L'uomo nell'universo - Il Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo spiega la prova antropologica della vita fin dal concepimento - Roma, 03 Febbraio 2013 (Zenit.org ). Carlo Casini |
Interrogarsi sul senso della nostra vita è quanto di più razionale possa dirsi. E’ una domanda che riguarda anche l’intero universo. E’ una domanda certamente di sapore religioso, ma che tutti gli uomini in quanto uomini si pongono perché dotati di ragione, cioè capaci e soprattutto desiderosi di conoscere le cause, gli scopi, il significato di ciò che esiste e degli eventi che si succedono nel tempo. La risposta può essere religiosa in quanto si affida ad una spiegazione che suppone l’esistenza di un Dio creatore o può non essere affatto religiosa fino a quella disperata di chi ritiene che non vi sia alcuna risposta possibile al di là di ciò che è sperimentabile con i sensi del proprio corpo.
Ai due estremi sembra possibile collocare la risposta del salmista della Bibbia e quella del grande poeta Giacomo Leopardi nel “Canto notturno di un pastore errante nell’Asia”. Il primo esulta mentre coglie un significato straordinariamente positivo nel vivere umano: “Se guardo il cielo opera delle Tue dita; / la luna e le stelle che Tu hai fissate, / che cosa è l’uomo perché Te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché Tu Te ne curi? / Eppure l’hai fato poco meno degli angeli; / di gloria e di onore lo hai coronato; / gli hai dato potere sulle opere delle Tue mani, / tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Salmo 8); “Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio / sono stupende tutte le Tue opere” (Salmo 138).
Anche Leopardi contempla la luna e le stelle con la struggente capacità contemplativa di un grande poeta, ma non riceva alcuna risposta alle sue incalzanti domande: “Dimmi, o luna: a che vale al pastore la sua vita – la vostra vita a lui? Dimmi: ove tende – questo vagar mio breve, - il tuo corso immortale?” Nel silenzio dell’Universo, la mancata risposta alla domanda di senso porta alla disperazione: “Forse in qual forma, in qual – stato che sia, dentro covile o cuna – è funesto a chi nasce il dì natale”.
“Provare l’esistenza dell’uomo” è lo scopo di queste pagine. La tesi è duplice: da un lato provare l’individualità umana del concepito, dall’altro provare il salto di qualità che separa l’humanum da ciò che non è humanum. I due aspetti, peraltro, non sono separabili. Se il senso di una vita umana è lo stesso della vita di un insetto o di una pianta, non si vede per quale ragione vi sono diritti umani inviolabili di cui si afferma che la titolarità spetta a tutti, anche a coloro che apparentemente sembrano non avere alcun valore, come i malati di mente, i morenti, i neonati, etc. Evidentemente non è l’apparenza della forma o della funzione ciò che differenzia l’uomo da tutto il resto del creato. Se diciamo che un malato di mente totale ha un valore superiore ad un gatto è evidentemente perché riteniamo che nel primo vi sia qualcosa di decisivamente importante diverso dall’aspetto e dalle capacità di pensare e di fare. Questa diversità riguarda il senso della vita umana. Naturalmente la visione religiosa, particolarmente quella cristiana, sa dare risposte. Si può discutere se esiste una risposta pienamente convincente quando si prescinde dalla dimensione religiosa. Ma il dato di fatto meritevole di considerazione è, come abbiamo visto esponendo la prova giuridica, che tutti i popoli della terra nelle più solenni dichiarazioni del nostro tempo, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, affermano la uguale dignità di ogni essere umano, a prescindere da qualsiasi condizione diversa dal semplice fatto di esistere come essere individuale della specie umana. L’eguaglianza in dignità suppone che tale dignità sia sempre massima, cioè la più grande possibile, tale, cioè, da non consentire graduazione, nel senso che l’esistenza di un uomo possa essere più o meno degna di quella di un altro. Non si tratta di proporre disquisizioni filosofiche o teologiche. Si tratta soltanto di constatare un dato di fatto: il riconoscimento della uguale dignità di ogni essere umano come tratto caratteristico della cultura moderna. Le tesi di alcuni bioeticisti e di alcuni animalisti di segno contrario sono isolate ed hanno il sapore della originalità. Ora una dignità che non tiene conto della forma (morfologica) e della capacità (funzionalità) dell’uomo non può che essere collegata al senso della vita. Ogni vita umana ha un senso sempre non graduabile. Questo è l’altro modo di esprimere il concetto della uguale dignità.
L’uomo nel mistero dell’universo
Il salmista e Leopardi per conoscere il senso della vita collocano l’uomo all’intero dell’universo. In effetti viviamo immersi nel mistero. Sono molto più numerose le cose che non sappiamo di quella che conosciamo. Eppure oggi abbiamo enormemente accresciuto le nozioni di un tempo. Fino ad epoche recenti ben poco era conosciuto al di là del nostro sistema solare, ben poco della struttura della materia. Talete di Mileto, 600 anni prima di Cristo, credeva che la terra fosse un disco galleggiante sul mare e che la volta celeste fosse una specie di coppa appoggiata sulla terra. Fino a Copernico, verso la fine del Medio evo, dominò la visione geocentrica di Claudio Tolomeo. La terra ferma al centro dei cieli ed il sole ruotante intorno a lei. Il sistema copernicano e galileiano dimostrò la diversità dei moti dei pianeti attorno al sole, ma non andò molto al di là nello scrutare l’universo. Solo recentemente i potenti moderni telescopi, i complicati calcoli matematici e le esplorazioni dei missili e dei satelliti artificiali hanno fatto scoprire l’incredibile complessità e le dimensioni immense dell’universo, i cui confini sono ancora irraggiungibili. Restiamo attoniti e quasi sgomenti quando cerchiamo di applicare all’universo il nostro modo di pensare lo spazio e il tempo. La nostra terra ha una circonferenza di 40mila chilometri. La luce corre a 300mila Km. al secondo. Mentre io pronuncio la parola “uno” essa ha fatto sette volte e mezzo il giro del mondo. Ma l’unità di misura usata dagli astronomi è l’anno luce, cioè lo spazio percorso dalla luce in un anno. Poiché in un giorno ci sono 86.400 secondi e in un anno 31.536.000, un anno luce corrisponde a quasi 76mila miliardi di chilometri. La mente si smarrisce. Non siamo in grado di ricorrere alla immaginazione. Eppure lo spazio fino ad ora scrutato copre la distanza di un miliardo di anni luce! La terra si trova all’interno dell’ammasso della Vergine nel quale sono riunite 2500 galassie, ciascuna delle quali è formata da miliardi di stelle. La nostra galassia, a forma di spirale, ha un diametro di 100mila anni luce. 100 miliardi di chilometri misurano l’asse del nostro sistema solare e 100 milioni di chilometri misurano sei settimane dall’orbita terrestre attorno al sole. Alla terra ci vogliono quattro giorni per percorrere 10 milioni di chilometri.
Anche la riflessione sull’origine dell’universo ci lascia senza fiato. La più accreditata teoria è oggi quella del big bang. 13 miliardi e 800 milioni di anni fa tutta la materia oggi dispersa nell’immensità dell’universo sarebbe stata concentrata in uno spazio limitatissimo: addirittura, secondo alcuni, dal nulla sarebbe comparso un punto dove energia e materia avrebbero avuto una inimmaginabile densità. Quel punto sarebbe esploso con un fragore talmente grande che ancora oggi, a tanta distanza di tempo, se ne sentirebbe l’eco negli spazi intergalattici e interstellari. Infatti, gli scienziati hanno constatato che i corpi stellari sono in espansione, si allontanano, cioè, l’uno dall’altro. La velocità di espansione è calcolabile e, andando a ritroso nel tempo, si arriverebbe a quel big bang di cui si è detto. Anche le onde di tipo sonoro andrebbero attenuandosi nel tempo e quindi diverrebbero sempre più intense tornando a ritroso fino a quello straordinario big bang di 13 miliardi e 800 milioni di anni fa.
Lo stupore e il senso di mistero non diminuiscono se dall’inimmaginabilmente grande si passa all’incredibilmente piccolo: dal macrocosmo al microcosmo. Anche la struttura intima della materia è stata conosciuta piuttosto di recente. Un atomo di carbonio misura dieci miliardesimi di metro. Esso contiene un nucleo e sei elettroni e qui le misure diventano ancora più inquietanti per la loro difficile pensabilità. Siamo nell’ordine di un “picometro” cioè di un millesimo di miliardesimo di metro quando si vuol misurare il nucleo. E nel nucleo vi sono 6 protoni e 6 neutroni. Dimensione: un milionesimo di miliardesimo di metro. Ciascuno dei protoni e dei neutroni è composto da tre quark, di cui, però, non sappiamo quasi nulla.
Nell’immensità dello spazio e del tempo l’uomo chiede alla sua mente soprattutto informazioni su se stesso. Chi sono? Da dove vengo? Qual è il senso della mia vita? La scienza investiga nel campo dell’archeologia e della biologia. Se fosse vera la teoria dell’evoluzione non per questo verrebbe meno la meraviglia della vita umana. Spazio e tempo avrebbero concorso al comparire dell’uomo. Dalla materia inanimata, ai primi vegetali e poi ai batteri, ai molluschi e poi, attraverso milioni di anni, ai pesci e ai rettili e agli uccelli e infine ai mammiferi e infine…, infine ecco l’uomo, in cui la materia si organizza fino al punto di permettere pensiero, libertà, amore. Tutto nell’universo sembra tendere a lui. Che significato avrebbe una immensità di materia inconsapevole della sua esistenza? Anche chi non crede in Dio o brancola a tentoni nel buio del dubbio, non può non avvertire la forza dell’ipotesi che, se nel tutto vi è un senso, questo va scoperto in lui, nell’uomo. Se c’è stata una evoluzione dalla semplicità della materia inanimata alla complessità ancora largamente inesplorata del nostro cervello deve esservi stato un disegno teso al raggiungimento di un fine. Il tempo e lo spazio sono in funzione di questo fine. La teoria della relatività dimostra che tempo e spazio sono in funzione l’uno dell’altro. Non vi può essere un grande tempo senza un grande spazio. Perciò la lunghissima evoluzione che ha portato all’uomo aveva bisogno di uno spazio enorme. L’universo appunto. L’uomo, perciò, anche soltanto considerando le cose a prescindere dalla riflessione metafisica e religiosa, appare figlio dell’immenso.
(La seconda parte verrà pubblicata martedì 5 febbraio)
Il Presidente della Commissione Affari Costituzionali del parlamento Europeo spiega la prova antropologica della vita fin dal concepimento
Carlo Casini | Martedì, 05 Febbraio 2013 | Zenit.org | Roma
[La prima parte è stata pubblicata domenica 3 febbraio]
Concepimento, creazione in atto
Anche ogni singolo essere umano ha avuto un inizio. Un certo numero di anni fa né chi scrive né chi legge esisteva. Improvvisamente siamo comparsi dal nulla. Per ciascuno di noi la creazione è avvenuta allora. E se è vero che l’uomo è l’esito finale dell’Universo, allora ciascun nostro inizio non è soltanto creazione in atto (passaggio dal nulla all’esistenza non tredici miliardi e 800 milioni di anni fa, ma oggi): è anche la creazione più vera. Il vero big bang è il concepimento. Da allora il nostro corpo ha cominciato ad espandersi con una velocità e una organizzazione più impressionante di quanto è avvenuto nell’universo. Basti pensare che dalla prima cellula iniziale derivano i centomila miliardi di cellule che compongono il corpo adulto di un uomo e di una donna. Anche dal punto di vista numerico l’uomo vince sulle stelle: una galassia può avere centinaia o migliaia di miliardi di stelle. Molte, ma comunque è un numero inferiore a quello delle cellule che compongono un corpo umano. Colpisce poi il finalismo che determina la collaborazione di ogni cellula con tutto il resto del corpo, nonché la velocità della costruzione specialmente nella fase che precede il parto.
Il paragone che abbiamo proposto tra l’universo e l’uomo porta ad alcuni corollari. Vi è una certa analogia tra l’inizio del cosmo, così come viene oggi ipotizzato dalla maggioranza degli scienziati, e l’inizio di ogni singola vita umana.
Un punto
Un punto che improvvisamente compare dal nulla. Un punto che contiene una enorme forza espansiva e organizzativa. Un punto in rapida coordinata espansione. Un punto destinato a divenire qualcosa di incommensurabile: nell’ordine della materia inanimata per quanto riguarda l’universo, nell’ordine del pensiero per quanto riguarda l’uomo, capace di abbracciare con la mente l’intero universo. Se qualcuno avesse distrutto il punto da cui ebbe inizio il cosmo, non ci sarebbe l’universo. Avrebbe distrutto il Creato.
Se qualcuno elimina l’embrione umano anche quando ha le dimensioni di un punto non solo distrugge un uomo, ma commette qualcosa di irreparabile, perché quel determinato essere umano non è sostituibile. Quale che egli sarebbe stato, intelligente o di modesta levatura intellettuale, qualcosa è stata sottratta alla storia del mondo, la quale, sia pure per una parte dell’ordito, non potrà più essere riparata. Il danno può essere giudicato per lo più modesto, ma chi può dire chi sarebbe stato quel figlio-embrione divenuto adulto? Dante, Beetoven, Leonardo da Vinci sono stati embrioni. Senza di loro tutti noi saremmo diversi. Chi può dire quanti tra i milioni e milioni di embrioni distrutti con l’aborto o con le varie forme di premeditata eliminazione di figli generati in provetta avrebbero potuto dare un contributo potente al progresso della civiltà, della medicina, della solidarietà, della scienza?
La dignità di ogni vivente umano
Davvero ripetere lo slogan che l’embrione umano non è uomo a ragione della sua piccolezza significa offendere la ragione, oppure riferirsi a una visione brutalmente materialista che considera esistente solo la materia e ritiene l’uomo non altro che materia organizzata in modo particolarmente perfetto, ma pur sempre materia, che, dunque, può essere utilizzata e distrutta nei limiti in cui ciò è conveniente e privo di rischi per chi agisce. Il novecento, secolo di enorme progresso tecnico e civile in tutti i campi, ha visto la passeggera vittoria di dottrine che alla domanda di senso riguardo alla vita del singolo individuo umano non hanno saputo rispondere perché il loro orizzonte era soltanto la materia. Il comunismo reale, ad esempio, non solo ha eretto musei dell’ateismo, ma ha anche insegnato nelle scuole il materialismo teorico. Per evitare l’insuperabile angoscia di Leopardi (il non senso dell’esistere) o il cupo chiudersi di ciascuno nell’isolamento del proprio io pronto a divenire lupo per gli altri, e tuttavia per restare nell’orizzonte della materia, quelle dottrine hanno proposto ai popoli l’idea di un soggetto collettivo – volta a volta la classe, la razza,la Nazione, la specie – come il vero soggetto portatore del valore per promuovere il quale la vita del singolo non varrebbe niente. L’esito drammaticamente nefasto di quelle dottrine è sotto gli occhi di tutti. Proprio nel tentativo di chiudere la stagione dei lager e dei gulag, delle discriminazioni e delle violenze, i popoli del mondo hanno scrittola Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10/12/1948). Proprio nel momento in cui la memoria della tragedia era ancora dolore quotidiano e un possibile nuovo conflitto atomico era all’orizzonte, gli Stati – pur mentre andavano accumulando testate atomiche e missili, impauriti l’uno dall’altro – affidavano tutta la loro speranza civile – di libertà, di giustizia e di pace – a un atto della mente umana: il riconoscimento della “uguale dignità inerente ad ogni essere umano”. Néla Dichiarazione del 1948, né gli innumerevoli Atti e Trattati internazionali successivi relativi ai diritti umani, né le Costituzioni dei singoli Stati che hanno legato la loro stessa identità statuale alla promozione dell’eguale dignità umana, spiegano da dove venga una tale dignità. Si direbbe che essa sia estratta dalle macerie delle città, dal sangue delle vittime e dagli orrori della guerra. Quasi con un procedimento di induzione dai fatti essa è dimostrata dal suo contrario. Ogni sofferenza, ogni oppressione è stata accompagnata dal disprezzo della uguale dignità umana. Dunque - questa la conclusione – se vogliamo guadagnare spazi di libertà, giustizia e pace, dobbiamo riconoscere la pari dignità di ogni vivente umano. “Res sacra homo” non è soltanto affermazione religiosa. E’ anche la più gridata invocazione “laica” nel senso di una razionalità che osservando le vicende del tempo passato interpreta la storia e si esprime nei consessi delle massime organizzazioni civili non (o non solo) nelle chiese.
A proposito della dottrina dei diritti umani si è parlato di “religione civile” fondata sul “principio di venerazione” per ogni singolo essere umano. Non a caso sia l’atto costitutivo dell’Onu, sia la Dichiarazioneuniversale non esitano a proclamare la “fede nei diritti dell’uomo”. E’ evidente che queste considerazioni lambiscono e preparano la dimensione religiosa nella prova dell’esistenza dell’uomo. Ma deliberatamente non voglio ora inoltrarmi in questo spazio dove la dignità umana non è soltanto indotta dalla storia, ma dedotta con rigorosa logica dalla contemplazione del mistero di un Dio creatore che si fa uomo. Basta semplicemente costatare che nonostantei molti tradimenti pratici, la cultura moderna riconosce che la dignità umana va messa al centro di tutte le strutture portanti del nostro vivere civile: libertà (facoltà di fare ciò che ciascuno desidera per sé stesso anche a costo di calpestare l’altro o facoltà di amare l’altro?), democrazia (forza del numero o espressione organizzativa del principio di uguale dignità di tutti gli uomini?), diritto (comando del più forte o guida all’azione giusta?), laicità (affermazione del dubbio sistematico e invincibile o possibilità di lavoro comune, indipendentemente dalla visione religiosa, per costruire un mondo più conforme alla dignità umana, valore comune fondativo del pluralismo?). In tale contesto la questione della vita umana incipiente appare tutt’altro che una banale fissazione “cattolica”. Di più: proprio la domanda “uomo o cosa?” è un varco per un dialogo costruttivo tra credenti e non credenti, non un muro della incomunicabilità. Così l’indagine sul senso della vita umana illumina anche gli albori della vita stessa. L’uomo di Fede religiosa sa che il senso della vita umana, anche quando essa appare assolutamente primitiva ed umile, è sempre quello di essere una parola d’amore di Dio. Il non credente scommette egualmente sul senso positivo di ogni vita. Questa è l’inevitabile conseguenza della cultura dei diritti umani. Ciò significa intuire una trascendenza dell’uomo rispetto al resto della natura; considerare l’uomo sempre un fine e mai un mezzo; respingere l’ipotesi di una entità intermedia tra l’uomo e le cose, tra i soggetti e gli oggetti; riconoscere l’uomo anche nelle forme più emblematicamente ultime del vivere umano, quali sono quelle attraversate nell’inizio, nella fine e nella marginalità della sua vita.
Riconoscendo “uno di noi” in ogni figlio, concepito che sia naturalmente o in provetta, si accumulano risorse intellettuali e morali per rinnovare l’intera società in una logica di solidarietà, di eguaglianza e di giustizia sociale.
Insomma, l’accettazione della grandezza misteriosa di ogni uomo non può non riverberarsi sul riconoscimento della sua grandezza anche nel momento della sua origine. E lo stupore di chi riconosce l’uomo nell’apparentemente più insignificante degli uomini non può che aiutare a interpretare con occhi nuovi l’intera società e a operare con maggior lena per rendere il futuro più adeguato alla dignità umana di tutti e di ciascuno.
*Per ogni approfondimento si consiglia la lettura de Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo (Edizioni San Paolo, 5 Euro)
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