sabato 2 febbraio 2013


Il biologo Rupert Sheldrake: «chi nega la coscienza si contraddice» - 1 febbraio, 2013 - http://www.uccronline.it/

L'illusione della scienza


A difendere l’irriducibilità dell’uomo e la teleologia dell’evoluzione biologica dalle pretese dell’idelogia scientista e materialista, in voga dall’Illuminismo in avanti, si sono aggiunti negli anni numerosi ricercatori mossi, non tanto da ideali metafisici, ma semplicemente dalla stanchezza di dover sopportare i dogmatismi che tengono in scacco la ricerca.

Recentemente ci ha pensato Thomas Nagel, docente di filosofia presso la New York University, con il suo libro “Mente  e cosmo: Perché la concezione materialistica Neo-Darwiniana della natura è quasi certamente falsa” (Oxford University Press 2012) con il quale ha condannato il riduzionismo fisico-chimico in biologia e l’evidente inadeguatezza del «racconto materialista di come noi e gli altri organismi esistiamo, inclusa la versione standard di come funzionino i processi evolutivi».

In questi giorni è uscito (in Italia) un secondo volume, questa volta scritto dal biologo britannico, Rupert Sheldrake, celebre per gli studi sull’invecchiamento cellulare e la teoria dei «campi morfici», intitolato “Le illusioni della scienza. 10 dogmi della scienza moderna posti sotto esame” (Urra 2013).  Il quotidiano La Stampa lo ha intervistato per l’occasione , presentandolo come uno degli evoluzionisti più brillanti della sua generazione, autore di 80 «papers» e vincitore del prestigioso «University Botany Prize» .

Sheldrake sostiene che la scienza del XXI secolo è diventata una cattedrale del dogmatismo, sempre meno adatta a indagare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, il dogma materialista (e dunque filosoficamente ateista) è una prigione per gli scienziati: «Penso che di talloni d’Achille il materialismo ne abbia proprio 10! Non uno solo. Ma il più ovvio è il fallimento nel capire la coscienza. L’assunto-base è che la materia sia l’unica realtà. Perciò la coscienza dev’essere un suo prodotto o un suo aspetto. Significa che la mente non è altro che l’attività del cervello. I filosofi della mente del XX secolo hanno fatto sforzi enormi per provare che la coscienza non esiste e che è un’illusione o un epifenomeno. Ma sono approcci poco convincenti», ha spiegato.

Con un fine ragionamento ha mostrato la contraddizione di chi sostiene che la coscienza sia un epifenomeno del cervello, proprio come aveva già fatto il prof. Giorgio Masiero su questo sito web qualche tempo fa. Risponde Sheldrake: «Definire la coscienza come un’illusione non la spiega, ma la presuppone, dato che l’illusione è una forma della coscienza stessa. E sostenere che sia nient’altro che il risultato di cause fisiche e chimiche, insieme con eventi casuali, fa del sistema di pensiero dei materialisti il prodotto della loro stessa attività cerebrale, su cui non hanno controllo cosciente. In altre parole devono credere nel materialismo, visto che il cervello li obbliga a farlo. Ecco perché un simile sistema di pensiero è auto-contradditorio: chiunque ci creda deve anche credere che la sua convinzione sia l’inevitabile conseguenza dell’attività del cervello e non una questione di scelta».

Il prestigioso biologo ha poi citato proprio il libro di Thomas Nagel di cui abbiamo parlato sopra, spiegando che esso «dimostra che la concezione materialistica è incompatibile con l’esistenza di una mente consapevole e che conduce a una comprensione distorta dell’evoluzione. Invoca quindi il ritorno alla teleologia nel pensiero scientifico, in particolare l’accettazione del ruolo del fine e dello scopo, tutti elementi che sono stati banditi dalla ricerca già a partire dal XVII secolo. Considero questo saggio complementare al mio libro, che discute non solo concetti filosofici, ma anche i passi concreti e gli esperimenti che potrebbero condurre le scienze verso nuove direzioni».

Questa posizione di apertura è molto difficile da mantenere nel contesto scientifico attuale perché molti suoi colleghi, conclude, «sono prigionieri delle pressioni sociali e dell’inerzia istituzionale. In pubblico, per loro, è difficile esprimere idee non convenzionali. In privato, però, sono spesso più aperti. Ecco perché ho rapporti di amicizia con molti scienziati, i quali dimostrano un interesse crescente per le mie idee. Ma considerano più sicuro parlarne in privato piuttosto che in pubblico».



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