La pressione internazionale cresce sul piccolo stivale mediterraneo; mentre gli italiani prendono lentamente coscienza della manovra rivoluzionaria e antidemocratica che si sta attuando in Parlamento alle loro spalle, l’ONU rincara la dose al fine di scoraggiare qualsiasi azione che possa impedire o quantomeno ostacolare l’attuazione della legislazione anti-omofobia che si sta stendendo come una cappa soffocante su tutti i paesi dell’Unione Europea.
Dall’ultimo meeting delle Nazioni Unite emerge, infatti, la volontà di continuare a perseguire e diffondere un concetto di libertà che corrisponde alla totale assenza di obblighi e di doveri e alla soddisfazione di ogni desiderio (legittimo o illegittimo non ha importanza) giustificandolo entro l’intoccabile sfera del “diritto”. Tale concezione distorta del concetto di libertà, ormai entrata nel substrato culturale di noi tutti, muove dalla relativizzazione del concetto di cosa è “bene” per l’uomo, dichiarando che nessuno ha il diritto di dire all’altro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato poiché le categorie di giusto/sbagliato, di bene/male sarebbero del tutto soggettive e indeterminabili. Tuttavia l’affermazione sul piano sociale di una tale concezione relativista non può non avere ripercussioni gravi sulla felice convivenza degli individui che formano la società. Ciò produce, infatti, instabilità morale e indeterminatezza nell’applicazione della giustizia, poiché il diritto non avrebbe più un punto di riferimento universale diventando così una giustizia auto-fondante. Si avrebbe perciò un diritto positivo che altro non sarebbe che “arbitrio puro” ossia una giustizia alla mercé del legislatore che può stravolgerne i contenuti a seconda delle mode e dei capricci del momento. Il concetto stesso di legge che è al di sopra di tutti verrebbe meno, poiché diverrebbe uno strumento manipolabile nelle mani del vincitore di turno alle elezioni.
Inoltre assumere il concetto di “diritto” come arma per affermare qualsiasi tipo ideologia, nel caso specifico di quella gender, produrrebbe quella situazione sociale descritta da Hobbes come homo homini lupus. Con una piccola differenza; Hobbes credeva che tale situazione fosse lo stato naturale dell’uomo e che solo lo stato potesse risolverla attraverso l’assunzione della libertà dei singoli per realizzare il “bene comune”. Nella situazione attuale, invece, sarebbe proprio lo stato a creare una sorta di odio sociale, instaurando un clima di “caccia alle streghe” che evidentemente non corrisponde alla realtà dei fatti. Si vorrebbe creare cioè un carnefice (i cosiddetti “omofobi”) e una vittima (i cosiddetti “LGBT”) al fine di motivare l’urgenza dell’approvazione di una serie di leggi che hanno tutt’altro fine: la distruzione della famiglia. La strumentalizzazione delle morti di alcune povere persone per sostenere la teoria di genere e l’approvazione di leggi liberticide è un’operazione abietta e subdola che tende ad istigare una lotta fra le categorie sociali che nella realtà non sussiste. La tattica è sempre la stessa: assumere dei casi limite, delle isolate manifestazioni di “discriminazione” e “violenza”, se motivate poi da omofobia è tutto da verificare, come pungolo per introdurre una legge univoca. L’eccezione che diviene regola declina così un principio giuridico universale per dei casi particolari che serve non per difendere una categoria discriminata o vittima di violenze, bensì per affermare un principio etico ben preciso: qualunque sorta di aggregazione affettiva può essere famiglia. E’ facile prevederne le conseguenze nefaste: la “cosificazione” dei figli o, per usare un termine coniato dal noto pediatra C. V. Bellieni, la loro “giocattolificazione”. In tal senso i bambini divengono un semplice “diritto”, un qualcosa da ottenere a tutti i costi, un mezzo, e non più un fine in quanto persone. Già il mercato degli uteri in affitto è una triste realtà nei paesi come l’India dove le donne vengono comprate per pochi soldi pur di assicurare la loro disponibilità ad essere delle “macchine produttrici di bambini” per gli “aventi diritto”.
L’ONU utilizza la stessa dicitura adottata in Italia per la proposta di legge Scalfarotto ossia “discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. In definitiva si delinea lo scenario di una legge che nella sua premessa vorrebbe porsi come tutela della libertà d’espressione contro qualsiasi forma di discriminazione ma nella sua prassi la negherebbe a chiunque non si dimostri d’accordo con l’opinione in oggetto, ossia la teoria del gender, o insegni che le ragioni su cui essa è fondata sono contro la morale, il diritto naturale, e la salute psicofisica delle persone con tendenze omosessuali. Tuttavia tale legislazione non spiega la ragione di fondo perché costituiscano aggravanti gli atti di violenza e di discriminazione verso persone con tendenze omosessuali. In tale ottica si viene instaurando una sorta di “categoria protetta”, una sorta di casta con dei privilegi intoccabili e delle tutele di cui gli altri cittadini non godono. Se veramente si vuole reprimere, come è giusto, ogni forma di violenza sarebbe più utile evitare di creare delle categorie di intoccabili, ma combatterla con gli strumenti che la legge fornisce già e diffusamente per tutte le categorie di cittadini. Non cadiamo nell’errore di fare di questa lotta all’omofobia un feticcio senza fermarci a considerare le implicazioni che ogni provvedimento legislativo produce sul piano della convivenza civile. La violenza va stigmatizzata, sempre e dovunque, in maniera univoca per la difesa di ogni essere umano dal più piccolo al più grande senza eccezioni.
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