venerdì 15 ottobre 2010

«Da queste staminali speranza di cure decisive»  - l’esperto  -Nell’operazione è stata usata una tecnica innovativa basata sulle cellule prelevate dal tessuto osseo della paziente e reiniettate. Le ha fornite il Laboratorio di terapia cellulare «Stefano Verri» - «Nel trapianto di organi solidi – spiega il direttore Andrea Biondi – le cellule mesenchimali riducono il rischio di rigetto» DAL NOSTRO INVIATO A MONZA  Enrico Negrotti- Avvenire, 15 ottobre 2010

«Questo uso di cellule staminali mesenchimali sfrutta le proprietà immunosoppressive che queste cellule hanno mostrato di avere. Si tratta del primo caso nel tra pianto di un organo solido». Andrea Biondi, è direttore del Laboratorio di terapia cellulare «Stefano Verri», dove so no state preparate le cellule staminali infuse alla signora Carla, ma è anche direttore dell’Unità operativa di Pe diatria- Fondazione Monza e Brianza per il bambino e la sua mamma (Mbbm): «È si gnificativo che questo labo ratorio sia stato costruito con i fondi raccolti dai genitori dei bambini leucemici (riuniti nel Comitato Maria Letizia Verga) che vogliono avere prospettive di terapie inno vative ».

Che cosa sono le cellule sta minali mesenchimali?

Le cellule staminali mesen chimali sono cellule che ven gono isolate dal nostro mi dollo osseo. Hanno diverse funzioni: fisiologicamente, formano il pavimento del no stro midollo dove vengono prodotte le cellule del san gue; sono le stesse cellule da cui ha origine il tessuto car­tilagineo e osseo. Ma sor prendentemente – per moti vi che non sappiamo ancora – sono anche tra i più poten ti immunosoppressori, tanto che sono state utilizzate co me intervento di seconda li nea per quelle forme di ri getto del trapianto di midol lo, quando diventano resi stenti a tutte le terapie. E ad dirittura possono essere usa te in quel contesto da dona tori che non sono correlati al ricevente.

Come si è pensato di usarle in un trapianto di organo?

È stato fatto di recente un in contro di consenso tra gli e sperti delle società interna zionali di trapiantologia. Ed è stato ritenuto ragionevole

che possa essere esplorata – nel contesto del trapianto di organi solidi – la possibilità della coinfusione di queste cellule per poter ridurre il ca rico di farmaci immunosop pressivi, che nel trapianto di organi solidi sono uno dei problemi che può dare a lun go termine effetti collaterali, soprattutto malattie linfo proliferative e linfomi.

Questa terapia può essere il futuro dei trapianti?

Nella battaglia che si sta con ducendo per ottenere l’at tecchimento degli organi, ma anche per non creare pro blemi al paziente, questo può rappresentare una prospet tiva molto interessante. Tan to che è già attivo presso gli Ospedali Riuniti di Bergamo un protocollo approvato dal l’Istituto superiore di sanità che prevede la coinfusione delle cellule mesenchimali nel trapianto di rene, quindi di un altro organo solido. Sul­la base di questo razionale e sulla base della particolarità di questo trapianto, abbiamo ritenuto importante provare e chiedere un’approvazione particolare di questa proce dura aggiuntiva. Quindi a 24 ore dal trapianto abbiamo in fuso alla signora le cellule mesenchimali che le aveva mo prelevato quattro mesi fa e poi moltiplicato e prepara to con la collaborazione dei nostri colleghi ematologi presso il Laboratorio di tera pia cellulare «Stefano Verri».

Da una «fabbrica» di stami nali si possono dunque tro vare risposte molto varie?

Certamente. All’ospedale di Monza c’è una delle poche officine di produzione di cel lule per uso clinico autoriz zate dall’Agenzia italiana del farmaco negli ospedali italia ni. Si tratta infatti di un far maco biologico, cellule che devono avere gli stessi requi siti di sicurezza dei farmaci che escono dalle aziende. E abbiamo dei protocolli che prevedono l’uso di queste cellule per altre malattie. Del resto il Laboratorio è stato co­struito grazie all’impegno dei genitori di bambini leucemi ci, per avere accesso a terapie innovative.



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