Medicina - Dopo la sentenza Huscher, Broggi del «Besta»: molti eviteranno i rischi per non avere denunce ·-I chirurghi e le operazioni estreme: noi, tutti condannabili - Corriere Della Sera, 14 Maggio 2011, Margherita De Bac
ROMA — La sentenza della Corte di Cassazione sui limiti deontologici dei professionisti del bisturi ha fermato la mano dei chirurghi, «In questi giorni avrei dovuto operare una signora in condizioni disperati. L’intervento è inutile ma le darebbe sollievo alleviando sintomi dolorosi. Ho un ripensamento», racconta Giovan Battista Grassi, dipartimento di chirurgia oncologica al San Filippo Neri di Roma. La sentenza e dell’8 aprile e ha scosso il mondo della chirurgia. Riguarda il caso di una donna con tumore al pancreas e metastasi morta dopo un'operazione eseguita nel 2001 a Roma. Tre medici condannati per omicidio colposo.
Tra i quali Cristiano Huscher, ex primario dell'ospedale San Giovanni dj Roma. ll reato viene dichiarato prescritto ma i magistrati riportano la conclusioni dei giudici di secondo grado scrivendo: «I chirurghi hanno agito in dispregio del codice deontologico che fa divieto di trattamenti dettati da forma di inutile accanimento terapeutico. Si evidenzia la violazione delle regole di prudenza e delle disposizioni dettate da scienza e coscienza». In altre parole, quando non c’e speranza e l’intervento non può modificare la prognosi di una malattia non bisogna insistere. Anche se il paziente sarebbe d’accordo a farsi operare e non vuole arrendersi. «Sono affermazioni molto gravi e pericolose — commenta Giovanni Broggi, neurochirurgo dell'Istituto Besta —.
In questo modo saremmo tutti condannabili ogni volta in cui riteniamo opportuno intervenire in situazioni estreme. Ma come si permettono i giudici di decidere cosa è giusto e cosa no?». Secondo Broggi questa sentenza spingerà molti medici ad attuare la cosiddetta medicina difensiva: «Eviteranno di prendersi rischi per non avere denunce. Ci condizionerà, Sono molto preoccupato. Dovrei abbandonare chi non può essere curato?». Huscher non rinnega un solo intervento dei circa mille eseguiti in 30 anni di carriera, una quarantina di denunce col sospetto di accanimento terapeutico «Ne sono state archiviate 37 — precisa. Tutte partite da un mio ex aiuto». E difende il suo modo di intendere la chirurgia; apri «È nobile operare un malato senza speranza. Continuerò a farlo quando riterrò che possa trarne vantaggi sul piano della qualità di vita. Purtroppo è un atteggiamento in estinzione. Molti colleghi hanno paura. Io cerco di guarire inguaribili o, nel caso non lo siano, migliorare quel poco di vita che resta».
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