giovedì 21 aprile 2011

Quando a curare sono le cellule – sono passati 50 anni da quando James Till e Ernest Mc Culloch rivelarono l’esistenza delle staminali – Dalle terapie con le staminali possiamo solo aspettarci l’inimmaginabile, dice il nemico giurato delle patologie congenite. E un salvagente per gli eroi di Fukushima – da IlSole24Ore del 21 aprile 2011

Prima di andare incontro alle radiazioni, agli addetti della centrale nucleare di Fukushima hanno prelevato un po' di midollo osseo. Fatalmente, tornerà utile a quelli che si troveranno a combattere con l'elevata probabilità di un tumore. «Con le cellule staminali autologhe, avranno le massime probabilità di successo», ammette Dario Fauza. «Ma questo è solo un esempio di cosa riusciremo a fare con la cell-based therapy».
La terapia a base di cellule (invece che a base di medicine) è il grande sogno di questo professore di chirurgia brasiliano, che ha ingaggiato una battaglia senza quartiere contro i difetti congeniti: con la sua ricerca al Children's Hospital di Harvard, vuole trovare il metodo più efficace per fronteggiare le patologie pre e post-natali. «Ho sempre odiato le malattie – dice Fauza, volato fino a Firenze per parlare al convegno della Simp, la Società italiana di medicina perinatale – e non riesco a immaginare nulla di più importante che farle scomparire».
Non ci sono solo le promesse della genetica. «Le cellule si possono usare come terapia – rimarca Fauza – usandole direttamente per la cura». «Però si possono usare anche per lo screening, in modo da verificare gli effetti di una molecola sulle cellule di un particolare paziente, contribuendo in questo modo alla cosiddetta medicina personalizzata. Infine, possiamo usarle per disegnare un modello più preciso delle patologie». Le promesse della terapia cellulare, sono pressoché infinite. E Fauza le insegue più che può.
Uno studio del suo team che sta per essere pubblicato, rivela che il feto ha un modo molto particolare di curare le ferite. «Abbiamo scoperto che nel fluido amniotico ci sono delle cellule staminali che si posano sulla ferita e promuovono la riparazione del tessuto. Questo conferma che le staminali giocano un ruolo determinante nei sistemi biologici e ci incoraggia a usarle nella medicina rigenerativa: del resto, è un fenomeno che già avviene in natura».
A ben pensarci, non c'è nulla che susciti così tanta meraviglia davanti agli intimi meccanismi della biologia, quanto le cellule staminali. Ma il medico brasiliano non si ferma davanti a questo incanto. «Ormai – dice il nemico giurato delle patologie – abbiamo davanti un'autostrada: usare queste cellule in aggiunta all'ingegnerizzazione dei tessuti», tessuti nuovi di zecca prodotti con le cellule fetali che Fauza già usa per riparare alcune anomalie congenite. «Le cellule che partecipano alla riparazione biologica sono una grandiosa opportunità, per la ricerca clinica», assicura.
Ecco perché Fauza ha immaginato da tempo di poter conservare il liquido amniotico, opportunamente congelato: per avere in banca un po' di staminali autologhe da usare in caso di patologie future. A maggior ragione quando esistono – o si presumono – Spade di Damocle genetiche in famiglia. È il business della Biocell Center di Busto Arsizio, che ha aperto di recente una sede vicino a Boston e che collabora con Fauza e il suo team. Anche se ci vorrà ancora un po' di tempo, prima che le terapie cellulari diventino cosa di tutti i giorni. Fauza è in attesa del via libera della Fda americana alla sperimentazione clinica di tecniche cellulari per due malattie gravissime, come l'ernia diaframmatica congenita. «Ottenere queste autorizzazioni è sempre difficile, ma sono ottimista», dice Fauza.
A chiedergli cosa dobbiamo attenderci per il futuro, preferisce non fare profezie. «Si aspetti l'inimmaginabile», risponde col suo sorriso gentile. È un po' quel che suggerisce il tecnologo Ray Kurzweil, quando dice che la crescita esponenziale della tecnologia e della conoscenza consentiranno al genere umano di prolungare indefinitamente la durata della vita. Ma il professore di Harvard preferisce non commentare. «Dico solo che c'è chi compara i risultati ottenuti nella fisica o nella matematica con quelli della biologia, ma è un esercizio senza senso: nella biologia tutto è enormemente complicato, sono troppe le variabili in campo. Stiamo andando avanti a forza di esperimenti. Forse un giorno avremo anche una teoria, una specie di roadmap da seguire. Ma al momento, possiamo solo ricercare in ogni direzione possibile: c'è ancora un sacco di malattie da curare e un sacco di misteri da sciogliere. Nella ricerca medica, abbiamo bisogno di tutta la crescita esponenziale che possiamo avere. Ma, di sicuro, le terapie cellulari ci daranno un rilevante contributo, lungo questa strada».

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