sabato 5 marzo 2011

La storia - «Mio marito è bloccato ma la sua vita ha senso» - DA PIACENZA FRANCESCA LOZITO - Parla la moglie di Gianpiero, da 12 anni chiuso nella sindrome locked-in: «Prima di ammalarsi non avrebbe voluto restare invalido. Dopo, ci ha chiesto sempre di aiutarlo» - Avvenire, 5 marzo 2011

«Sorride e vuole vivere. È una vita che ha senso». Ad affermarlo è nella sua casa di Piacenza Lucia Steccato, moglie di Gianpiero, da dodici anni rinchiuso nella sindrome «locked-in», a causa di un’ischemia. Lucia afferma che «non essere in salute non vuol dire non essere felice». E spiega così la posizione di questa famiglia sulle direttive anticipate: «Sa che Gianpiero prima di ammalarsi diceva sempre che piuttosto che una tracheostomia e un’invalidità permanente avrebbe preferito morire?

Beh, quando si è ammalato ci ha chiesto continuamente di aiutarlo a vivere.

Anche quando era dolorante, anche quando la sofferenza prevaleva su tutto». Perché Gianpiero è cieco, non mangia non fa nulla. Ma sorride. E i nostri vicini, che all’inizio non venivano neanche a trovarci per paura di disturbare ora vengono in casa anche se io non ci sono e c’è solo Gianpiero. Perché Gianpiero ha qualcosa da dire». Lucia afferma che «per le persone malate ci vuole rispetto, anche se non possono comunicare.

Occorre rivolgersi direttamente a loro perché comprendono, e hanno piacere che li si faccia sentire coinvolti direttamente, senza chiedere ai familiari di mediare». E poi ancora: «Le famiglie non vanno mai abbandonate, ma sorrette, perché devono fare un’assistenza che dura 24 ore. E non ci devono essere discriminazioni tra malati. Siamo stanchi dei progetti rivolti in modo personale e individuale a ciascun malato. Ci vuole un approccio globale su scala nazionale». Per questo ci deve essere spazio per un «ritorno ai valori, quelli umani, quelli dell’amicizia.

Sono importantissimi, perché un debole non può farsi un amico con una rete di relazioni come una persona qualunque. Non può vivere nella società, ma è la società che deve andare a casa sua. Come dicevo, ci sono persone, amici, volontari che gli fanno visita, passano un po’ di tempo con lui. Spero che sia così per tanti»: Gianpiero cerca il contatto tattile con chi gli sta accanto: «Prendergli la mano, tenerla nella propria è una cosa che gli fa piacere e gli dà gioia». Questa coppia nonostante le difficoltà cerca di vivere una vita il più possibile normale: «Dopo 7 anni di ricovero – racconta Lucia – siamo tornati a casa e assieme ai miei figli abbiamo fatto in modo che qui Gianpiero ricevesse tutte le attenzioni e le cure necessarie: usciamo, facciamo le vacanze al mare». Però ci sono quattro gradini per uscire da casa che sono un bel problema: «Sì certo, tutte le volte occorre mettere la pedana, ma ci siamo attrezzati, ne abbiamo fatte di battaglie sa? All’inizio per l’assistenza abbiamo dovuto combattere, ma poi siamo riusciti a raggiungere un buon punto di equilibrio, e c’è tanta gente che ci aiuta con molto amore». Ma anche il riconoscimento di quanto c’è bisogno per una famiglia che fa una scelta così forte di vita: «La formazione di chi fa assistenza a Gianpiero, gli infermieri, è fondamentale. Ma molte delle promesse che ci hanno fatto in questi anni non sono state ancora mantenute». Di qui l’appello: «Non ci possono essere malati di serie A e di serie B». 

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