lunedì 14 ottobre 2013
di Riccardo Carrara e Alberto Carrara, LC
Nel sito del Ministero della Salute italiano, alla sezione Donare gli organi si può leggere: "La donazione degli organi è un atto di grande civiltà e di rispetto per la vita. Donare vuol dire regalare, dare spontaneamente e senza ricompensa qualcosa che ci appartiene. Quando perdiamo una persona amata è difficile, in un momento di sofferenza così profonda, pensare agli altri, pensare a qualcuno che è malato e che, se non avrà un nuovo organo, avrà un'aspettativa di vita molto bassa".
L'Italia, con 22 donatori per milione di persone, è terza tra i grandi paesi europei, dietro a Spagna e Francia, ma davanti a Regno Unito e Germania. il numero di donatori in Italia è superiore del 25% al dato medio europeo; inoltre, è aumentato anche il numero di organi trapiantati (67 in più dal 2010 al 2011).
Rimane comunque una forte sproporzione tra la domanda e l'offerta di organi per quanto riguarda i trapianti e proprio da questa difformità si riapre il dibattito sulle questioni etiche della donazione e sui principi che garantiscono il rispetto per la vita in questi casi.
A riaccendere la miccia è il NEJM (New England Journal of Medicine) che in due articoli del 3 ottobre 2013 intitolati: "The Dead-Donor Rule and the Future of Organ Donation" e "Life or Death for the Dead-Donor Rule?" presenta la possibilità della donazione di organi vitali non solo da morti, ma anche da vivi.
Iniziamo ad analizzare il primo di questi due articoli.
Gli autori criticano l'etica del trapianto basata sulla DDR, ossia la "Dead-Donor Rule", dove si afferma che gli organi vitali dovrebbero essere presi solo da persone che sono morte. La questione si può riassumere in una semplice e allo stesso tempo inquietante domanda: Perché ad alcuni pazienti ancora vivi, come quelli che si trovano vicini alla morte, ma in supporto vitale, non si dovrebbero prelevare gli organi a beneficio di altri?
Gli autori in verità, concentrano l'attenzione sulla volontà del donatore, dimenticando che il principio del consenso e della volontà personale, non può oltrepassare il rispetto della propria vita. Questo deve restare un punto chiarissimo della questione dei trapianti, perché venendo meno si aprirebbe una deriva disumana.
Vengono esposti tre casi a supporto della donazione di organi vitali da vivi:
1) I genitori di una giovane ragazza vogliono donare gli organi della figlia dopo un incidente che l’aveva lasciata con danni cerebrali devastanti. Il ritiro del supporto vitale è già stato programmato e la procedura per procurarsi gli organi poco dopo la morte è già pianificata.
Il tentativo di donazione però fallisce, perché la fanciulla non muore abbastanza rapidamente per consentire il reperimento degli organi vitali.
"I suoi genitori" come si legge nell'articolo: "hanno sperimentato questa impossibilità come una seconda perdita, hanno messo in discussione il fatto che avrebbero potuto dare un anestetico alla loro figlia e così sarebbe stato possibile prelevare gli organi prima dell’interruzione del supporto vitale", ossia a fanciulla ancora viva.
2) Un altro genitore di fronte all'impossibilità di donazione degli organi della sua bambina afferma, riferendosi ai limiti della DDR: "Non c'era alcuna possibilità che nostra figlia possa sopravvivere... Posso seguire la tesi etiche, ma sembra del tutto ridicolo".
3) In un altro recente caso descritto dal Dr. Joseph Darby presso University of Pittsburgh Medical Center, la famiglia di un uomo con lesioni cerebrali devastanti ha richiesto la sospensione del supporto vitale. L' uomo era un grande sostenitore della donazione di organi, ma non era candidato per uno degli approcci tradizionali. La sua famiglia ha chiesto il permesso per la donazione degli organi prima della morte.
Per rispettare la DDR, è stata pianificata la rimozione solo degli organi non vitali (un rene e un lobo del fegato), mentre era sotto anestesia, per poi riportarlo al reparto di terapia intensiva, dove sarebbe stato interrotto il supporto vitale.
Il piano era stato approvato dall’equipe clinica, dal comitato etico e dall'amministrazione ospedaliera, ma non è stato portato a termine, perché i diversi chirurghi che sono stati contattati hanno rifiutato di recuperare gli organi. Le regole del United Network for Organ Sharing (UNOS) affermano che il paziente deve dare il consenso diretto per la donazione da vivente, e la lesione neurologica di questo paziente non lo rendeva possibile.
"Di conseguenza" come si afferma nell'articolo del NEJM "è morto senza la possibilità di donare. Se non ci fosse alcun obbligo di rispettare la DDR, alla famiglia sarebbe stato permesso di donare tutti gli organi del paziente in buon stato".
Gli autori affermano che "la fedeltà alla DDR (che impone il prelievo di organi vitali solo da donatori morti) limita il reperimento di organi trapiantabili negando ad alcuni pazienti la possibilità di donare in situazioni in qui la morte è imminente e la donazione desiderata".
Viene di seguito affermato che il concetto di morte cerebrale sia stato una prima risposta alla richiesta dei medici e della società di sviluppare criteri per la dichiarazione della morte dei pazienti, mentre i loro organi erano ancora in buono stato.
Viene, così, criticata la base stessa del criterio di morte cerebrale, affermando come sia "diventato chiaro che i pazienti con diagnosi si morte cerebrale non hanno perso l'equilibrio omeostatico, ma è possibile mantenere un ampio funzionamento integrato per anni". Ma il concetto di morte cerebrale è davvero legato solamente ad un concetto di omeostasi?
Mettendo, quindi, in discussione la comprensione scientifica del criterio di morte cerebrale si apre la strada al sospetto che altri principi e fattori contribuiscano a giustificare il recupero di organi e che non esista realmente il limite etico di donazione da morti.
Nell'articolo in questione non vengono di certo presentati dei criteri nuovi per la bioetica, ma rispuntano i criteri di autonomia e di non-maleficenza. L'analisi di questi due principi verrà sviluppata in un post successivo. Per il momento, possiamo interrogarci profondamente su un quesito: è strettamente necessario ed è quindi un requisito etico fondamentale che il paziente sia morto prima che i suoi organi vitali siano prelevati?
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