Avvenire.it, 4 maggio 2011 - Le polemiche su pubblicità e unioni omosessuali - Combattere le discriminazioni senza riconoscimenti impropri di Francesco D'Agostino
Qualche giorno fa il sottosegretario Giovanardi ha criticato, ritenendo che veicolasse un messaggio in contrasto con i principi stabiliti dalla nostra Costituzione, il manifesto pubblicitario di un’azienda, nel quale questa, dichiarandosi pronta a soddisfare gli interessi di qualunque tipo di famiglia, esibiva, con un’immagine peraltro garbata, una coppia esplicitamente omosessuale. Sul piano mediatico le reazioni alle critiche di Giovanardi, subito bollato come omofobo, sono state molto ruvide, fino al limite dell’irrisione e dell’invettiva e si sono tutte mostrate convergenti nel ritenere urgente l’approvazione da parte del nostro Parlamento di una normativa contro l’omofobia. Indipendentemente dall’opportunità dell’"uscita" di Giovanardi (questione in cui non voglio entrare), va rilevato che proprio il carattere aspro e derisorio delle critiche che gli sono state mosse mostra quale e quanta sia la confusione delle idee in merito e come il sottosegretario abbia toccato un nervo delicatissimo e scoperto.
Nonostante ciò che alcuni continuano a sostenere, non esiste più in Italia, e da tempo, una "questione omosessuale". Le discriminazioni che deplorevolmente colpiscono gli omosessuali sono analoghe a quelle che a possono colpire chi, agli occhi ottusi, malevoli e a volte criminali di alcuni, appaia "diverso" (per etnia di appartenenza, per disabilità fisica o psichica, per religione, per provenienza sociale, ecc.). Tali discriminazioni vanno severamente punite. Una cosa però è difendere i sacrosanti diritti degli omosessuali, come persone e come cittadini, tutt’altra cosa è far rientrare nella difesa di questi diritti il riconoscimento del matrimonio gay. È un errore simile a quello di chi sostenesse che per rispettare i "diritti" dei musulmani bisogna recepire nel nostro ordinamento la poligamia.
Esistono ragioni sociali (che sono le uniche che legittimano l’intervento del diritto) per legalizzare il matrimonio gay? La risposta è no. Ragioni sociali non esistono, esistono al più solo ragioni simboliche: sposandosi, i gay vogliono avere conferma pubblica dell’analogia della loro convivenza (giuridicamente lecita) alla convivenza eterosessuale (non solo lecita, ma riconosciuta e tutelata dal diritto in quanto procreativa e luogo di socializzazione primaria delle nuove generazioni). Ma i gay (anche se non tutti) sono convinti che tra unioni eterosessuali e unioni omosessuali non sia la procreazione a fare la differenza: di qui la pressante rivendicazione perché la legge conceda ai gay il diritto di adottare bambini o addirittura quello di poterli procreare artificialmente. L’artificio, anche quello più estremo (come la procreazione in vitro e il ricorso a un utero in affitto), che anche quando è posto in essere possiede il carattere dell’eccezionalità, viene paradossalmente invocato e utilizzato per negare l’innegabile e cioè che la natura (vista come il fumo negli occhi dai gay) "di norma" affida la procreazione all’unione tra un uomo e una donna. Questa è la differenza, che fa differenza.
Il senatore Giovanardi, indipendentemente dai toni che possa avere usato, ha ragione su un punto fondamentale: la nostra Costituzione (negli articoli 29, 30 e 31) tutela la famiglia in modo particolarmente forte e nettamente differenziato dalla tutela che riconosce a qualsiasi altra formazione sociale presa in considerazione dall’articolo 2. Non si nega alcun diritto ai gay, quando ci si rifiuta di riconoscere alla loro convivenza un carattere coniugale, così come non si nega alcun diritto a una coppia di amici, quando non si riconosce alla loro amicizia rilievo giuridico. La questione è tutta qui: discutiamone pacatamente e lucidamente e lasciamo da parte accuse, biasimi, ironie, invettive, che sostituiscono al buon uso della ragione un cattivo uso dei sentimenti, delle passioni ideologiche e delle emozioni.
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