giovedì 17 marzo 2011

Convenzione di Oviedo, un testo per la vita - L’articolo 9 dice che «saranno tenuti in considerazione» i «desideri» del paziente. Nessun vincolo per il medico, di Tommaso Scandroglio, Avvenire 17 marzo 2011

L’ideo­logia ne­crofora che am­micca alla 'dolce morte' vorrebbe che le Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) fossero vincolanti. Pretende cioè che il contenuto delle Dat sia legge per il medico, il quale supinamente dovrebbe obbedire alle prescrizioni redatte dal paziente. Al fine di puntellare questa tesi sempre più spesso si richiama la «Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina», più nota come «Convenzione di Oviedo».

Questo documento firmato nel 1997 è stato ratificato dal nostro Parlamento con la legge 145 del 2001, e quindi da noi la Convenzione è già esecutiva, come il testo di legge esplicitamente afferma: «Piena e intera esecuzione è data alla Convenzione» (art. 2).


Vero è che mancano i decreti attuativi ma questi, come annota la stessa legge 145, sono previsti al fine di aggiungere «ulteriori disposizioni occorrenti per l’adattamento dell’ordinamento giuridico italiano ai principi e alle norme della Convenzione» (art. 3). Operazione quindi sicuramente auspicabile perché utile, ma non necessaria per assegnare efficacia nel nostro Paese ai principi della Convenzione. Perché si tira in ballo così spesso questa Convenzione? Ciò che interessa in merito al dibattito sulle Dat è quello che la Convenzione esplicita in tema di consenso informato. Da una parte si afferma che nessuno può essere sottoposto a un intervento se non dopo aver ricevuto il suo consenso (art. 5), ma dall’altra si specifica che in merito alle persone che non possono prestare un consenso valido – minori, handicappati, malati di Alzheimer, persone in stato vegetativo – occorre sempre agire in vista di «un diretto beneficio delle stesse» (art 6). Ad esempio per i soggetti affetti da disturbi mentali, occorre fermarsi di fronte alla mancanza del consenso dello stesso in merito a un particolare trattamento «se non quando l’assenza di un tale trattamento rischia di essere gravemente pregiudizievole alla sua salute» (art.7).
Lo spirito che innerva questo documento assegna più valore alla salute e alla vita dei pazienti che al loro consenso. Ma l’articolo più citato della Convenzione è sicuramente il 9: «I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione». Questo articolo non prescrive l’obbligo da parte del medico di adeguarsi alle volontà scritte nelle Dat per i seguenti motivi. Primo: nei lavori preparatori alla stesura di quest’articolo fu scartata la bozza nella quale era previsto che le volontà scritte dovevano trovare applicazione da parte del medico. L’espressione 'saranno tenute in considerazione' (' shall be taken into account' nel testo inglese) indica non dovere di adempimento delle volontà espresse ma semmai dovere di considerare queste stesse volontà, obbligo di ponderare sulle stesse, ma non obbligo di seguirle. Secondo: il Rapporto esplicativo specifica al punto 62 in relazione all’art. 9 che 'questo articolo afferma che quando le persone hanno previamente espresso i loro desideri, tali desideri dovranno essere tenuti in considerazione.

Tuttavia, tenere in considerazione i desideri precedentemente espressi non significa che essi debbano necessariamente essere eseguiti.

Per esempio, se i desideri sono stati espressi molto tempo prima dell’intervento e la scienza ha da allora fatto progressi, potrebbero esserci le basi per non tener in conto l’opinione del paziente'. Terzo: il testo ufficiale inglese usa il termine ' wishes' cioè desideri e non volontà. Il desiderio di per se stesso non può essere vincolante perché è un’aspirazione, non ha il peso obbligante di una precisa determinazione o proposito.

Dunque possiamo concludere che è certamente importante tenere in considerazione le volontà del paziente anche se scritte in un documento assai risalente nel tempo, anzi è doveroso farlo.


Le Dat allora devono essere interpretate come documento orientativo, consultivo e non vincolante, proprio perché non esprimente una volontà attuale, così come indicato tra l’altro dal Codice di deontologia medica (art.38) e dal Comitato nazionale per la Bioetica nel documento del 18 dicembre 2003 (lettera B).

Il medico, i parenti e l’eventuale fiduciario partiranno da ciò che è contenuto in questa memoria scritta, intesa come aggiuntivo e non esclusivo strumento di anamnesi, ma non si fermeranno a essa (così come del resto accade già oggi). Il loro limite d’azione è dato solo dall’oggettivo bene del paziente, non dalle volontà dello stesso.

Al centro del confronto tra visioni alternative sulle Dat c’è anche il documento del Consiglio d’Europa «per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina» elaborata nel 1997 e ratificata dal nostro Parlamento nel 2001.

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