È in corso un grave attacco al diritto all’obiezione di coscienza in ambito medico-sanitario, all’interno dell’ordine dei medici, in Parlamento, ed anche a livello europeo. La sezione europea della più grande lobby abortista mondiale, l’International Planned Parenthood Federation (9 agosto 2012) e, successivamente, il 17 gennaio 2013, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) hanno presentato un reclamo collettivo contro l’Italia al Comitato Europeo dei Diritti Sociali presso il Consiglio d’Europa. Di quest’ultimo caso si è già occupata la NBQ all’inizio dell’estate appena conclusasi, in un articolo di Gianfranco Amato.
Sul versante opposto, in difesa del diritto all’obiezione di coscienza, è scesa in campo la Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche (FAFCE) che, forte del suo statuto partecipativo presso il Consiglio d’Europa, ha presentato un reclamo collettivo contro la Svezia. Infatti, se in Italia si può parlare di un vero e proprio attacco in corso nei confronti di tale diritto, in questo Paese scandinavo esso non è neanche preso in considerazione. La FAFCE ha denunciato l’assenza di un quadro legale che permetta a coloro che sollevano l’obiezione di coscienza di non essere trattati in maniera discriminatoria. Tale reclamo è stato appena dichiarato ammissibile dal Comitato della Carta sociale del Consiglio d’Europa, nonostante il parere contrario del governo svedese che aveva negato la competenza della FAFCE ad intervenire in tale questione. Difatti il Comitato ha considerato che «i diritti della famiglia – sostenuti dalla FAFCE – inglobano gli ambiti della maternità, della procreazione e dello sviluppo della vita» (Decisione sull’ammissibilità, p. 5).
Per un paese che si proclama paladino difensore dei diritti dell’uomo in tutte le sedi internazionali (con diligente predilezione per le rivendicazioni omosessualiste e abortiste), la sola accettazione di una tale denuncia nell’ambito del Consiglio d’Europa rappresenta un duro colpo alla propria immagine. Ora il governo svedese è chiamato a rendere conto del rispetto del diritto all’obiezione di coscienza all’interno dei suoi confini.
Questa situazione diventa palesemente contraddittoria dal momento che la risoluzione 1763 del 7 ottobre 2010 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha sancito ufficialmente il diritto all’obiezione di coscienza in ambito medico-sanitario. Tale risoluzione fu una vera vittoria di Lepanto (notare la data) portata avanti da un gruppo di politici del partito popolare europeo allora guidato da Luca Volonté.
In effetti, subito l’importante successo del 7 ottobre 2010, sotto la pressione del governo e a seguito di un acceso dibattito, il Parlamento svedese ha votato una decisione che andava nel senso opposto della risoluzione 1763 in difesa dell’obiezione di coscienza, nonostante quest’ultima fosse stata già adottata secondo il normale processo democratico che regola tutte le disposizioni del Consiglio d’Europa. In questo caso è chiaro come tutti i grandi discorsi sulla difesa della democrazia e dei diritti dell’uomo non sono che dei mezzi per raggiungere ben altri fini. Non solo per la vita nascente, ma in tutti gli ambiti, il campo della libertà di coscienza si presenta sempre più come un campo di battaglia nel quale si confrontano differenti visioni dell’uomo.
È ciò che ritiene Maria Hildingsson, segretaria generale della FAFCE, che, contattata dalla NBQ, afferma che «all’origine di questi attacchi sembrano esserci interpretazioni diverse dei diritti fondamentali dell’uomo: bisogna andare fino in fondo e chiedersi cosa ci sia dietro questa volontà di limitare la libertà di coscienza. A tutti i livelli, non si fa che mettere in questione tale libertà fondamentale che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi... In fondo, appare una differente visione dell’uomo, non rispettosa della sua grande dignità».
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