domenica 10 ottobre 2010

Avvenire.it, 10 ottobre 2010 - I desideri, le paure, la vita vera. Per capire meglio la bioetica - La diagnosi pre-natale? Pensiamo alle nostre città di Maurizio Patriciello

Un tempo, in una discussione, aveva ragione chi sapeva meglio argomentare. Oggi ottiene successo chi riesce a gridare più forte, magari in televisione, anche se dice stupidaggini.

La Chiesa ci ricorda che ogni virtù, per essere tale, e non un vizio camuffato, deve essere confrontata con la virtù opposta. Ad esempio, la virtù della prudenza deve essere messa in correlazione con quella della fortezza, per non rischiare di chiamare prudenza il quieto vivere e la mollezza. Allo stesso modo la parsimonia deve fare i conti con la generosità, per non nobilitare e promuovere a virtù la tirchieria. Questo modo di ragionare deve essere esteso anche alla scienza. Agli scienziati è richiesta una grande dose di umiltà e di preveggenza. Debbono avere pazienza con noi poveri mortali, dialogando e spiegando, prevedendo e consigliando.

I fatti di questi giorni mi hanno indotto a riflettere di nuovo sulla diagnosi pre-natale. Se una coppia ha la possibilità di prevedere una patologia che potrebbe colpire il suo bambino – e il clima culturale la spinge sottilmente a eliminare l’embrione forse "malato" per ottenerne poi uno forse "sano" – è facile credere che opterà per questa soluzione. Ma, ammesso che siano davvero inevitabili, quali sono le malattie per le quali a un embrione non dovrebbe essere consentito di nascere? Gli ingenui pensano a patologie incurabili e a forme di handicap gravissime, senza rendersi conto che c’è gente che vorrebbe estendere la selezione embrionale perfino agli affetti da strabismo. Peccato che costoro non riescano a pensare alle conseguenze cui potrebbero portare, nel giro di pochi decenni, questi modi di pensare e di agire.

Sappiamo che in Europa le coppie che "vogliono" un unico figlio sono più del cinquanta per cento. Avendo la possibilità di scegliere il sesso per il loro bimbo, costoro sceglieranno quello che ha più opportunità di successo. In Cina ne sanno già qualcosa: lì, i maschi sono ormai, e di gran lunga, più delle femmine. E il fenomeno è in accentuazione. Ma quando arriverà il momento di prender moglie? Faranno, forse, il "ratto delle sabine"? Oppure "compreranno" donne da marito in giro per il mondo?

La logica e il buon senso ci fanno prevedere che certe coppie che – dopo diversi tentativi – avranno il loro figlio unico, bello e sano lo vogliano anche ricco e famoso. Ma proviamo a pensare come funziona, in un qualsiasi giorno dell’anno, la nostra città. Ci renderemo conto che, iniziando dal mattino, dovremmo dire mille volte grazie di cuore a spazzini, fornai, lattai, contadini, braccianti, manovali, idraulici, ferrovieri, inservienti, becchini, infermieri, muratori, pescatori, medici, scienziati… e la lista potrebbe non finire più.

Ora, mi chiedo e domando: chi sarebbe disposto a vedere l’unico figlio, frutto di diverse selezioni e diagnosi pre-impianto, bello, biondo, forte, calarsi nelle fogne o alle prese con un rubinetto guasto? Senza ipocrisie: alzi la mano chi non sogna di fare di suo figlio, il suo unico figlio, un uomo di successo, magari… uno scienziato. Un mondo di scienziati, e poi? E, poi, addio alle nostre belle città vive e colorate. Addio a pizzaioli e camerieri, cuochi e benzinai, giornalai e portinai. Addio agli ambulanti e ai pompieri, alle badanti e ai carpentieri. Addio ai bimbi paffuti e sempre belli e non perfettamente sani, con gli occhi tondi tondi o a mandorla, capaci di ispirare tenerezza anche ai cuori più incalliti. Era questa, forse, la loro vocazione? Il servizio reso alla nostra distratta umanità? Addio, vecchia, cara società, dove – magari a fatica e certo tra molte contraddizioni – c’è ancora posto per tutti e bisogno di tutti: uomini e donne, sani e ammalati, ricchi e poveri, forti e deboli, gente d’azione e intellettuali, pozzi di scienza e pozzi di vera, umile sapienza.

Il mondo che vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi non è certamente questo. Impegniamoci allora tutti insieme per il vero bene. E chi ha ricevuto la vita e molto di più, ami – senza paura – la vita e doni con gioia di più.



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