa in un documento scritto all’ali­mentazione e all’idratazione non è altro che una declinazione del paradigma del­l’autodeterminazione. Chi reclama l’asso­lutezza dell’autodeterminazione è ovvio che ritenga legittima anche la richiesta di eutanasia, dove l’interruzione del sosten­tamento parenterale ne rappresenta una tecnica (peraltro più logorante dell’euta­nasia attiva). Meno coerente è la posizione di chi – in fondo per non parlare esplicita­mente di eutanasia – individua nell’inter­ruzione dell’idratazione un caso di libera­zione da un presunto accanimento tera­peutico (quando, tra l’altro, medici e giu­dici così non lo hanno qualificato proprio nel caso Englaro).

7.

«Mi pare che ci sia un mezzo as­sai semplice per tagliare la testa al toro: stabilire per legge che le Dat stesse non possano contenere alcuna disposizione in positivo, e cioè a fare checchessia, ma so­lo in negativo, a non fare» (Ernesto Galli della Loggia, 6 marzo). È davvero un bel so­fisma dire che i problemi si risolvono con­sentendo che nelle Dat ci siano soltanto in­dicazioni di non fare. Non fare cosa? Una gradazione degli interventi più o meno in­vasivi e, dunque, proporzionati è necessa­ria, altrimenti entrerebbero nelle Dat vi­cende, come detto, di eutanasia passiva. Ma a questo punto chi può davvero dirci se quell’intervento è adeguato e proporzio­nato, se non il medico in scienza e co­scienza? In conclusione, facciamo molta at­tenzione che dietro all’ideologia autode­terministica non si nascondano in realtà ciniche esigenze di ordine economicistico, finalizzate a trovare una via d’uscita ai co­sti degli stati vegetativi e, in generale, delle malattie incurabili, che ogni anno pesano – oltreché sugli affetti familiari – anche sul­le casse della finanza pubblica. 

Nessun commento:

Posta un commento