giovedì 3 marzo 2011

«Dat», perché queste regole: dieci dubbi e dieci risposte - In questi giorni si sono moltiplicate le prese di posizione di diver­so orientamento sul disegno di legge che introduce le Dichiara­zioni anticipate di tratta­mento. Idee e obiezioni che hanno fatto af­fiorare un gran numero di domande. Eccone dieci – con altrettante risposte – riassuntive di quelle più ricorrenti. - i nodi - Una legge è davvero necessaria? E perché le Dat non devono essere vincolanti? È giusto impedire a chi soffre di terminare la propria vita, se lo desidera? Il dibattito attorno alla norma sul fine vita ha aperto molti interrogativi Che meritano risposte chiare di Alberto Gambino
  
1.

Il rapporto tra medico e paziente è un territorio molto delicato, specie nella parte terminale della vita. Una legge che si pro­pone di regolamentarlo non rischia di u­niformare situazioni che sono ognuna di­versa dall’altra?

Perché ci sia un 'rapporto' tra medico e pa­ziente occorre che il malato sia cosciente. Nei casi di incoscienza, per avere elementi di co­noscenza sugli orientamenti in ordine alle te­rapie da somministrare può rivelarsi utile un documento scritto. Proprio perché le situa­zioni possono essere diversificate e differenti da come erano state immaginate nel momen­to della redazione del testo, il documento non può essere vincolante.

2.

Non si tutela meglio la vita uma­na lasciando che sia il medico a decide­re insieme al paziente o, se questi non è più cosciente, alla sua famiglia?

Se il paziente è cosciente il problema non si pone, avendo egli piena libertà di deci­dere su qualunque terapia. Se è incoscien­te non potranno mai essere i familiari a di­sporre della salute altrui, per quanto si trat­ti di persona per la quale si nutre sicuro af­fetto. Resta centrale il ruolo del medico, che per vocazione deve curare, a meno che non si tratti di situazioni di accanimento tera­peutico.

3.

Quando si legifera su una mate­ria come questa non si rischia di cedere anche senza volerlo a forme più o meno mascherate di eutanasia passiva?

Sì, il rischio esiste. Ma l’ordinamento ita­liano ha già tollerato almeno due casi e­clatanti di eutanasia passiva: Welby ed En­glaro. In entrambi i casi si è troncata la vi­ta di un essere umano, interrompendo pre­sìdi vitali. Questi casi formano precedenti giurisprudenziali e possono essere seguiti da altri. È compito allora della legge non la­sciare che 'zone grigie' diventino vere e proprie 'zone eutanasiche'. Il che avver­rebbe certamente in caso di inerzia del le­gislatore.

4.

Una norma così estesa e comples­sa non è destinata all’assalto di ricorsi e referendum, come la legge 40?

Lo sarebbe anche una legge di un solo ar­ticolo. La norma più chiara dovrebbe riaf­fermare che è sempre reato la disattivazio­ne di presidi vitali, salvo che questi siano i­nutili e sproporzionati. Ma se non si ha la forza politica di introdurre una norma del genere, meglio i paletti della legge che nien­te. Perché niente non sarebbe, stanti i già ri­cordati precedenti giurisprudenziali che chi opera nel campo del diritto sa essere ben più efficaci dei princìpi generali dell’ordi­namento e della dottrina più rigorosa.

5.

Se io scrivo le mie Dat è perché voglio

vederle rispettate. Perché la legge non impo­ne al medico di farlo?

Perché il medico non è un esecutore della volontà altrui. Sarebbe come imporre a un avvocato che fosse il suo cliente a scrivere gli atti giudiziari. Se il paziente è libero, lo è altrettanto il medico, che solo in scienza e coscienza seguirà le Dat.

6.

Se la nutrizione assistita è decisiva per mantenere un paziente in vita, come può non essere considerata una terapia ma solo un sostegno vitale?

Perché la nutrizione (anche quella non assistita) è sempre decisiva per mantenere in vita gli esse­ri umani. E nessuno si sognerebbe di considerarla 'terapia'.

7.

Ma se anche è un sostegno vitale, per­ché non posso disporre che un domani venga sospeso, se è quello che desidero? Perché 'disporre la sospensione di un sostegno vitale', in termini giuridici, significa chiedere a un altro di privarmi della vita: proprio que­sto è il caso dell’eutanasia. Poco importa che si tratti di eutanasia passiva o attiva, perché l’effetto è lo stesso. Anzi, l’eutanasia passiva è addirittura più logorante.

8.

Sospendere l’alimentazione in alcuni casi estremi può essere un gesto di pietà: una persona che soffre, e che non guarirà mai, può chiedere di farla finita. Perché impedirglielo?

Attenzione a non mescolare le situazioni. Se il paziente è cosciente e soffre, ha tutta la libertà di rifiutare finanche l’alimentazione. Ma se il paziente è incosciente, nessuno è in grado di dirci se ci sia sofferenza. La sofferenza è certa­mente quella di chi gli vive accanto: ma non per questo si ha il potere di interrompere una vita umana. Qui si annida la grande ambiguità dell’autodeterminazione, che è invece stata ap­plicata dai giudici tutelari per giustificare casi di eterodeterminazione – cioè scelta di altri – come è avvenuto nella decisione del padre­tutore nel caso Englaro.

9.

Sono convinto che l’eutanasia sia una cosa orribile, e non voglio che qualcu­no la pratichi su di me o sui miei cari. Ma perché si deve impedire che chi lo desidera possa farvi ricorso?

Perché significherebbe chiedere che il nostro ordinamento capovolga i suoi valori di riferi­mento, declassando la vita umana e la dignità della persona a favore della volontà indivi­duale e dell’arbitrio. Perderemmo un punto di riferimento cardinale: l’ordinamento – pena la sua incoerenza – dovrebbe allora legalizzare tutte le forme di autolesionismo della perso­na e della sua dignità, dall’utilizzo di droghe, alla prostituzione, al lavoro usurante, fino al non uso di casco o cinture di sicurezza. Al con­trario, proprio l’attenzione che il diritto riser­va a questi fenomeni, la dicono lunga di co­me sia radicato nel nostro ordinamento il pri­mato della vita umana e della dignità della persona rispetto alla libera volontà individua­le. Del tutto diverso è, ovviamente, il caso del­l’accanimento terapeutico, situazione contra­ria proprio alla dignità della persona.

10.


Nella mia vita vorrei essere li­bero di scegliere sempre ciò che è bene per me, e a maggior ragione nei momenti più importanti. Perché non si può approvare una legge che mi lasci libero di decidere, se lo desidero, il momento della mia morte?

Perché, come detto, la legge non può essere il 'braccio armato' di volontà individuali che cozzano contro i beni primari del nostro or­dinamento costituzionale a cominciare dalla vita e dalla dignità della persona. Se si ope­rasse questo ribaltamento, rischieremmo l’a­narchia dei valori con la conseguenza di ren­dere i deboli ancora più indifesi e i malati an­cora più fragili. 

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