venerdì 29 ottobre 2010

Etica (filosofica) della sessualità - Pubblichiamo un lungo articolo di Giacomo Samek Lodovici tratto, con alcune alcune aggiunte successive fatte dall'autore, da R. Cammilleri (a cura di), Piccolo manuale di apologetica, Piemme 2004, pp. 127-144. – dal sito http://www.libertaepersona.org

0. È possibile valutare moralmente la sessualità umana con la sola ragione senza ricorrere alla fede?

È possibile ed è quello che stiamo per fare: le argomentazioni che svolgeremo fino al punto 37 possono essere condivise da qualsiasi uomo, perché non richiedono in alcun modo la fede, bensì solo il ragionamento filosofico.

Si noti: faremo delle considerazioni etiche e l’etica non è un apparato di vincoli che rendono infelici gli uomini, bensì l’indicazione del modo in cui conseguire la vera felicità (è un tema decisivo, ma non possiamo qui dimostrarlo, perciò siamo costretti a rinviare a Samek Lodovici 2002, cfr. bibliografia). Ad esempio (cfr. punti 5, 32 e 35), chi vive la sessualità secondo le indicazioni che esamineremo è molto più felice – ci sono dati sociologici al riguardo – di chi la vive in modo contrario.

Un’altra premessa è molto importante: giudicheremo negativamente certi atti e certi comportamenti, ma le persone che li praticano vanno trattate, perlomeno, con rispetto ed affetto.

1. Che cos’è l’atto sessuale?

La struttura corporea e psicologica dell’uomo indica che la sessualità differenziata e complementare degli esseri umani è orientata all’unione eterosessuale. È una complementarità che è segno ad un tempo di povertà che chiede completamento, e di dono che offre completamento. Questa complementarità si attua completamente nell’unione fisica, psichica e spirituale con il sesso opposto. Se l’atto sessuale è libero, interessa la totalità della persona.

2. L’atto sessuale è buono?

L’atto sessuale è buono quando è un’espressione di amore vero, quando è una forma della donazione di sé. Quando avviene in questo modo esso instaura la comunione, l’unione tra i soggetti che lo esercitano perché si vogliono bene e se lo esprimono nell’atto sessuale anche perseguendo il piacere reciproco.

3. L’atto sessuale è sempre moralmente buono?

Nei casi in cui l’atto sessuale ha come fine solo (e non anche) quello di ottenere il proprio piacere, esso realizza una strumentalizzazione dell’altro, dunque è egoistico e perciò ingiusto. Infatti, il piacere di per sé è buono, ma, come dice per esempio Kant, nessun uomo può mai essere reso strumento di un altro, cioè bisogna sempre rispettare la dignità umana, in quanto l’uomo non è una cosa, bensì ha un valore inestimabile.

4. Ma se due persone sono d’accordo a strumentalizzarsi a vicenda che male c’è?

Anche se due persone sono d’accordo a strumentalizzarsi a vicenda il loro rapporto resta connotato dall’egoismo, la loro relazione è una coincidenza di egoismi, cioè pur sempre di egoismo si tratta.

5. Se ci si vuole bene che male c’è ad avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio?

L’atto sessuale (esercitato al modo del punto n. 2; non se esercitato al modo del n. 3) per sua natura unisce ed instaura un legame psichico (e non solo) duraturo. È un dato di fatto: chi ha avuto relazioni sessuali con varie persone, essendosi unito profondamente con esse, trova nelle successive relazioni più difficoltà ad instaurare rapporti profondi: se io ho avuto un rapporto con x resto legato a x. È un po’ come se una “parte” (psichica e spirituale) di me fosse rimasta presso x e una “parte” di x fosse rimasta presso di me. Parte di me rimane con lui e parte di lui rimane con me, anche se forse non ci rivedremo mai più, perché nell’atto sessuale siamo coinvolti fisicamente, psicologicamente e spiritualmente.
1) Pertanto, ogni legame con x, y, ecc., indebolisce il mio attuale rapporto con z, cioè, in qualche modo, il rapporto con x, y, ecc. incide negativamente sul rapporto con z.
2) Inoltre, proprio perché il partner precedente rimane in noi, il suo ricordo rimane in noi e suggerisce continui confronti con il nuovo; ma i confronti e le esperienze precedenti danneggiano il rapporto attuale poiché:
a) inducono insicurezza, perché si teme di non essere all’altezza del/dei precedenti partner sessuali;
b) distraggono dall’amato ed indeboliscono la comunione durante l’atto sessuale.
Perciò, di nuovo, ogni legame precedente indebolisce un mio nuovo rapporto, incidendo negativamente su di esso.

3) Oltre a ciò, sia il giorno delle nozze, sia la vita matrimoniale in generale, sono qualitativamente diversi per chi ha già avuto esperienze sessuali e per chi non le ha avute: se sposo chi ha già avuto tali rapporti mi sento privato dell’esclusività di un aspetto del mio coniuge molto intimo, quello della sfera sessuale, che è già stato condiviso con altri. E se sono io ad aver avuto rapporti, con ciò ho privato il mio coniuge di una dimensione molto intima di me, che è stata condivisa con altri.
Anche questo indebolisce il nostro attuale rapporto.

Per queste tre ragioni ogni atto sessuale intrattenuto con chi non è il compagno/compagna della mia vita rende meno profondo, indebolisce e rende meno stabile il rapporto con chi diventa il compagno/compagna della mia vita.

È vero che anche un fidanzamento casto instaura un legame, e non è detto che esso si concluda con il matrimonio, ma:
1) tale legame è molto meno forte di quello sessuale;
2) se non si incontra subito la persona giusta è inevitabile instaurare legami psicologici precedenti, mentre dall’atto sessuale ci si può astenere.

6. Ma l’atto sessuale non è almeno un modo di conoscersi e capire se due persone sono fatte l’una per l’altra?

No, perché l’atto sessuale ha un effetto deformante.
a) A volte esso fa provare un piacere intenso che porta ad attribuire all’altra persona delle caratteristiche positive, porta ad idealizzarla in modo entusiastico ed induce a minimizzare le differenze esistenti, facendo credere e sperare che le divergenze (riguardanti il carattere, gli interessi, la visione della vita) siano facilmente superabili. Talvolta diventa il tema dominante del rapporto, cioè l’unione fisica diventa quasi la soppressione di ogni altro discorso e finisce per mettere in secondo piano tutta l’opera di reciproca conoscenza, doverosa tra due persone che si frequentano per verificare se il loro rapporto potrà approdare al matrimonio.
Ma, quando l’iniziale entusiasmo si affievolisce, le divergenze e le incompatibilità necessariamente emergono e, tuttavia, il legame creatosi rende più arduo lasciarsi anche quando ci si rende conto che non si è fatti l’uno per l’altro.
Perciò l’atto sessuale prematrimoniale impedisce una vera e profonda conoscenza, porta persone incompatibili a continuare a frequentarsi e magari a sposarsi e dunque aumenta le probabilità di rottura dell’unione matrimoniale. Insomma, l’atto sessuale può cementare il rapporto tra un uomo e una donna, ma deve giungere al termine di un lungo percorso di conoscenza reciproca e di elaborazione di un progetto, altrimenti può a volte (non necessariamente, non sempre) avere un effetto contrario, cioè può portare a far poggiare il rapporto su qualcosa di fragile. Se faccio una colata di cemento sui muri in mattone di una casa in costruzione irrobustisco la casa stessa, ma se faccio la colata di cemento sui muri di paglia di una capanna distruggo la capanna.
Così, per esempio, da uno studio condotto su 6.577 donne americane risulta che: se una donna ha avuto rapporti sessuali prematrimoniali con uomini diversi da colui che è poi diventato suo marito, il rischio di fallimento del matrimonio aumenta fino al 114 % (J. Teachman, Premarital Sex, Premarital Cohabitation, and the Risk of Subsequent Marital Dissolution among Women, «Journal of Marriage and Family», 65 [2003], p. 452).
b) A volte esso delude e lascia un senso di tristezza (specialmente se non è espressione di un affetto autentico e di un amore pienamente maturato) e, in tal caso, conduce facilmente a premature ed erronee ipotesi di incompatibilità mentre, invece, le due persone potrebbe essere predisposte per sposarsi e, attraverso una più matura e profonda conoscenza reciproca, potrebbero conseguire un affiatamento i cui riscontri positivi si riprodurrebbero anche sull’atto sessuale.

7. Tutto questo cosa significa circa la moralità degli atti sessuali?

Significa che ogni atto extramatrimoniale, che sia prematrimoniale o adulterino non conta, è ingiusto, perché è lesivo della stabilità e della coesione matrimoniale e ciò è un male per tutte le sofferenze che lo sfascio di un matrimonio comporta. Esso aumenta le possibilità di sfacelo delle unioni matrimoniali, con tutte le sofferenze che la rottura di un matrimonio comporta, per gli eventuali figli e per gli stessi coniugi (cfr. punto 32).

8. Ma se due persone sono spinte dai loro sentimenti verso l’unione fisica e sentono ciò come qualcosa di buono, come è possibile che l’atto sessuale verso cui sono spinte sia un male?

Riflettiamo sulle emozioni. Due donne mi suscitano emozioni identiche di attrazione, della stessa intensità (almeno per qualche tempo), e mi chiedono entrambe di intrattenere con loro una relazione esclusiva. In questa situazione ciò che importa notare è la presenza in me di due emozioni contraddittorie, che hanno la stessa intensità: essa dimostra che l’emozione non è una guida infallibile della condotta umana e quindi ciò che sentiamo positivo e che (a volte) perciò riteniamo buono, può anche non esserlo.
Inoltre, a volte, a posteriori, noi giudichiamo fuorvianti i giudizi che le emozioni passate avevano suscitato in noi e che ci erano parsi indefettibili, cioè comprendiamo che esse hanno offuscato il nostro giudizio sul modo di agire verso una certa persona. Per esempio, diciamo di esserci sbagliati su una persona per cui provavamo sentimenti di simpatia e di fiducia, che invece già allora era cinica, sleale, scorretta, malintenzionata nei nostri confronti, ecc.

9. Come bisogna valutare moralmente la contraccezione?

Anzitutto bisogna precisare che la contraccezione concerne gli atti sessuali esercitati liberamente, perciò, per esempio, una donna può lecitamente ricorrere ad una misura anticoncezionale in relazione ad uno stupro (cfr. Rhonheimer 2001, pp. 451-452), che non è un atto sessuale libero.
A parte ciò, abbiamo già detto che un atto sessuale è buono se non è egoistico, cioè se è espressione di donazione, di comunione e di promozione dell’altro, quando consiste nel darsi all’altro e nell’accogliere l’altro, non nella propria esteriorità, bensì nella propria interiorità ed identità irripetibili.
Ma questo significa che la contraccezione non è una forma di donazione, dunque è ingiusta, perché sovente vi si ricorre perché ciò che si cerca nel rapporto sessuale è solo il piacere proprio e dunque si strumentalizza l’altro, annullando la fecondità per evitare di procreare.

10. Ma c’è anche chi ricorre alla contraccezione solo perché in quel momento non è in grado di crescere ed allevare dei figli.

Anche in questo caso la valutazione morale della contraccezione resta negativa. Infatti, evitare la generazione equivale pur sempre ad escludere sia l’accoglienza della fecondità altrui sia la donazione della fecondità propria. È un po’ come dare ad un amico un libro strappando prima alcune parti centrali: il mio gesto non è di donazione; allo stesso modo, quando ricevo un libro da un mio amico, se strappo alcune parti centrali il mio gesto non è di accoglienza, bensì di rifiuto. Similmente, se incontro un amico che mi fa il gesto di abbracciarmi e mi metto la giacca a vento prima di abbracciarlo, o mi infilo un guanto prima di stringergli la mano, il mio gesto è di distacco-difesa.

Tra l’altro, i contraccettivi hanno un tasso di inefficacia alto: la probabilità di gravidanza è del 13-15 % (cfr. Lelkens 1994, Harlap 1991 Jejeebhoy 1991) e quando un figlio viene dunque concepito, ciò può portare alla decisione gravissima di ricorrere all’aborto, può sconvolgere la vita a chi non è preparato, o alla scelta di abbandonare il bambino, o all’abbandono della madre da parte del padre del bambino, ed è chiaro che tutte queste situazioni sono molto dannose per la madre e per un bambino che nasce.

10.1. E per evitare l’aids?

Anche se nessuno lo dice e può sembrare sorprendente, i contraccettivi, che già non impediscono con certezza le gravidanze, sono anche molto meno efficaci nei confronti dell’Aids! Chi intrattiene rapporti sessuali con una persona infetta ha un alto rischio, del 10-20 % di contrarre questa malattia (cfr. per es. http://www.zenit.org/article-17816?l=italian; i dati degli studi divergono: secondo alcuni di essi è del 30 %! cfr. Weller 1993; Lelkens 1994). Perciò propagandare i contraccettivi è gravissimo e significa favorire l’aumento del contagio, perché significa promuovere il libertinismo sessuale spacciando un’inesistente sicurezza del contraccettivo, è un po’ come dire “non preoccupatevi, fate tutte le esperienze sessuali che volete, tanto non c’è da temere nulla”.
Solo promuovendo l’astinenza e la fedeltà si può diminuire il contagio: simili programmi educativi sono stati adottati con successo in vari Paesi. Per esempio negli Stati Uniti: nei luoghi dove sono stati applicati, il numero delle gravidanze precoci è calato del 38 % e quello degli aborti è sceso del 50 %. O in Uganda, dove il tasso di infezione dell’Aids è sceso dal 21 % al 6 % e dove ultimamente sta risalendo, proprio perché la maggiore disponibilità di antivirali e preservativi ha fatto calare fedeltà è astinenza.

E, allora, se veramente voglio bene a qualcuno non devo minimamente rischiare di trasmettergli un virus letale o comunque terribile come quello dell’Aids. E non devo nemmeno rischiare io di prendere questa malattia, perché il dovere di preservare la mia salute.

11. Ma allora quali sono le condizioni propizie per la nascita e la crescita di una nuova vita umana?

È chiaro che un atto aperto alla generazione della vita deve svolgersi nel contesto più propizio per la nascita, la crescita e l’educazione di un nuovo essere umano, vale a dire deve svolgersi nel contesto di una relazione interpersonale costituita da un legame solido e stabile come è il legame matrimoniale.

12. Ma nemmeno il matrimonio offre una garanzia totale: alcuni matrimoni falliscono.

È vero, ma è quanto più vicino ad una garanzia che la società abbia saputo inventare. Una tale cerimonia è senz’altro più degna di fede di qualunque promessa privata sussurrata in segreto. Una promessa privata non è sufficiente quando si acquista una casa o si entra nell’esercito; in questi casi occorre firmare ed impegnarsi pubblicamente. È fondamentale chiedere altrettanto a chi sta prendendo l’impegno più importante della sua vita: si deve impegnare davanti alla società e davanti a Dio a rispettare il patto sancito con il coniuge.

Inoltre l'antropologia culturale ci dice che ogni ritualizzazione di un impegno assunto (in questo caso la celebrazione delle nozze), riconosciuta dalla società, aumentala percezione dell’importanza di un impegno e quindi il desiderio di onorarlo.

13. Questo significa che ogni atto sessuale infecondo è ingiusto?

Ogni figlio è un bene, ma ci possono essere dei validi motivi (lavorativi, di salute, psicologici, economici, ecc.) che legittimano l’esercizio di rapporti sessuali infecondi nei periodi non fertili della donna, cioè che legittimano il ricorso ai cosiddetti “metodi naturali”, vale a dire alla continenza periodica.

14. Qual è la differenza tra l’atto sessuale esercitato quando la donna non è feconda e l’atto sessuale in cui si ricorre alla contraccezione?

Dal punto di vista degli effetti nessuno, perché si tratta in entrambe i casi di atti che hanno come effetto evitare la generazione. Del resto, dal punto di vista degli effetti non c’è nessuna differenza tra rubare un libro in libreria o acquistarlo. Ma dal punto di vista degli atti che producono questo effetto c’è una profonda differenza, come, appunto, tra il furto e l’acquisto del libro.
a) Infatti, come abbiamo detto, la contraccezione non è una donazione/accoglienza propria e dell’altro: se io incontro una persona, è estate, e questa persona mi vuole abbracciare e io mi metto una giacca a vento o mi infilo un guanto prima di stringerle la mano, il mio gesto non è di amicizia, bensì di rifiuto/distacco/difesa; invece l’atto sessuale esercitato quando la donna non è fertile comporta l’accoglienza/donazione della persona propria e dell’altro, persona che in quel momento è infeconda: se io incontro una persona ed ho già indossato la giacca a vento o il guanto, oppure se la giacca a vento o il guanto in quel momento sono saldati alle mie mani (per es. pensiamo a chi ha rapporti quando la donna è in menopausa) e fanno parte in quel momento della mia natura, il gesto resta un gesto di amicizia.

È vero che il momento dell’infecondità viene calcolato, ma in ciò non c’è niente di male, come non c’è niente di male, per avere un libro, ad aspettare che una libreria faccia una promozione regalando dei libri.

b) Inoltre nella contraccezione si abdica all’impulso sessuale, limitandosi a eliminare la dimensione generativa degli atti sessuali; invece con la continenza periodica si esercita una solida padronanza di sé in uno degli ambiti dell’esistenza umana più difficili da padroneggiare, perché bisogna saper esercitare la continenza (che è come pazientare per avere il libro aspettando la promozione) verso impulsi sessuali che capitano in periodi fecondi, e si esplica una conoscenza di sé, perché bisogna conoscere i ritmi biologici del proprio corpo.

In ogni caso, chi non accetta che ci sia differenza tra la contraccezione e la continenza periodica, non può concludere che la contraccezione diventa giusta quando ci sono gravi motivi per evitare la generazione (perché la contraccezione resta ingiusta per tutti i motivi che abbiamo detto ai punti 9 e 10), bensì dovrebbe solo dire che anche la continenza periodica è ingiusta e che l’unico modo per evitare la generazione sarebbe la castità.

15. Ma se due persone hanno già deciso di sposarsi e non usano mezzi contraccettivi che male c’è se intrattengono rapporti sessuali?

Il problema è che qualsiasi fidanzamento, anche quello più solido, può sciogliersi anche il giorno stesso del matrimonio, come talvolta succede. Due persone che intrattengono rapporti prematrimoniali possono anche essere fermamente risolute e convinte a sposarsi, ma non ne hanno la certezza, non possono sapere se la loro decisione non muterà, come di fatto talvolta avviene. Perciò se nascono dei figli valgono i punti 10 e 11; e se ci sono stati rapporti sessuali è molto più doloroso porre fine ad un rapporto anche se si vede bene che non può funzionare; inoltre, come abbiamo detto (cfr. punto 5) i rapporti successivi saranno più vulnerabili e fragili.

16. Ma se due fidanzati che intendono sposarsi hanno rapporti solo nei periodi infecondi il discorso non cambia?

No, perché, come abbiamo già detto, è sempre possibile che essi alla fine non si sposino, e dunque i rapporti che hanno avuto ostacoleranno quelli futuri: la comunione fisica crea legame, perciò indebolisce i rapporti futuri (cfr. punto 5) e nessuno ha la certezza che sposerà la persona con cui intrattiene rapporti (cfr. punto 15).
Per tutto ciò che si è fin qui considerato, dunque, non è detto che i rapporti pre-matrimoniali preludano realmente al matrimonio; anzi, il più delle volte sono anti-matrimoniali.

17. Che valore ha la procreazione?

Oggi i paesi industrializzati tendono a dare un significato molto riduttivo ai figli, spesso visti come un impedimento, oppure come una forma di gratificazione per i genitori. Ma l’amore tra l’uomo e la donna è dilatato dalla nascita dei figli, perché essa incrementa la comunione come donazione di sé. Pensiamo al legame profondissimo che si crea nella coppia alla nascita di un figlio; al diverso modo di donarsi che è chiesto al padre e alla madre; al contributo unico che le relazioni filiali e fraterne danno alla vita di relazione nella famiglia; al richiamo alla responsabilità che ogni figlio rivolge al genitori, che spesso abbandonano comportamenti pericolosi o poco salutari, per amore dei figli; al fatto che i figli obblighino ad interrogarsi sulle questioni più profonde.

18. Ricapitolando quanto detto fin qui, perché un rapporto prematrimoniale è ingiusto?

1) È ingiusto tutte le volte che tramite esso si cerca solo il piacere personale e si strumentalizza l’altro (cfr. punto 3).

 2) È ingiusto perché esso produce comunione e crea legame, dunque, mancando la garanzia che il mio partner attuale sarà il compagno/a per tutta la vita, incide negativamente sul rapporto con chi poi diventa realmente il compagno/a per tutta la vita (cfr. punto 5).

3) È ingiusto perché mi priva dell’esclusività di un aspetto molto intimo del mio coniuge, che è stato condiviso con altri (punto 5) il che è un male.

4) È ingiusto perché ostacola la vera conoscenza reciproca (cfr. punto 6). In questi tre casi 2), 3) e 4) esso rischia di provocare lo sfascio della mia famiglia (con tutte le sofferenze e il dolore che ciò comporta),

5) È ingiusto tutte le volte che si ricorre alla contraccezione (cfr. punti 9 e 10).

6) È ingiusto anche se non si ricorre alla contraccezione, perché esso non dà garanzie che il potenziale nascituro possa nascere, crescere ed essere educato da suo padre e da sua madre (cfr. punti 10, 11 e 16).

Etica (filosofica) dell'affettività [parte 2]
Di Rassegna Stampa (del 29/10/2010 @ 17:27:01, in Bioetica, linkato 23 volte)
Pubblichiamo la seconda parte di un lungo articolo di Giacomo Samek Lodovici tratto, con alcune alcune aggiunte successive fatte dall'autore, da R. Cammilleri (a cura di), Piccolo manuale di apologetica, Piemme 2004, pp. 127-144.

18. Ricapitolando quanto detto fin qui, perché un rapporto prematrimoniale è ingiusto?

1) È ingiusto tutte le volte che tramite esso si cerca solo il piacere personale e si strumentalizza l’altro (cfr. punto 3).

2) È ingiusto perché esso produce comunione e crea legame, dunque, mancando la garanzia che il mio partner attuale sarà il compagno/a per tutta la vita, incide negativamente sul rapporto con chi poi diventa realmente il compagno/a per tutta la vita (cfr. punto 5).

3) È ingiusto perché mi priva dell’esclusività di un aspetto molto intimo del mio coniuge, che è stato condiviso con altri (punto 5) il che è un male.

4) È ingiusto perché ostacola la vera conoscenza reciproca (cfr. punto 6). In questi tre casi 2), 3) e 4) esso rischia di provocare lo sfascio della mia famiglia (con tutte le sofferenze e il dolore che ciò comporta),

5) È ingiusto tutte le volte che si ricorre alla contraccezione (cfr. punti 9 e 10).

6) È ingiusto anche se non si ricorre alla contraccezione, perché esso non dà garanzie che il potenziale nascituro possa nascere, crescere ed essere educato da suo padre e da sua madre (cfr. punti 10, 11 e 16).

19. Come bisogna valutare la convivenza prematrimoniale?

Essa è biasimabile tutte le volte che costituisce una forma di rifiuto dell’impegno, cioè quando è motivata dal rifiuto di donarsi all’altra persona, perché allora è una forma di egoismo di chi vuole strumentalizzare l’altra persona per ricavarne la propria gratificazione, senza assumersi impegni e responsabilità nei suoi riguardi. È un vivere come marito e moglie, in cui però si cercano gli aspetti gratificanti di questa relazione, evitando molti dei doveri che questa relazione richiede.

20. Ma ci sono anche persone che convivono e si vogliono realmente bene e che vogliono fare un test molto significativo, circa l’opportunità di sposarsi, per conoscere il proprio affiatamento.

È vero, ma anche se due soggetti la praticano come forma di donazione, in essa si praticano atti sessuali e dunque resta ingiusta perché:

a) gli atti sessuali creano comunione e non detto che i due soggetti poi restino insieme, dunque vale il punto 5.

b) Gli atti sessuali intrattenuti in precedenza dal mio coniuge mi privano dell’esclusività di un suo aspetto molto intimo (punto 5)

 c) gli atti sessuali hanno effetto deformante (punto 6), quindi la convivenza è un pessimo test per provare l’affinità di due soggetti.

d) Inoltre, chi convive ricorre poi più facilmente al divorzio, perché con questa sorta di «matrimonio in prova», ci si abitua all'idea che i rapporti e le relazioni tra uomo e donna siano esperienze «a termine», con «clausola di rescissione» e che quindi possono cessare.

e) Ancora, abbiamo già detto che l'antropologia culturale ci dice che ogni ritualizzazione di un impegno assunto (in questo caso la celebrazione delle nozze), riconosciuta dalla società, aumenta la percezione dell’importanza di un impegno e quindi il desiderio di onorarlo. Di questa inimicizia tra convivenza e matrimonio si trovano ormai diverse conferme in varie ricerche sociologiche: per esempio, uno studio di due ricercatori della Bowling State University (USA) ha documentato che il rischio di naufragio del matrimonio aumenta del 46 % quando i coniugi hanno precedentemente convissuto (cfr. A. De Maris – K. Vaninadha Rao, Premarital Cohabitation and Subsequent Marital Instability in the United States, «Journal of Marriage and the Family», 54 (1992), pp. 178-190; da notare che questo studio ne passa in rassegna diversi altri, che hanno dato risultati simili).

f) se si ricorre alla contraccezione cfr. punti 9 e 10.

g) se non si ricorre alla contraccezione vale il punto 11.

h) se si ricorre alla continenza periodica vale il punto 16.

21. Ma perché chi si sposa deve restare unito per tutta la vita? Questa è una convinzione dei cristiani.

Nel dibattito sul divorzio che si svolse nel 1974 all’epoca del referendum, e nei discorsi su questo tema che si fanno tutt’oggi, si deve rilevare un cospicuo equivoco, cioè l’erronea convinzione secondo cui solo i credenti, mediante la fede, possono sostenere l’indissolubilità del matrimonio. Quest’opinione è un errore cospicuo, perché l’indissolubilità del matrimonio religioso non è solo una verità di fede, bensì anche una verità che qualunque uomo può comprendere, anche se non è cristiano, anche se è ateo, mediante la sola ragione. Sembra paradossale, ma possiamo dimostrare che non lo è.

22. Come è possibile? Amarsi significa provare dei sentimenti di trasporto verso un altro, dunque quando questi sentimenti non ci sono più il legame, su cui è fondato un matrimonio, viene meno.

Per comprenderlo bisogna riflettere sul contenuto del consenso che gli sposi esprimono nel momento del matrimonio. Infatti, il matrimonio nasce dal consenso libero degli sposi che si promettono: a) l’amore esclusivo, la donazione per tutta la vita, qualsiasi cosa accada, cioè anche se l’altro mi picchierà, mi tradirà, diventerà pazzo, ecc.; b) l’apertura alla generazione/educazione dei figli.

Chi non promette queste due cose o le promette senza essere sincero (o nasconde qualcosa all’altro prima del matrimonio), non è mai stato sposato. Perciò in casi simili è improprio dire che il matrimonio tra due persone è annullato, perché più propriamente esso è nullo fin dal principio, vale a dire non c’è mai stato. Quindi in questi casi non si verifica una rescissione del legame matrimoniale e dunque non c’è divorzio, bensì solo la presa di consapevolezza che tale legame non è mai sussistito.

23. Due coniugi promettono di amarsi, ma che cosa significa amare? Che cos’è l’amore a cui si impegnano vicendevolmente? Non è appunto provare dei sentimenti?

Amare una persona non significa, almeno non primariamente, provare trasporto verso di essa, avvertirne il fascino, esserne emotivamente attratti, «stare bene insieme». L’amore è accompagnato sovente dal sentimento, dal fascino, dallo stare bene insieme, ma non coincide con il sentimento (che pure è importante), col fascino e con lo stare bene insieme. Il greco e non cristiano Aristotele già nel IV sec. a.C. ha spiegato che l’amore è un atto della volontà, che amare significa volere il bene dell’altro (cfr. Retorica 2,4). Dire «ti voglio bene» significa «io voglio il tuo bene», cioè cerco di realizzare il tuo bene, di procurarlo, di favorirlo. Per es., anche se mio figlio mi disgusta per il suo comportamento, al punto che ne sono emotivamente respinto, io lo amo se cerco di favorire lo stesso il suo bene, la sua crescita, ecc.

Non solo: amare una persona significa amarla nella sua identità, cioè amare il suo io, che è unico e irripetibile, amarla per ciò che essa è in modo irripetibile, non per delle caratteristiche che anche altre persone possono avere, come la simpatia, la bellezza, la ricchezza, la gradevolezza, la gentilezza, ecc. Amare veramente una persona non significa amare la sua simpatia, bellezza, ricchezza, ecc., cioè quelle sue prerogative che ci risultano utili o gradevoli; chi ama la simpatia, bellezza, ricchezza di una persona, in realtà non sta amando quella persona, ma sta amando se stesso perché, consapevolmente o inconsapevolmente, sta usando l’altra persona per il proprio vantaggio e per la propria gratificazione. È sempre il greco e non cristiano Aristotele (Etica Nicomachea 1156a 14-24) a dirlo.

Ciò significa che due persone sposate, avendo promesso di amarsi per tutta la vita, hanno promesso di cercare il bene del coniuge, di amarlo nella sua identità irripetibile ed unica. Se il contenuto della loro promessa non era questo, essi non sono mai stati sposati.

24. Ricapitolando, allora, perché il matrimonio è indissolubile?

Possiamo comprenderlo con la sola ragione, senza ricorrere alla fede, se consideriamo che nel momento del consenso due sposi si sono impegnati liberamente e consapevolmente: a) ad amarsi (cioè a volere e cercare il bene dell’altro) in modo esclusivo per tutta la vita, qualsiasi cosa accada (anche se l’altro mi picchierà, mi tradirà, diventerà pazzo, se cambierà e diventerà completamente diverso, ecc); b) ad essere aperti alla vita. Infatti, i coniugi si sono presi l’impegno di volersi reciprocamente bene qualsiasi cosa accada, di donarsi all’altro, al suo io unico e irripetibile, alla sua identità personale per tutta la vita: dunque il loro impegno è indissolubile.

25. Chiedere o subire il divorzio: è lo stesso?

A volte può avvenire che uno dei coniugi sia vittima del divorzio, che non lo abbia affatto voluto e lo abbia invece subito: è chiaro che in questo caso la sua condizione di divorziato non comporta colpa. Questo, naturalmente, non lo autorizza a formare una nuova unione con un’altra persona.

Ci sono, poi, dei rari casi in cui è moralmente possibile chiedere il divorzio, quando il divorzio civile risulta essere l’unico modo possibile per assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio (è così anche per la Chiesa, cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2383). Colui che chiede il divorzio in questi casi deve però, di fatto, considerare perdurante il vincolo coniugale e non formare una nuova unione.

26. Però quando tra due coniugi non c’è più il sentimento iniziale il matrimonio non sussiste più, perché il sentimento non si può produrre.

A parte il fatto che il sentimento lo si può in parte favorire, per esempio cercando di vivere tutta la vita come dei fidanzati che si fanno sorprese e regali, che escono alla sera, che coltivano interessi comuni, ecc., comunque, come abbiamo già detto, nel consenso gli sposi non promettono di restare insieme finché provano uno slancio emotivo nei confronti del proprio sposo, bensì promettono di cercare il suo bene per tutta la vita.

27. Ma il divorzio serve a fare esperienza, dagli insuccessi si impara e i secondi matrimoni vanno meglio dei primi.

Il tasso di divorzio nei secondi matrimoni è in realtà molto più elevato che nei primi. Quando viene meno la convinzione dell'indissolubilità si apre la diga delle «prove a ripetizione» alla ricerca del legame giusto.

28. Qual è la differenza tra il divorzio e la separazione? La separazione è moralmente ammissibile?

Quando si giunge ad una situazione in cui la stessa convivenza è diventata veramente insostenibile, la separazione è ammissibile perché i coniugi non hanno promesso di vivere insieme per tutta la vita, bensì hanno promesso di volere il bene dell’altro per tutta la vita, quindi possono separarsi se la convivenza provoca realmente del male all’altro; ma ciascuno dovrà continuare a cercare il bene dell’altro, perciò dovrà sempre mantenere la disponibilità a tornare a vivere insieme, dovrà cercare di restaurare il rapporto, cioè cercare di ripristinare le condizioni della convivenza, in quanto dalla convivenza sortisce per ciascuno degli sposi quel bene che è il mutuo aiuto, il sostegno e la collaborazione reciproca. L’esperienza insegna che con questa disposizione la ricomposizione non è un’utopia, ed esistono dei casi di ricongiungimento. È difficile, ma non impossibile.

29. Esistono altre ragioni per difendere razionalmente l’indissolubilità del matrimonio?

L’argomentazione che abbiamo esposto vale per giustificare l’indissolubilità di qualsiasi matrimonio, ma se ne può indicare una seconda, che vale nel caso in cui dal matrimonio siano nati dei figli. Abbiamo visto (cfr. punto 11) che il contesto propizio per la nascita, la crescita e l’educazione di un figlio è quello di una famiglia stabile e solida. Ebbene, il divorzio è una grave ingiustizia nei riguardi dei figli, li fa sempre soffrire molto, li ferisce psicologicamente e affettivamente.

Questi discorsi possono essere suffragati da diversi studi e noi ci limitiamo solo a qualche dato, attingendo dalle ricerche condotte nei paesi anglofoni, dove è ormai chiara e ampiamente monitorata la profonda negatività del divorzio sui figli.

In Gran Bretagna i bambini con un solo genitore, rispetto a quelli che vivono con entrambi, hanno un rischio doppio di patire per malattie psicosomatiche o per la depressione e di manifestare comportamenti antisociali (cfr. O’Neill, 2002). Negli Usa l’11 % dei figli dei divorziati ha trascorso un periodo in carcere prima di compiere 32 anni, contro il 5 % dei figli con famiglie intatte (cfr. McLanahan – Sandefur, 1994). Inoltre, ricerche degli anni novanta (su cui cfr. Fiorin, 2008) rilevano che i figli i cui padri erano assenti determinavano il 71 % degli abbandoni scolastici, il 75 % dei casi di adolescenti tossicodipendenti, il 70 % dei minorenni in istituti di recupero ed il 63% dei suicidi giovanili; ed a New Orleans, una ricerca degli anni ottanta sui bambini del reparto di psichiatria dell’ospedale, ha mostrato che nell’80 % dei casi la patologia era connessa all’assenza del padre. Si obbietta che questi fenomeni sono causati non solo dal divorzio, bensì anche dal conflitto che lo precede. Ma (cfr. Amato – Booth, 1997) ciò è vero solo in alcuni casi, perché il 66 % dei divorzi avviene in situazioni di bassa conflittualità tra i coniugi.

Purtroppo le ferite del divorzio si rimarginano difficilmente.

Infatti (cfr. Marchesini, 2007), anche quando diventano adulti, i figli dei separati e dei divorziati, rispetto ai bambini i cui genitori restano uniti, hanno: risultati economici inferiori; problemi comportamentali (come aggressività, atti delinquenziali ed altri comportamenti antisociali); maggiori problemi di salute; più frequenti sintomi depressivi; un maggior uso di alcolici, di fumo e di droghe. Si dirà che questi problemi riguardano solo i figli che restano a vivere con un genitore che dopo il divorzio resta solo, mentre non sussistono quando una nuova figura entra in casa. Tuttavia, nelle famiglie allargate – contrariamente a quello che si potrebbe credere – la situazione per i figli non migliora; anzi, almeno in certi casi, peggiora. Per esempio (cfr. Fagan – Johnson – Butcher, 1996), negli Stati Uniti i figli degli sposati sono coinvolti in risse o tafferugli nel 28,8 % dei casi, rispetto al 39,5 % dei figli di divorziati che rimangono a vivere con un solo genitore ed al 42 % di quelli la cui madre vive con un nuovo uomo, che non è il padre del ragazzo/a. Il 13 % dei figli degli sposati ha commesso un furto del valore di 50 dollari o più, contro il 19 % dei figli di divorziati che rimangono a vivere con un solo genitore ed il 22,6 % di quelli la cui madre vive con un nuovo uomo, che non è il padre del ragazzo/a. Ancora, il 20,3 % dei figli degli sposati è stato sospeso da scuola, rispetto al 37 % dei figli di divorziati che rimangono a vivere con un solo genitore e al 40,8 % di quelli la cui madre vive con un nuovo uomo, che non è il padre del ragazzo/a.

Infine, non è solo l’aumento della povertà prodotto dal divorzio a causare queste conseguenze negative per i figli (cfr. Fagan, 1995), bensì anche e soprattutto il non poter vivere e crescere con i loro genitori biologici uniti.

30. Ma se i genitori non vanno d'accordo, per i figli non è meglio che divorzino?

Non è vero. Secondo studi americani (cfr. AA.VV. 1998, pp. 239-249; Amato – Booth 1997; Wallestein – Lewis – Blakeslee 2000), solo il bambino che si trova in famiglie altamente conflittuali trae beneficio dalla rimozione del conflitto che il divorzio «potrebbe» portare. In realtà, nei due terzi di matrimoni che si concludono con il divorzio, il conflitto è medio-basso, e quindi la soluzione migliore è che i genitori, invece di divorziare, continuino a rimanere insieme, affrontando i loro problemi per cercare di risolverli.

31. Però i figli dei divorziati, avendo sofferto per la divisione dei loro genitori, sono molto più cauti nella scelta del coniuge ed evitano di divorziare a loro volta, per non infliggere le stesse sofferenze ai propri figli.

Anche questo è falso. I figli dei divorziati, quando diventano adulti, hanno un tasso di divorzio nettamente maggiore dei figli di famiglie unite. Infatti i bambini imparano da quello che vedono: se i genitori divorziano, la capacità poi di mantenere per tutta la vita un matrimonio unito è stata indebolita (cfr. Amato 2001; Wolfinger 2000, pp. 1061-1086).

32. Ma se due persone sono infelici, perché non possono risposarsi e farsi una nuova vita?

Il divorzio viene difeso come toccasana per riportare la felicità alle persone infelicemente sposate.

Ma, in primo luogo, un fine buono (essere felici) non giustifica mezzi ingiusti (il divorzio).

In secondo luogo, in realtà ricerche sociologiche americane (cfr. Waite – Gallagher 2000) mostrano che tra le persone che, pur considerando infelice il loro matrimonio, erano rimaste insieme, cinque anni più tardi il 64% ha dichiarato che il loro rapporto era poi diventato molto felice, mentre si dichiaravano felici solo il 19% di coloro che avevano divorziato e si erano risposati. Anche coloro che consideravano il proprio matrimonio molto infelice, in 86 casi su 100 si dichiaravano felici cinque anni dopo, se erano rimasti insieme.

Del resto già l’Associazione ex ha documentato che il divorzio non è una prassi indolore: in Italia, dall’aprile 1993 al giugno del 2004 su 49.883 casi di divorzi, separazioni e cessazioni di convivenza, l’86,7% ha avuto implicazioni penali come calunnia, minacce, sottrazione di minore, percosse, maltrattamenti, lesioni, sequestro di persona, violenza privata, violenza sessuale.

E, sempre in questo periodo, in seguito a divorzi, separazioni o cessazioni di convivenze sono maturati 712 fatti di sangue e sono morte 1015 persone.

Per non parlare dei costi sociali del divorzio per lo Stato. Per esempio in Georgia le cause concernenti disgregazioni familiari costituiscono il 65 % di tutti i processi a livello di Corte d’appello (Flynn 2007). E in Gran Bretagna (www.avvenireonline.it/Famiglia/Documenti+e+Rapporti/20060112.htm), il crollo della famiglia rappresenta un peso economico notevole lo Stato: supera ampiamente i 20 miliardi di sterline l’anno, la maggior parte dei quali vengono spesi per le sovvenzioni ai genitori single. Se ci fossero meno separazioni familiari e meno nuclei monoparentali, ci sarebbero meno bambini da prendere in carico, meno persone senza casa, meno dipendenza dalla droga, meno criminalità, meno domande per i servizi sanitari, meno bisogno di insegnanti di sostegno nelle scuole, migliori risultati medi nell’ambito educativo e meno disoccupazione. Tutto ciò farebbe risparmiare denaro ai contribuenti e alcuni degli aspetti sopraelencati contribuirebbero addirittura a una migliore performance economica dello stato in generale.

33. Ma l’esistenza del divorzio non favorisce la tenuta di matrimonio, visto che i mariti amano di più le mogli nel timore di perderle?

No, perché chi sa di essere unito indissolubilmente cerca in tutti i modi di far andar bene il matrimonio; chi invece sa che il matrimonio si può sciogliere, si impegnerà di meno per assicurarne la riuscita (per esempio, avrà meno scrupoli a tradire il coniuge), perché sa che tanto esso non è definitivo (uno studente che studia in una scuola esigente si impegna di meno se sa che i suoi genitori, nel caso in cui egli vada male, lo trasferiranno in una scuola facile per evitargli la bocciatura).

34. Ma al giorno d’oggi la tenuta di un matrimonio per tutta la vita non è un’utopia?

Poiché il matrimonio è una scelta per tutta la vita è fondamentale un cammino accurato di preparazione ad esso, ma non bisogna farsi scoraggiare dalla rappresentazione offerta dai media circa il matrimonio: non è vero che è impossibile restare insieme tutta la vita e che i matrimoni si sfasciano inesorabilmente. Ci sono moltissimi casi di matrimoni riusciti ed inossidabili, che non vengono però mai rappresentati, dove i problemi che sorgono vengono superati. Un matrimonio di questo genere, che si è conservato e anzi alimentato fino in tarda età, è quello descritto da Montale:

 Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. / Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. / Il mio dura tuttora, […] / Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio / non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. / Con te le ho scese perché sapevo che di noi due / le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue. (E. Montale, Tutte le poesie, Meridiani Mondadori, p. 309).

35. Ma il matrimonio per tutta la vita non è noioso?

No, perché l’amore davvero fedele genera un rapporto molto ricco e fecondo, è un cammino nel quale ciascuno sostiene l’altro nelle difficoltà della vita, gode di più delle gioie perché le può condividere, cresce personalmente nello sforzo per essere amabile e smussare gli spigoli che rendono difficile la convivenza. La fedeltà non è rigidità, perché l’amore ricomincia ogni giorno, e può essere creativamente inventato ogni giorno. Perciò il matrimonio non è la tomba dell’amore, bensì la sua scuola, in cui continuamente si scopre l’inesauribile ricchezza dello sposo: come dice Plutarco, l’amore “non solo non va mai soggetto all’autunno, ma fiorisce anche tra i capelli bianchi e le rughe, e si prolunga fino alla morte e alla tomba”.

Anzi, esistono studi sociologici (cfr. Waite – Gallagher, cit.) che indicano che sposarsi è meglio: Il matrimonio aumenta la sicurezza e l'incolumità personale. Le nozze diminuiscono le probabilità che la donna, e anche l'uomo, diventino vittime di violenza, inclusa la violenza domestica.

Gli sposati vivono più a lungo e in modo più sano. Lo si vede chiaramente nella mezza età: 9 su 10 uomini e donne sposati arrivano a 65 anni, contro 6 su 10 uomini non sposati e 8 su 10 donne.

Il matrimonio aiuta i figli. Nel matrimonio i bambini crescono più sani, vivono più a lungo e tendono a rimanere fuori dai guai se i genitori, oltre che essere sposati, rimangono uniti.

Chi è sposato è più fedele. Gli uomini che hanno scelto la convivenza rispetto alle nozze sono quattro volte più infedeli dei mariti, e le donne conviventi tradiscono otto volte più che le mogli.

Il matrimonio fa bene alla salute mentale. Uomini e donne sposati sono meno depressi, meno ansiosi e meno psicologicamente stressati dei non sposati, divorziati o vedovi.

Si vive meglio. Nell'insieme, il 40 % delle coppie sposate si dichiara «molto felice della vita», affermazione sottoscritta solo dal 25 % dei non sposati o dei conviventi.

I figli sono più legati ai genitori. I figli adulti di matrimoni stabili sfuggiti alla tentazione del divorzio mantengono con i loro genitori contatti più regolari di quanto facciano i figli dei divorziati (o di coppie conviventi), che spesso sono letteralmente abbandonati e dimenticati, soprattutto se i loro genitori convolano a nuove nozze ed hanno altri figli. Ed è più probabile che i figli di coppie stabili a loro volta realizzino nozze stabili.

La sessualità è migliore e più frequente. Sia i mariti che le mogli che vivono un'unione duratura affermano di avere una vita sessuale soddisfacente, più di quanto dichiarino coloro che non sono sposati o convivono. Lo confermano le considerazioni di due sostenitori del sesso libero come Sartre e Moravia, che hanno definito l’esistenza come «nausea» e come «noia».

36. Perché la Chiesa difende l’etica sessuale che è stata fin qui esposta? Perché è sessuofoba?

Al contrario, la Chiesa difende un modo preciso di esercitare la sessualità perché è sessuofila, cioè vuole che il sesso sia esercitato secondo il suo vero e autentico significato, cioè come espressione di vero amore, e in modo rispettoso della dignità umana.

37. Ma Gesù non ha mai detto niente di simile sul sesso.

Al contrario, non soltanto egli ha proibito il divorzio: «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola […]. Quello che dunque Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19, 5-6); ma ha inoltre detto: «Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso un adulterio nel suo cuore» (Mt 5, 27-29).

38. Ma la Chiesa non potrebbe modificare queste sue posizioni per rendersi più popolare?

 No, perché la Chiesa non ha come scopo quello di conquistare il consenso in quanto tale, bensì di custodire l’insegnamento di Dio e difendere la dignità umana, a costo di subire delle persecuzioni.

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