Non si può essere contrari all’aborto e comunque favorevoli alla sua legalizzazione. Se si definisce l’aborto un dramma e si è contrari ad esso, l’unico motivo per assumere questa posizione è perché si ha la sufficiente onestà intellettuale di riconoscere che l’embrione e il feto sono esseri umani. Nessuno infatti si dispiacerebbe o riterrebbe un dramma estirpare un grumo di cellule o qualcosa che non sia un essere vivente.
Una volta che si riconosce e si accetta l’evidenza scientifica, cioè che zigote, embrione, feto, neonato, bambino ecc sono semplici passaggi di un unico sviluppo umano, non è più eticamente e moralmente accettabile essere favorevoli all’omicidio di tale essere vivente, nella prima fase della sua esistenza (zigote-bambino) così come in quella finale (adulto-anziano). Il diritto alla vita di ogni essere umano deve prevalere sul diritto di autodeterminazione e sul desiderio di disfarsi di altre persone chiamate alla vita.
Per questo motivo, come dicevamo in un precedente articolo, chi vuole sostenere l’aborto è costretto a rifugiarsi nel “funzionalismo”, che spiegheremo nella risposta al punto 1), inventandosi la categoria degli “esseri umani non persone”. Il filosofo Peter Kreeft, docente presso la Villanova University e il Boston College, ha replicato alle più note argomentazioni abortiste dividendole in sei punti.
1) L’abortista sostiene che: esiste una triplice distinzione tra vita umana, essere umano e persona umana. Una singola cellula tenuta in vita in un laboratorio si potrebbe definire “una vita umana”, ma non certo “un essere umano” o “una persona umana.” “Un essere umano” è un individuo biologicamente appartenente alla specie umana, ma se non può fare niente di tipicamente umano allora non è una persona. Ovvero, se non può: pensare, sapere scegliere, amare, sentire, desiderare, mettere in relazione, aspirare, conoscere se stesso, conoscere Dio, conoscere il passato, conoscere il suo futuro, conoscere il suo ambiente, comunicare ecc., allora non è una persona umana e dunque non possiede alcun diritto (come quello alla vita).
Risposta: tale argomento si basa sul funzionalismo. La definizione di una persona deriva dal suo funzionamento o dal suo comportamento, se non può dimostrare di essere persona allora non lo è. Vale a dire, soltanto gli uomini sufficientemente capaci di esprimere la loro personalità possono entrare nella categoria di persone e hanno il diritto alla vita. Ma chi può dire che cosa è “sufficiente”? La linea può essere tracciata a volontà, la volontà del più forte. Secondo Hitler gli ebrei non avevano sufficienti capacità per essere persone degne di rispetto, mentre prima era toccato agli zingari o ai neri. La storia mostra, spiega Kreeft, che «quando è nel proprio interesse uccidere alcune altre persone -feti, nemici dello stato, ebrei, armeni, cambogiani ecc.- basta semplicemente definire le vittime come non-persone, sottolineando che non soddisfano determinati criteri. Ma chi stabilisce i criteri? Chi è al potere, naturalmente». Ogni volta che la personalità è definita funzionale, la linea di demarcazione tra persone e non-persone si baserà su una decisione della maggioranza che è al potere, una decisione di volontà. Tale decisione, data la caducità della natura umana, sarà inevitabilmente basata sull’interesse personale.
Inoltre, chi prova a sostenere con il funzionalismo la categoria degli “esseri umani non persone” si trova a dover necessariamente ampliare gli inclusi, non solo zigoti-embrioni-feti umani ma anche neonati, disabili e malati gravi. Lo hanno dimostrato i ricercatori Minerva e Giubilini della Consulta di Bioetica (laica), guidata da Maurizio Mori e presieduta da Beppino Englaro, i quali hanno affermato: la «non-persone non hanno diritto alla vita, non vi sono ragioni per vietare l’aborto dopo il parto», da praticare finché il soggetto non è «in grado di effettuare degli scopi e apprezzare propria vita». Così, «i feti ed i neonati non sono persone, sono ‘possibili persone’ perché possono sviluppare, grazie ai loro meccanismi biologici, le proprietà che li rendono ‘Persone’», ed è lecito ucciderli perché, «affinché si verifichi un danno, è necessario che qualcuno sia nella condizione di sperimentare tale danno». Chi rifiuta tale argomentazione per i neonati -perfettamente coerente in un approccio funzionalistico- deve necessariamente rifiutarla anche rispetto a zigote-embrione-feto.
2) L’abortista sostiene che: il pro-life commette il peccato intellettuale di biologismo, l’idolatria della biologia, quando definisce una persone usando una via meramente biologica, materiale. L’appartenenza a una specie biologica non è moralmente rilevante, non è ciò che rende le persone inviolabili e sbagliato l’omicidio. L’appartenenza alla specie umana non è più moralmente rilevante di appartenenza la sottospecie o razza. Se il razzismo è sbagliato, così è specismo.
Risposta: il termine “essere umano” non è meramente biologico, perché la realtà che designa non è puramente biologica. Identificare gli esseri umani come persone non è biologismo, è proprio il contrario: è l’affermazione implicita che le persone, cioè, gli esseri umani, hanno un corpo biologico umano e un’anima spirituale umana. La ragione per cui dovremmo amare, rispettare e non uccidere gli esseri umani è perché sono persone: se i robot potessero fare tutto ciò che fanno le persone, essi non sarebbero ancora persone. Le persone sono naturali, necessitano di un corpo umano non artificiale.
3) L’abortista sostiene che: i pro-life commettono un errore sostenendo che la personalità inizia bruscamente, al momento del concepimento. Invece la personalità si sviluppa e cresce gradualmente.
Risposta: il ragionamento è corretto, lo sviluppo è graduale da dopo il concepimento. Non esiste una demarcazione netta tra il “prima” e il “dopo”, io sono lo stesso essere umano dal concepimento in poi, altrimenti non si potrebbe parlare di crescita e sviluppo. Il mio funzionamento si sviluppa gradualmente, ma il mio apparire ha un inizio improvviso, è una singolarità, esattamente come la crescita graduale dell’Universo dopo l’esplosione iniziale ed improvvisa del Big Bang.
Inoltre, se la personalità è solo una via di sviluppo graduale allora non saremo mai pienamente persone, perché continuiamo a crescere, almeno intellettualmente, emotivamente e spiritualmente e dunque l’omicidio è solo in parte sbagliato. Ed ancora: se si ritiene più lecito uccidere un feto che uccidere un bambino perché il feto è “meno” una persona, allora esattamente per la stessa ragione sarà più lecito uccidere un bambino di sette anni, che non ha ancora sviluppato molte delle sue competenze educative, comunicative e razionali, che uccidere un uomo di 30 anni. E’ la conclusione assurda di chi ragiona a favore dell’aborto tramite il funzionalismo e le “capacità” di zigote-embrione-feto.
4) L’abortista sostiene che: i pro-life confondono le potenziali persone con le persone reali. Il feto è potenzialmente una persona, ma deve crescere per essere una persona reale. E’ un’affermazione simile alle precedenti.
Risposta: se il feto è soltanto una persona potenziale, deve pur essere un qualcosa di reale al fine di essere una persona potenziale. Allora che cosa è? Una cellula? Una scimmia? Un oggetto? No, non esistono “persone potenziali” più di quanto non ci sono “scimmie potenziali”. Un embrione umano diventerà certamente un adolescente, così come il bambino diventerà certamente un adulto, a meno che la loro vita non venga interrotta prima. Non esistono “persone potenziali” come non esistono “adulti potenziali”. Tutte le persone sono reali, come tutte le scimmie sono reali. Al massimo possiamo dire che scimmie reali sono potenziali nuotatrici e che persone reali sono potenziali filosofi. L’essere è reale, il funzionamento è potenziale, l’obiezione confonde “una persona potenziale” con “una persona potenzialmente funzionante”. E’ nuovamente la fallacia del funzionalismo. Nessuno ha mai pensato a questa categoria di esseri viventi (le potenziali persone) prima che sia nata la controversia sull’aborto, è molto sospetto che una categoria sia stata inventata per giustificare l’uccisione di altri esseri umani.
5) L’abortista sostiene che: la personalità non è un concetto chiaro. Non c’è un accordo universale su di essa, filosofi, scienziati, persone religiose, moralisti, madri e gli osservatori in generale la definiscono in modo diverso. Si tratta di una questione di opinioni e tali devono determinare la linea di demarcazione tra le persone e le non-persone e le opinioni di alcuni non dovrebbero essere imposte a tutti.
Risposta: la personalità è un concetto poco chiaro? In realtà la personalità dell’embrione-feto-neonato-bambino non dovrebbe nemmeno entrare nel dibattito sull’aborto così come non rientrerebbe nel dibattito sull’eventuale legittimità dell’infanticidio: nessuno sostiene che uccidere un bambino è meno grave che uccidere un adulto perché quest’ultimo ha evidentemente acquisito “più personalità” del primo.
Tuttavia l’obiezione della non chiarezza del concetto di personalità si può rivoltare contro all’abortista: se fosse una questione di grado, determinata dal grado di funzionamento, allora sì che sarebbe davvero poco chiaro e una questione di opinione. Quali caratteristiche contano come prova di “personalità”? Quanto di ogni funzione è necessaria per essere persona?Perché proprio queste caratteristiche? Tali caratteristiche sono presenti nei neonati o nei disabili gravi? Chi è l’autorità che decide per tutti e dunque impone la sua opinione a tutti? Chi dà ad essa questo diritto? Quando qualcuno sarà in grado di rispondere a queste domande allora l’approccio funzionalistico non sarà più un concetto poco chiaro altrimenti si commette l’ennesimo errore di voler andare verso (il presunto) l’oscuro e ignoto attraverso ciò che è ancora più oscuro e più ignoto (Ignotum per ignotius).
6) L’abortista sostiene che: un feto non può essere una persona perché è parte di un’altra persona, la madre. Le persone sono interi, non parti. Le persone non fanno parte di altre persone e il feto è parte di un’altra persona, quindi, il feto non è una persona.
Risposta: l’obiezione è ovviamente la più fantasiosa e se ne conclude che è il parto a generare le persone, mentre fino ad un secondo prima era “non persone”. Affermazione non sostenibile in alcun modo, tant’è che tutte le leggi che regolamentano l’aborto (anche le più liberali) prevedono un termine oltre il quale non è più possibile interrompere la gravidanza in quanto ci sarebbe “l’evidenza” della presenza di un altro essere umano oltre la madre (in Italia dopo la scadenza dei 90 giorni). E’ chiaro che tale linea di demarcazione temporale è scientificamente e filosoficamente errata e ingiustificata e dovrebbe essere posta al momento tra prima e dopo il concepimento, tuttavia ricorda che il diritto di autodeterminazione è sempre sconfitto dal diritto alla vita.
In ogni caso è possibile replicare all’obiezione originale in un modo dal contenuto esilarante: l’argomento si basa su quel che i logici chiamano relazione transitiva. Se A è parte di B e B è parte di C, allora A deve essere parte di C, cioè se un muro è parte di una stanza e la stanza fa parte di un edificio, allora il muro -in ogni sua parte- deve essere parte di tale edificio. Ora, se il feto è una parte della madre, allora il feto e ogni sua parte deve essere parte della madre. In questo caso ogni donna incinta avrebbe quattro occhi e quattro piedi e la metà di tutte le donne incinte avrebbe un pene. Chiaramente tale conclusione assurda è derivante dalla falsa premessa che il feto è solo una parte della madre.
Concludendo dobbiamo sottolineare che la posizione in difesa della vita, assunta dalla Chiesa e da ogni persona di buona volontà (credente o no), è l’unica razionalmente ed epistemologicamente valida e accettabile. Chi la rifiuta solitamente non è in grado di dare ragione adeguata della propria posizione e chi prova ad avventurarsi cade necessariamente in contraddizioni o fallacie di vario tipo, le stesse che abbiamo in parte elencato in questo articolo.
La redazione
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