mercoledì 13 marzo 2013


Baby S. e il diritto ad avere una possibilità - La gravidanza di Crystal - PAOLA TAVELLA 13 MARZO 2013 - http://www.europaquotidiano.it



Soltanto adesso, dopo due lunghi anni, Crystal Kelley ha risposto agli haters, gli odiatori, che sul suo blog le hanno indirizzato molti insulti e atroci maledizioni. Da Surrogate Insanity, il suo web diary, l’8 marzo ha risposto a chi la accusa di essere un mostro perché ha messo al mondo una bambina molto malata, e che per la legge del suo stato, il Connecticut, non le apparteneva. «Nessuno tranne me poteva sentire la bambina viva e vegeta che scalciava dentro il mio corpo», ha scritto perché ha portato a termine la gravidanza di un feto malformato.

Crystal aveva 29 anni e due figlie quando si è trovata sola e senza reddito. Ha deciso di lavorare come madre surrogata. Un’agenzia l’ha messa in contatto con i genitori di tre bambini già concepiti in vitro. Costoro disponevano di un embrione sovrannumerario, ma la donna non poteva portare avanti la gravidanza, e la hanno pagata 22 mila dollari. All’ecografia delle 24 settimane, però, il feto si è rivelato malformato: palatoschisi, una cisti nel cervello, un difetto cardiaco e qualcosa di sbagliato allo stomaco. I committenti, allora, la hanno invitata ad abortire, come previsto dal contratto. Ma Crystal non voleva: «Non potete giocare a essere Dio».

I giornali hanno scritto che è una fervente cattolica. Lei ora smentisce. «Non sono neppure cristiana. Le mie convinzioni spirituali, però, mi portano ad avere un grande rispetto per ogni vita e per ogni destino. Sono contro la pena di morte, l’eutanasia, lo sfruttamento e il maltrattamento degli animali». I compratori le hanno chiesto, allora, di restituire i 22mila dollari più altri 8mila di spese legali e mediche, oppure di abortire e guadagnarne altri 10mila. Lei ci ha pensato su: «Ero nel bisogno, e per un momento mi sono detta che mi sarei sistemata, poi avrei cercato di dimenticare. Ma non ci sono riuscita».

Davanti al suo diniego, i committenti hanno accettato di far nascere la bambina, ma aggiunto che non l’avrebbero mai riconosciuta, affidandola allo stato del Connecticut per l’adozione. Ventiquattrore prima dell’ultimo termine legale per l’aborto terapeutico, Crystal ha preso le sue due bambine e si è trasferita in Michigan dove, per legge, la titolarità della gravidanza le sarebbe appartenuta pienamente. I proprietari dell’embrione si sono appellati alla giustizia del Michigan. È così saltato fuori che, mentre il gamete maschile apparteneva al marito, l’ovocita era stato comprato da una donna rimasta anonima. Dunque la nascitura apparteneva a sua madre, Crystal, più che a chiunque altro.

Quando Baby S. è nata le malformazioni si sono rivelate più gravi del previsto. Il suo cervello non è diviso in due emisferi, gli organi interni non sono al posto consueto, e ha già subito due operazioni, una al cuore e un’altra all’intestino. Ha solo il 50 per cento di possibilità di crescere, camminare, parlare. Crystal si è accorta che non avrebbe mai potuto mantenerla né pagarle le cure, così l’ha data in adozione a una famiglia che la cresce, se ne occupa e le permette di vederla quando vuole. Ora Crystal è senza una lira, deve pagare le spese mediche (3 mila dollari) ed è senza casa, ospite di amici: «Lottare per Baby S. mi è costato tutto quello che avevo».

Il caso ha infiammato gli Usa perché pone una gran quantità di problemi legali e etici. A chi appartengono davvero i bambini concepiti in vitro e poi traghettati in questo mondo a pagamento? L’imbarazzo intorno a questo commercio è così grande che non si osa neppure pronunciare la parola madre: la si chiama “portante” o “portatrice”.

È noto che, dove questa pratica è legale, i bambini appartengono a chi paga e se li compra, senza sottilizzare sulla biologia e sulla provenienza di embrioni e gameti. Il caso di Crystal e di Baby S. dimostra che in questo settore dell’esperienza non sempre le leggi del mercato e le razionalizzazioni funzionano. Regolare per legge transazioni economiche di eventi così intimi come gravidanza e nascita, è arduo. Prevedere le infinite variabili è impossibile.

Il caso di Baby S. inoltre è scoppiato nel bel mezzo di una rinnovata ostilità fra pro-choice e pro-life. Il 2011 e il 2012, scrive thinkprogress.org, sono stati i due anni peggiori per la libertà di scelta delle donne dal 1973, quando la sentenza Roe v. Wade riconobbe il diritto di abortire. In ben 30 stati sono stati approvate 135 leggi che, in un modo o nell’altro, rendono sempre più difficile interrompere una gravidanza.

Molti commentatori ora rimproverano aspramente Crystal perché Baby S. è una bambina molto malata e destinata a soffrire – come se la vita degli ammalati e dei sofferenti fosse priva di valore. Crystal risponde che fin dalle prime settimane di gravidanza ha sentito che la piccola era una grandissima combattente: «Non mi sbagliavo. Voi credete che sia una vegetale, ma non è vero. Vorrei che poteste vederla saltellare in grembo alla sua madre adottiva, e protestare quando il gioco si interrompe. Certo, ci sono cose che non potrà mai fare, ma in molte è una bambina come le altre. Non sappiamo che cosa succederà quando sarà più grande, ma intanto sono certa che, quando il labbro leporino e il palato saranno operati, lei parlerà e farà rispettare le sue opinioni. Tutti quelli che la conoscono sono d’accordo con me su questo. Credetemi: lei voleva vivere, aveva diritto a una possibilità».

Nessun commento:

Posta un commento