lunedì 18 aprile 2011


CRONACA - IL CASO/ Una bara e un testamento bastano a "sconfiggere" la morte? Di Carlo Bellieni - http://www.ilsussidiario.net - lunedì 18 aprile 2011

Chi tanto parla di morte, o è un filosofo, o ne è davvero impaurito; e tanto parlare di eutanasia e affini forse non esprime altro che un tentativo di esorcizzare la morte. Infatti, sembra davvero impellente, ossessionante, fondamentale “decidere” come morire. Ma avete mai pensato che trovarsi nelle condizioni in cui certi giornali ci immaginano di qui a tot anni (incoscienti, attaccati a una macchina, forniti di idratazione e alimentazione meccaniche) è non raro, ma statisticamente impossibile, e che quindi, in sostanza, tanto clamore per nulla: non decidiamo proprio un bel niente (per fortuna)? Dunque perché tanto reclamare testamenti biologici coattivi, suicidi assistiti, eutanasia eccetera, se non come una forma di esorcismo?
Come ben spiega un libro di Cass R. Sunstein (Il potere della paura), consigliere economico di Barack Obama, quando inizia a serpeggiare grazie ai mass media il panico, un evento rarissimo diventa la prima e assoluta preoccupazione; per cui oggi tutti giù a pensare e decretare “Non tenetemi in vita, mi raccomando”. Tranquilli: per come va l’economia nei Paesi occidentali c’è tutto l’interesse a “lasciar andare” piuttosto che a costringere a respirare; certo, i medici da noi sono ancora attaccati a fare l’interesse del malato preservandolo in vita finché c’è speranza; ma il culto postmoderno dell’autonomia farà loro passare questa “malsana idea”.
L’idea della morte si sa solo esorcizzare: a Parigi ci si può far rinchiudere in una bara, per provare l’ebbrezza della sepoltura al Salon de la Mort, in cui si discute e si studia la morte, ovviamente senza trattare l’aspetto religioso (ci mancherebbe!), ma spiegando i veri problemi (cioè come lasciare un video messaggio per gli eredi). E si esorcizza la morte con l’esposizione “artistica” di cadaveri cinesi, portati in esposizione a Parigi, Dublino, ecc., come statue cerificate, sezionate e messe in plastici atteggiamenti.
Il dibattito sul fine vita vuole esorcizzare la morte perché non ne capisce più il senso: non se ne deve parlare, deve arrivare subitanea e indolore, preferibilmente nel sonno (così si legge in tutte le interviste dei Vip sui giornaletti per teenagers). Non deve esistere. Ma siccome è per natura dotata di libertà e sorpresa, non si accetta se non trasformandola in qualcosa che io gestisco come mi pare, quando lo dico io, come lo dico io; proprio come la società occidentale ha fatto per i figli, altro esempio di libertà che ora non si sa più gestire (e infatti si fanno scomparire).
Testamenti biologici, direttive, eutanasia, suicidi assistiti, per non guardare la morte in faccia; mentre è proprio dell’uomo e della donna voler assaporare e abbracciare la propria vita, di cui la morte è parte; non fuggirla. Invece, la cultura postmoderna ci vuole tutti angosciati e impauriti, al pensiero di medici folli che ci legheranno agli strumenti di terapia medica e da cui possiamo liberarci solo dichiarando di voler assolutamente, liberamente, improrogabilmente morire.
Una vecchia storiella racconta di un marito che disse alla moglie: “Se un giorno vedrai che la mia vita è dipendente da strumenti elettronici e che vado avanti a forza di liquidi, spegni le macchine e toglimi l’idratazione”. La moglie lo guardò bene, ci pensò un attimo, poi… gli spense la tv e gli tolse la birra. Forse chi vuol far credere che guardare in faccia la morte non ha senso, vuole dimenticare di star vivendo lui stesso una vita senza senso.
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