giovedì 28 aprile 2011

 IL CASO/ Basta il parere degli esperti per decidere se vivere o morire? Di Assuntina Morresi, giovedì 28 aprile 2011 – il sussidiario.net

Chi è contrario a che ognuno possa scegliere liberamente come vivere? Nessuno. Siamo tutti favorevoli a che tutti possano condurre la propria vita come meglio credono. E secondo la vulgata comune, si può far quel che si vuole finché le proprie scelte non limitano quelle altrui. Solo a quel punto possono sorgere problemi.
Ma i fatti spesso ci dicono che le cose non sono poi proprio così semplici. Prendiamo un paio di notizie che la settimana scorsa sono venute dalla Gran Bretagna.
La prima. Una clinica inglese è stata autorizzata a praticare iniezioni mensili per bloccare la pubertà a ragazzini di 12 anni che si dichiarano confusi sulla loro identità sessuale. Non è corretto – come invece si è letto un po’ dappertutto - parlare di terapie, perché i farmaci somministrati in questo caso non servono per curare un disturbo psichico, o per indirizzare lo sviluppo fisico nei confronti di un sesso: si tratta semplicemente di “prendere tempo”, per permettere a questi adolescenti di “scegliere” meglio il sesso che sentono più corrispondente. La notizia, per come è stata riportata, non diceva di patologie di ambiguità sessuale (delle quali si è occupato lo scorso anno pure il Comitato Nazionale di Bioetica), magari quelle in cui sono i medici stessi ad avere difficoltà, alla nascita, ad assegnare il sesso: qua si parla, molto genericamente,  di ragazzi “confusi”, lasciando intendere che ci si riferisce, piuttosto,  a disposizioni d’animo e a sensazioni personali.
Anche la seconda notizia riguarda i giovani. Per prepararsi all’esame di maturità, gli studenti inglesi devono sapere cos’è l’eutanasia, e si serviranno di un video che raccoglie pareri e testimonianze pro e contro: ci sarà Philip Nitschke, il medico australiano soprannominato “Dottor Morte”, come pure l’ex medico Michael Irwin, “orgoglioso di aver aiutato almeno nove persone a togliersi la vita” in una clinica svizzera, insieme pure ad associazioni pro-life, quelle cioè di parere opposto, decisamente contrarie al diritto a morire. I ragazzi dovrebbero quindi essere in grado di farsi un’idea in base a un’informazione completa, “oggettiva”, ed eventualmente “scegliere” da che parte stare.
Potremmo commentare a lungo sia la mostruosità dell’intervento medico nel primo caso, che il pericolo di mettere dei ragazzi di fronte a tragedie di fine vita, spesso riportate in modo ideologico. Adesso, però, è altro su cui ci interessa riflettere.
Queste due notizie, molto diverse, sottendono una medesima idea di “libera scelta”: suggeriscono, innanzitutto, che tutte le circostanze della nostra vita possono essere oggetto di una scelta, persino l’essere maschio o femmina, e il vivere o il morire. Niente, cioè, accade, niente è dato: tutto ciò che fa parte della nostra esistenza, soprattutto se non ci piace, se ci far star male, se ci fa sentire fortemente a disagio, si può cambiare, sovvertire, insomma: tutto può essere il frutto di una nostra decisione.
E per “scegliere” al meglio, che si fa? Ci si affida agli “esperti”: si guarda un video, girato rigorosamente in “par condicio” (opinioni pro e contro pesate col bilancino) e poi si decide. E se ancora non è possibile fare lo stesso per essere maschio o femmina, se ancora, cioè, non si può crescere un po’ uomo e un po’ donna per chiarirsi meglio le idee e scegliere meglio cosa diventare– magari qualcuno suggerirebbe pure questo – allora si ferma tutto. Anziché osservare e ascoltare lo sviluppo del proprio corpo e della propria persona, per chiarirci le idee nel caso fossero confuse, sospendiamo la vita, e pensiamoci su.
Ma possiamo chiamare tutto questo libera scelta?
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