domenica 24 ottobre 2010

 Obiezione di coscienza, libertà di autodeterminazione e aborto di Giorgio Razeto - 24 ottobre 2010

Il fatto
            Giovedì 7 ottobre l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha respinto il Rapporto del deputato britannico Christine McCafferty, in cui si chiedeva di limitare i diritti fondamentali dei cittadini all'obiezione di coscienza, soprattutto nei confronti di chi, lavorando nel settore sanitario, non intende partecipare a pratiche quali l'aborto o l'eutanasia.
            Il Consiglio d’Europa ha ribaltato i termini della questione sottoposta al suo esame. È sufficiente considerare che il titolo assegnato dalla relatrice Christine McCafferty al documento oggetto di discussione era: “L’accesso delle donne alle cure mediche legali: il problema del ricorso non regolamentato all’obiezione di coscienza”.
            Sia chiaro che l’espressione “cure mediche legali” è solo un modo raffinato per dire aborto. La McCafferty e le lobbies abortiste tentano da tempo di costruire il concetto di diritto di aborto come espressione del diritto alla salute riproduttiva.
            La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite appoggia piani anti povertà, di sviluppo e di procreazione responsabile fondati sulla necessità di «eliminare» il maggior numero di gravidanze possibili. È una logica perversa secondo la quale il modo migliore di ridurre le morti per parto e le morti di infanti non è di migliorare le cure che le madri e i bambini hanno a disposizione, o la qualità e il numero dei dottori, o le strade per arrivare agli ospedali, ma semplicemente di ridurre il numero delle gravidanze attraverso aborti e anticoncezionali.
            L’obiezione di coscienza costituisce evidentemente un grave ostacolo a tale indirizzo.
            Nel documento della parlamentare Christine McCafferty si lamentava una mancanza di regole o un’inadeguata applicazione di quanto stabilito sull’obiezione di coscienza in molti Stati, tra cui anche l’Italia. Secondo quanto sostenuto dalla parlamentare inglese questa situazione porterebbe a un mancato equilibrio tra il diritto alla libertà del personale sanitario e quello della donna ad accedere all’aborto.
            Il documento, tuttavia, è stato bocciato ed al suo posto, il 7 ottobre, è stato adottato in sede parlamentare un nuovo testo, che dopo la discussione e il voto in aula è stato intitolato: “Il diritto all’obiezione di coscienza nelle cure mediche legali”.
            La risoluzione adottata (n 1763/2010) afferma che nessun ospedale, struttura sanitaria o persona può essere oggetto di pressioni, ritenuta responsabile o subire discriminazioni di alcun tipo per il rifiuto di praticare o assistere un aborto, eutanasia o qualsiasi atto che possa provocare la morte di un feto umano o embrione[1].
            È stato inoltre cancellato il richiamo all’obbligo per i medici di informare i pazienti su tutte le opzioni di cura disponibili, indipendentemente dal fatto che tali informazioni possano indurre il paziente a seguire una cura a cui l’operatore sanitario obietta.

Una situazione paradossale
            L’attacco contro il principio dell’obiezione di coscienza può apparire paradossale, tenuto conto dell’ampia tutela giuridica di cui gode sia a livello nazionale che sovranazionale.
            Sul fronte interno, l’obiezione di coscienza trova riconoscimento attraverso il diritto alla libertà di pensiero[2], alla libertà religiosa[3], all’uguaglianza e al divieto di discriminazione[4].
            Gli stessi valori ritroviamo nel diritto internazionale a cominciare dalla Dichiarazione Universale del 1948[5] e dalla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici[6]. A livello europeo, ricordiamo la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 1950)[7] e la Carta fondamentale dei diritti dell'unione europea (proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo[8].
            Sul fronte culturale, d’altro canto, si assiste al ruolo sempre più decisivo del principio di autoderminazione, che spinge le pubbliche autorità a riconoscere rilevanza sociale e giuridica alle istanze più personali e particolari delle persone.
            Più aumenta la rilevanza che l’autorità dà alla coscienza di ogni singolo uomo, ed al suo libero sviluppo, quale principale criterio di riferimento per l’individuazione di nuove pretese tutelate, più si riscontra la tendenza ad una limitazione della medesima coscienza nel suo rapporto con l’autorità, ad una compressione del diritto di ciascuno di obiettare alla legge scritta[9].
            Non può essere dimenticata la recente delibera della Giunta della Regione Puglia del 25 marzo 2010, con la quale i medici obiettori di coscienza venivano esclusi dai consultori ambulatoriali. Il TAR della Puglia, con la sentenza n.3477 del 2010, ha annullato il provvedimento della giunta Vendola, ed ha precisato che impedire la presenza di medici obiettori nei consultori “viola il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., oltre che i principi posti a fondamento della obiezione di coscienza (libertà religiosa e di coscienza ex art. 19 Cost. e libertà di manifestazione dei pensiero di cui all’art. 21 Cost.).
            La vicenda giudiziaria, pur conclusasi positivamente, mostra la costante pressione esercitata su questo fondamentale principio.

Le ragioni di una fragilità
            Le ragioni dell’erosione del diritto all’obiezione di coscienza dipendono, a mio giudizio, da una serie di fattori concomitanti.
            Innanzi tutto, la scissione della libertà dalla verità. L’impossibilità di un pensiero forte, determinato dal depotenziamento della ragione, ritenuta incapace di pervenire a certezze morali, ha provocato l’abbandono della verità in favore della libertà.
            L’uomo si ritiene libero di progettare la propria esistenza in modo autonomo, costruendo a suo piacimento la gerarchia di valori personali e sociali. Qualsiasi punto di vista è legittimo e merita rispetto, per cui il pluralismo etico, la molteplicità di progetti di vita buona rappresenta non solo una situazione di fatto in attesa di definizione ma una condizione di diritto cioè una scelta di valore[10].
            Il fatto è che tutti questi punti di vista valgono solo nell’ambito privato ma di per sé non hanno rilevanza pubblica.
            La mancanza del nesso con la verità, l’esaltazione del principio di autonomia ed il conseguente pluralismo, in ultima analisi, causano l’isolamento del singolo che si trova indifeso davanti al potere.
            La politica, in questa prospettiva, esercita una sovranità senza giustificazione, in quanto non sono riconosciuti valori oggettivi precedenti o superiori al potere. Quest’ultimo si esprime nella decisione o volontà arbitraria come potere sulla vita biologica, ridotta ad oggetto della sua disponibilità. In definitiva, è il potere che decide sui diritti dell’individuo.
            Si comprende così la fragilità del diritto all’obiezione di coscienza. In un contesto culturale pluralista/relativista la coscienza del singolo, i suoi valori, valgono solo in quanto trovino valorizzazione da parte della mentalità dominante, del potere.
            Un riscontro sul piano giuridico è dato dalla dottrina positivista, che tende ad identificare il diritto con la legge (in senso formale): il diritto vige se e solo se è previsto da una norma di legge. L’obiezione di coscienza, quindi, ha valore giuridico solo se è prescritta, se positivamente posta mediante una norma.
            Particolarmente significativo è il secondo comma, dell’art. 10 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea: “Il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio”.
            Quando i diritti non trovano altro fondamento che la volontà del legislatore (che rappresenta il potere politico dominante) non vi è alcuna garanzia della loro inviolabilità. L’«Osservatore Romano», prima ancora della pubblicazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il 15 ottobre 1948, osservò profeticamente: «Non è dunque Dio, ma l’uomo che avverte gli umani che sono liberi ed uguali, dotati di una coscienza e di una intelligenza, tenuti a considerarsi come fratelli. Sono dunque gli uomini stessi che si investono di prerogative delle quali potranno arbitrariamente spogliarsi».

Riprendere la strada della verità
            È evidente, a questo punto, che senza un radicamento nella verità, la libertà dell’uomo si riduce ad una decisione arbitraria, frutto di una coscienza insindacabile ed autoreferenziale.
            Fuori dalla verità, nessuna regola del vivere comune è giustificabile se non in termini di potere, di rapporti di forza storicamente dati.
            Bisogna riconoscere il carattere decisivo della coscienza come luogo della persona in cui si realizza l’incontro con la verità, dove «l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male…»[11].
            In altre parole, solo assicurando un fondamento ontologico al diritto di obiezione di coscienza, riportandolo alla persona stessa, è possibile assicurare il fondamentale diritto del cittadino a respingere le prescrizioni delle autorità civili contrarie alle esigenze dell’ordine morale o ai diritti delle persone[12].




[1] Consiglio di Europa Provisional edition - The right to conscientious objection in lawful medical care - Resolution 1763 (2010)1
1. No person, hospital or institution shall be coerced, held liable or discriminated against in any manner because of a refusal to perform, accommodate, assist or submit to an abortion, the performance of a human miscarriage, or euthanasia or any act which could cause the death of a human foetus or embryo, for any reason.
1 Assembly debate on 7 October 2010 (35th Sitting) (see Doc. 12347, report of the Social, Health and Family Affairs Committee, rapporteur: Mrs McCafferty, and Doc. 12389, opinion of the Committee on Equal Opportunities for Women and Men, rapporteur: Mrs Circene). Text adopted by the Assembly on 7 October 2010 (35th Sitting).
[2] sancita dall’art. 21 della Costituzione: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero…».
[3] di cui all’art. 19 della Costituzione: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa…».
[4] Art. 3 Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
[5] Art. 7 - Tutti sono uguali dinanzi alla legge, e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un'eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad un'eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione, come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.
Art. 18 - Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.
[6] La convenzione, meglio nota come Patto internazionale sui diritti civili e politici, è un trattato delle Nazioni Unite nato dall'esperienza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976. Di particolare rilievo è l’art. 18 per il quale ART. 18. 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell'osservanza dei riti, nelle pratiche e nell'insegnamento.
[7] Articolo 9 - Libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.
Articolo 14 - Divieto di discriminazione.
Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.
[8] Articolo 10 - Libertà di pensiero, di coscienza e di religione
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.
2. Il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.
[9] Cfr. IL CASO/ In Europa il "partito" degli abortisti nega i diritti che non fanno al caso suo Redazione - venerdì 15 ottobre 2010 – il sussidiario.net: …” ad un maggior grado di tutela dell’autodeterminazione corrisponde una minore libertà di esercizio dell’obiezione di coscienza. Si prendano alcuni recenti casi. Nell’ambito internazionale dei diritti umani si tende a proclamare in tutte le versioni e le colorazioni possibili la più ampia tutela ed il più ampio esercizio della libertà (compresa quella - questa volta la novità viene dall’Australia - di pubblicizzare l’eutanasia mediante apposito spot televisivo, da parte di una multinazionale il cui nome è significativamente Exit International)”.
[10] Cfr. FORNERO GIOVANNI, 2009, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano, pagg. 53 e segg..
Il bioeticista Hugo Tristram Engelhardt, nella persuasione che sia impossibile una convergenza universale su un insieme di valori morali, intravede come unico possibile punto d’incontro un’etica minima, di tipo formale, in cui obiettivi comuni vengono determinati solo sulla base del «principio del consenso». In un mondo di «stranieri morali», i reciproci vincoli morali possono trovare la loro base solo sul mutuo consenso tra le parti (ENGELHARDT HUGO TRISTRAM, 1999, Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano).
[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, art. 6 - LA COSCIENZA MORALE, n. 1776; cfr. anche Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 16: AAS 58 (1966) 1037.
[12] Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, cap. VIII, lett. c, n. 399.

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