giovedì 28 aprile 2011

Tutti i rischi di una cattiva legge di Stefano Semplici, da http://www.europaquotidiano.it

Si avvicina dunque, a Montecitorio, il momento delle votazioni sul cosiddetto testamento biologico. Sembra davvero che tutto sia stato detto. Ci sono però tre punti sui quali vale forse la pena di insistere ancora. E di farlo misurando la portata del consenso possibile. Questa opportunità, d’altronde, si offre perfino dove meno ci si aspetterebbe di trovarla, come nel comunicato datato 3 marzo dell’Associazione dei medici cattolici, che vorrei tentare di rileggere in questa prospettiva, ben sapendo che, di fronte alla rigidità delle contrapposizioni che occupano quasi per intero la scena del dibattito pubblico, si tratta comunque di un esercizio accademico più che di una concreta opzione politica.
Questo documento è interessante innanzitutto per il riconoscimento che alimentazione e idratazione artificiali sono, senza possibilità di equivoco, un trattamento sanitario, per quanto «di sostegno vitale» e non terapeutico. Sono, in quanto tali, «atti » compiuti dal medico come parte del suo irrinunciabile dovere di «prendersi cura del paziente». Fin qui, si potrebbe dire, nulla di nuovo.
Non solo per i medici cattolici, naturalmente, ma per tutti i medici, che hanno un preciso obbligo giuridico, oltre che morale, di garantire ai loro pazienti tale sostegno e ogni trattamento utile alla tutela della loro salute.
Neppure il testo approdato all’esame dell’aula della camera, in fondo, nega questa evidenza. In esso non si parla di quel che compriamo al supermercato, ma dell’alimentazione e dell’idratazione «nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente». Non si può negare che la foga polemica di alcuni interventi abbia alimentato equivoci su un punto che appare così chiaro.
Ebbene: i medici cattolici non solo se ne tengono onestamente e decisamente alla larga, ma si dimostrano anche avvertiti delle conseguenze che questo riconoscimento implica e che vengono semplicemente eluse nel testo che, come tutto lascia pensare, i deputati approveranno.
Il dato più significativo di questo comunicato è in effetti il silenzio sulla pretesa che su questo trattamento una persona non possa esprimere, ora per allora, la sua volontà, contando almeno sul dovere del medico di tenerne adeguatamente conto.
I medici cattolici non dicono che, poiché alimentazione e idratazione sono atti di sostegno vitale, allora non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento. L’obiezione è scontata: questa conclusione è implicita nel tono e nel contesto di questo intervento. Mi pare però almeno lecito domandarsi se i firmatari avrebbero potuto, proprio in quanto medici, fare diversamente.
Alimentazione e idratazione artificiali sono un trattamento sanitario e dunque ad esse sembra doversi necessariamente applicare il divieto sancito dalla nostra Costituzione di imporli a chi assolutamente non li vuole. Di più. Tutti i medici sanno che tale imposizione è una violazione e non l’adempimento di quanto previsto dal loro codice deontologico, che afferma senza alcun margine di discrezionalità che «il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale», quando quest’ultima viene rifiutata da un paziente pienamente consapevole delle conseguenze alle quali va incontro. I medici cattolici, che nel momento stesso in cui definiscono l’impianto generale dell’attuale proposta «una base accettabile» ammettono la legittimità e forse addirittura la necessità di correzioni e modifiche, ribadiscono piuttosto la richiesta che il “testamento” non abbia carattere vincolante per il medico. Certamente anche nel caso dell’alimentazione e dell’idratazione.
Ma non solo in questo caso. Vengo così al terzo e più importante punto. Si potrebbe pensare che, per questa via, ci si prepari ad un’ulteriore contrazione degli spazi dell’autodeterminazione. È possibile, ma la sfida è più alta. Questo disegno di legge è partito pensando alla situazione estrema dello stato vegetativo persistente e riguarda adesso tutti i soggetti che si trovano «nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario». Non poche migliaia, ma diverse centinaia di migliaia di persone. I malati di Alzheimer, tanto per essere chiari.
E proprio la concentrazione ossessiva sulla questione della nutrizione e sull’idea che fosse possibile sganciarla dal vincolo rigoroso del principio del consenso informato per la sua natura non terapeutica ha prodotto un paradosso. I medici cattolici, giustamente, evidenziano come nella pratica quotidiana della loro attività il rischio più concreto sia quello dell’abbandono piuttosto che dell’accanimento. Ebbene: la legge, almeno nella sua versione attuale, rischia di aumentare gli spazi di tale abbandono, perché nelle dichiarazioni anticipate sarà possibile esprimersi su qualsiasi tipo di trattamento e rimangono nell’ambiguità i criteri in base ai quali il medico deciderà di seguire o non seguire le indicazioni del paziente.
Chiedere attenzione su questo punto non significa tenere in poco conto il valore dell’autodeterminazione. Significa affrontare il problema vero di una legge di questo tipo.
Il rifiuto consapevole di un trattamento sanitario da parte dell’interessato è un limite invalicabile che il medico non può violare. Si tratta però di un rifiuto che può implicare il lasciarsi morire anche quando il medico è in grado di far guarire e continuare a vivere e a vivere bene.
Ecco perché può essere ragionevole, per tutti quei trattamenti che la scienza medica considera ordinari e proporzionati, chiedere un bilanciamento più prudente – non vincolante – quando manca il requisito dell’attualità della volontà. Senza che ciò comporti il puro e semplice azzeramento di quest’ultima. Affrontare seriamente questo problema e dimostrarsi finalmente capaci di non ridurlo alla dolorosa vicenda di Eluana Englaro potrebbe aiutare a trovare una soluzione più condivisa.
Gli autorevolissimi intellettuali cattolici che hanno proposto su Avvenire un vero e proprio appello al parlamento sostengono che questa legge «va fatta adesso». Eppure è una legge che definiscono «migliorabile». Perché dovremmo rinunciare a farlo?

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