Se volessimo raccontare la storia di un bambino non dovremmo iniziare dal momento meraviglioso della nascita, ma retrocedere all’istante del concepimento e a tutta la sua vita prenatale. Quei 9 mesi lasciano tracce importanti che si sedimentano nella sua memoria e definiscono il carattere del nascituro.
C’è una disciplina, la “psicologia prenatale”, che ha fatto la sua comparsa negli anni ’70. Essa «nasce dall’interazione di conoscenze mediche (medicina ostetrico-ginecologica, medicina pre e peri-natale, biologia, ecc.) e conoscenze psicologiche (psicologia dello sviluppo, psicologia della personalità, psicologia dinamica, psicobiologia, ecc.) e […] si prefigge lo scopo di studiare lo sviluppo e le capacità psicofisiologiche, comunicative, relazionali e psicologiche del feto, a partire dal presupposto […] che il feto è in grado di ricevere uno stimolo (intra ed extrauterino), elaborarlo (anche psicologicamente) e dare una risposta» (Pier Luigi Righetti).
Quante volte sarà capitato di chiedersi se il feto sente la voce della mamma, dei familiari o delle persone che lei incontra, se percepisce i suoni e i rumori, se avverte stimoli dolorosi, se lo stress della madre si ripercuote su di lui, se sogna e in caso positivo cosa e a queste saranno seguite un’altra miriade di domande e curiosità che prima o poi tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti. Proviamo allora a decifrare insieme questo fantastico mondo che è la vita prenatale, focalizzando la nostra attenzione sulle capacità sensoriali.
Nella vita intrauterina gli organi di senso hanno uno sviluppo molto lineare e ben ordinato, dapprima si sviluppa il tatto, poi l’olfatto, il gusto, l’udito e infine la vista. «Tutti i sistemi sensoriali sono maturi anatomicamente in utero; certi sono poco stimolati, è il caso della vista; in altri casi, degli stimoli relativamente più ricchi sono presenti prima della nascita: stimoli chimici del liquido amniotico che intervengono sul gusto e l’olfatto, stimoli tattili, stimoli cinestesici e vestibolari legati ai movimenti, stimoli uditivi» (E. Herbinet – M. C. Busnel).
Il tatto
Si sviluppa precocemente ad appena 7 settimane di gravidanza nella zona periboccale, nella 11ª settimana lo troviamo nell’epidermide del viso e nel palmo delle mani, alla 12ª settimana è nella pianta dei piedi, mentre alla 15ª interessa gli arti e il tronco, fino a giungere alla 20ª settimana, ove i recettori cutanei sono espansi in tutto il corpo (Balmaan, 1980). «La letteratura medica e quella fisiologica ritengono che il liquido amniotico e la placenta siano i principali “trasmettitori” e “conduttori” delle stimolazioni colte dal feto» (P. L. Righetti).
Lo psicologo P. L. Righetti dichiara anche che «il feto è in grado di discriminare stimoli tattili dolorosi (se si stimola la pianta del piede del feto con piccolissimi aghi, il bambino aumenta la sua frequenza cardiaca e i suoi movimenti)». Che il feto percepisca dolore oggi non è più un mistero. Basti pensare che «l’anestesia viene proposta da taluni sin dal 4° mese di gestazione (Clark 1994). Protocolli analgesici sono proposti comprendendo la somministrazione di sulfentanyl e pentotal al feto in caso di aborto (Mahieu-Caputo 1999). Anche autori anglosassoni sono d’accordo su questo fatto (Clark 1994)» (C. V. Bellieni), cioè in pratica è provato che il feto che dev’essere abortito proverà certamente dolore, per cui gli si pratica l’analgesia.
Nei Paesi Bassi è stata inventata perfino una disciplina detta “aptonomia” (dal greco “hapsis” toccare) è “la scienza del tatto”, “la scienza del contatto”. Il suo fondatore, Frans Veldman, nell’articolo “Il senso sensato” ribadisce che «a partire dal momento in cui i primi movimenti sono percettibili, momento che può variare a seconda che si tratti di una primipara o di una pluripara, di solito verso il 4°-5° mese di gravidanza, la madre orienta la sua affettività, con un’accresciuta sensibilità, verso il suo bambino; essa lo prende, letteralmente, nelle sue mani, circondandolo affettivamente. La stimolazione percettiva, sentita dal bambino, l’invita a rispondere in modo riflessivo, sempre più anticipante. E a poco a poco si sviluppa, tra la madre e il bambino, un’interazione comunicativa che, quando si ripete regolarmente, si risolve rapidamente in un momento di allegra ricreazione». Pertanto, la gestante può dilettarsi con suo figlio, stimolarlo, toccarlo, mediante la parete addominale e uterina. Anche il padre non è chiamato fuori da questo perimetro d’amore, è necessario piuttosto che «partecipi a questo “gioco” in cui si incontrano, a partire dai primi movimenti del feto […]. Si accorgerà che, anche per lui, è relativamente facile comunicare con suo figlio nell’utero, come per la madre, giocando con lui, formando con la madre una trinità affettiva serena».
La pelle è un involucro di emozioni e tutto ciò favorisce l’attaccamento tra madre e figlio di cui parlano Bowlby in Inghilterra e Harlow negli USA. Ma già a partire dalla vita prenatale F. Veldman fa rilevare che purtroppo «questi stimoli affettivi mancano nella maggior parte delle gravidanze e segnala che questo deficit può avere delle conseguenze: certi comportamenti autistici non sarebbero forse indotti a partire dalla vita prenatale, dato che possono apparire delle “engrammation” positive o negative, “archivi mentali del sentimento”, molto prima di quanto generalmente non si pensi? Più i bambini ricevono stimoli significativi, adatti e conformi alla destinazione dell’essere umano, già umano prima della nascita, più la “matrice” dell’esistenza accresce i suoi contorni».
L’olfatto
«Già in periodo embrionale sono evidenziabili dei sistemi cellullari che costituiranno il sistema olfattivo principale, trigeminale e vomero-nasale». Mentre il tatto è il primo organo di senso a svilupparsi, «le strutture chemiorecettive del naso molteplici e complesse, sono fra le prime a formarsi nel corso della vita fetale. I recettori olfattivi primari e i sistemi cerebrali corrispondenti – i bulbi olfattivi – appaiono differenziati tra l’8ª e la 11ª settimana di gestazione […] Nel corso dello stesso periodo, le terminazioni sensitive del nervo trigemino […] sono ripartite in maniera diffusa nella mucosa nasale e sono all’origine delle sensazioni di natura tattile evocate dalle stimolazioni chimiche (il “piccante” dell’ammoniaca o il “fresco” del mentolo, per esempio). Infine, esistono nel feto umano di 5-13 settimane, dietro all’orifizio delle narici, due piccole strutture tappezzate da cellule sensoriali: gli organi vomeronasali» (E. Herbinet – M. C. Busnel).
Questi ultimi consentono di individuare l’odore delle sostanze di cui è impregnato il liquido amniotico. Riguardo al sistema olfattivo il legame tra vita prenatale e neonatale si rivela nel riconoscimento della madre, da parte del bambino, proprio in base al suo odore. Allo stesso tempo il neonato è in grado di riconoscere l’odore del latte materno e questo perché in antecedenza ne aveva conosciuto il suo sapore, all’interno del liquido amniotico. «Questo riconoscimento primitivo, essenziale, lascia sul piccolo una traccia indelebile; una volta riconosciuta la propria madre, saprà ritrovarla nuovamente e senza alcuno sforzo ogni volta che vorrà attaccarsi al suo seno». Nei nascituri, la cui età gestazionale è inferiore ai 7 mesi, la capacità di identificare l’odore materno si rivela minima, diversamente dai 7 mesi in poi. Questa differenziazione è motivata dal fatto che soltanto dal terzo trimestre i recettori olfattivi attivano la loro funzione di appurare eventuali modificazioni.
Il gusto
Un altro importante apparato è senz’altro il sistema gustativo che presenta recettori in tutta la lingua, soprattutto nella parte anteriore, così come nell’epiglottide e nel palato molle. Il feto fa esperienza gustativa di tutti gli alimenti che mediante la placenta arrivano in utero. Inizia così a riconoscerne le essenze, i profumi e a discernere quelli che gli piacciono di più o di meno, informando la madre di queste sue preferenze, attraverso modificazioni della sua frequenza cardiaca e di cambiamenti nei movimenti che saranno delicati o agitati, in base alle sue predilezioni e avversioni.
Alla nascita il bambino mostrerà poi un’evidente “memoria gustativa”. Se viene fatta un’«iniezione in utero nel liquido amniotico (che, si sa, è costantemente deglutito dal feto) di estratto di mela o d’estratto d’aglio induce allo svezzamento di una preferenza dei piccoli per l’alimento aromatizzato alla mela o all’aglio». La dieta della madre influenza dunque le preferenze del piccolo, ma al tempo stesso sapori dolci e amari vengono riconosciuti dal nascituro e determinano una differente reazione. Così se dopo la 24ª settimana vengono iniettate sostanze dolci nel liquido amniotico, il feto reagisce, sia con un’accelerazione del ritmo di deglutizione, sia mostrando vere e proprie smorfie di piacere; viceversa iniettando sostanze amare egli rallenta il ritmo di deglutizione, fa smorfie di dolore e cerca di chiudere la bocca.
L’udito
Il 4° apparato a svilupparsi in ordine di tempo è quello uditivo. Il feto è «in grado […] di distinguere una voce femminile da una voce maschile, musiche diverse, di dare sia risposte cardiache sia motorie differenti» (P. L. Righetti). Il sistema uditivo inizia il suo funzionamento verso i 4 mesi e più precisamente intorno alle 20 settimane (Pujol e Uziel, 1988). «Il sentire fetale è un sentire di tipo tattile per vibrazione del liquido amniotico; il nascituro risponde attivandosi di più se stimolato da una voce femminile (in particolare quella della madre, internamente con i rumori viscerali, ed esternamente, per vibrazione del liquido amniotico) perché la voce femminile produce una vibrazione più veloce di quella maschile» (P. L. Righetti). I rumori presenti sono di due tipi: rumori di origine materna e rumori provenienti dall’esterno.
«Dalle 26-28 settimane di gestazione, proprio come nel prematuro, possiamo osservare nel feto sottoposto a un forte rumore un’accelerazione del ritmo cardiaco e dei movimenti. […] Si tratta in genere di una risposta di sussulto più o meno forte. Se il rumore è più debole, la risposta si manifesta con un ammiccamento delle palpebre e modificazioni dei movimenti pseudo-respiratori, ma essa coinvolge abitualmente tutto il corpo, in particolare sotto forma di una flessione-estensione degli arti e di una contrazione del tronco. Serve per provocare questa reazione motoria un’intensità sonora maggiore di quella necessaria per indurre una risposta cardiaca. Questa segue molto rapidamente, con un tempo di latenza inferiore a un secondo. Birnholz e Benacerraf (1983), Leader e Baillie (1982) hanno descritto delle reazioni motorie ancor più precoci a stimoli vibro-acustici, a partire dalle 23 settimane di gestazione in certi feti. Per Leader e Baille le bambine reagirebbero due settimane prima dei maschi; questo risultato non è stato ancora ripetuto» (E. Herbinet – M.C. Busnel).
La musica riveste un ruolo particolare per quanto riguarda la funzione uditiva. Se il feto ascolta musiche troppo veloci e ritmate come nel caso del rock o di Beethoven reagisce con movimenti bruschi e con accelerazioni del suo battito cardiaco, viceversa se si tratta di musiche più lente e melodiose come Mozart e Vivaldi produrrà movimenti più tranquilli e il battito cardiaco diminuirà (Zimmer et al). L’apparato uditivo è in sé molto delicato e la madre deve riporre attenzione, non esponendosi a forti rumori che oltre a disturbare il piccolo, possono portare seri danni alla sua salute. «Alcuni esperimenti hanno mostrato che si poteva provocare una sordità nel feto di una cavia sottoponendo le gestanti per oltre sette ore al giorno al rumore prodotto dalle macchine di una fabbrica tessile. Da parte loro, Pujol e Lenoir (1979; 1980) hanno osservato che il topolino neonato può essere afflitto da un deterioramento uditivo permanente se, nel corso di un periodo particolare del suo sviluppo, è sottoposto a un rumore notevole, anche se non traumatico per un orecchio adulto. […] Sappiamo fin d’ora che un’esposizione costante a forti rumori per tutta la durata della gravidanza triplica il rischio di un deficit uditivo nel neonato, e questa stessa probabilità aumenta di otto volte se i rumori sono particolarmente violenti» (J. P. Relier).
La vista
L’ultimo organo di senso a svilupparsi, durante la vita prenatale, è la vista che seppur funzionante, completerà la sua maturazione dopo la nascita. Il feto presenta le palpebre chiuse sino alla 26ª settimana per permettere il corretto sviluppo della retina. Dopo questo periodo gestazionale egli è in grado di percepire la luce se ad es. la gestante sosta al sole col pancione scoperto oppure se una lampada viene posta sull’addome della madre il bimbo si volterà immediatamente dall’altro lato e si registrerà un aumento del battito cardiaco. Arrivato alla 33ª settimana le pupille del nascituro si restringono o si dilatano, in relazione al grado di energia della luce.
A differenza degli altri organi di senso la vista è quello che viene utilizzato meno, dato il buio dell’ambiente uterino. Soltanto quando una fonte luminosa molto forte attraversa la parete addominale quell’ordinario buio muta per qualche attimo in penombra. Rispetto agli stimoli uditivi che «contribuiscono in maniera determinante allo sviluppo cerebrale,[…] gli stimoli visivi diventino importanti solo a uno stadio più avanzato dello sviluppo, dopo la nascita. D’altronde questi fenomeni potrebbero spiegare ciò che tutti i medici hanno constatato: i ciechi dalla nascita sono persone molto meno infelici […] dei completamente sordi, spesso depressi e chiusi in se stessi» (J. P. Relier).
«Per quanto riguarda un’identificazione attraverso la vista, gli autori non sono concordi e i risultati delle ricerche sono spesso ambigui. In primo luogo è difficile eliminare tutti gli elementi che non siano visivi, ma possiamo frapporre un cristallo tra il bebè e un adulto e osservare come reagisce il bebè quando l’adulto è la madre o un’altra donna familiare o meno, o un uomo. Sembra che se l’adulto ha una faccia espressiva, si muove, parla, il bebè di un mese passerà più tempo a guardare sua madre piuttosto che un altro adulto. Al contrario se l’adulto resta immobile, il volto fisso, senza parlare, questo stesso bebè guarda meno sua madre che un altro» (E. Vurpillot).
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