giovedì 7 ottobre 2010

Avvenire.it, 7 ottobre 2010 - Chi vuole tornare al «mercato» - Scorciatoie senza uscita di Assuntina Morresi
Sarebbe bene che lo si dicesse a chiare lettere: qualcuno in Italia vuole tornare alla situazione di totale deregulation che c’era prima della legge 40, quando la procreazione medicalmente assistita era regolata solo dal mercato e dal profitto. Qualcuno che non accetta una legge votata da un’ampia maggioranza parlamentare. Qualcuno che non ha ancora digerito il sonoro fallimento del referendum del giugno 2005 col quale si voleva smontare quella legge. Qualcuno che pare allergico alle tutele che la norma offre a tutti i soggetti coinvolti nella fecondazione in vitro. Qualcuno che si ostina a non voler riconoscere i buoni risultati che la legge ha ottenuto (e sarebbe importante che chi esprime giudizi sugli esiti della 40 si informi sui dati reali, prima, per evitare di parlare a sproposito, poi). Qualcuno che forse spera in una qualche "sentenza creativa", per ribaltare la volontà popolare, democraticamente espressa.

Ecco, quindi, che di nuovo alcuni giudici hanno chiamato in causa la Corte Costituzionale, sollecitandola – con l’accompagnamento di un ben orchestrato coro di entusiastiche profezie demolitrici – a occuparsi del divieto di fecondazione eterologa (cioè con gameti estranei alla coppia con cui poi vivrà il figlio). Un divieto previsto per rispettare un’esigenza fondamentale di ciascuno di noi, e cioè di poter crescere con i genitori che ci hanno generato e di sapere da chi si proviene. La fecondazione eterologa non ha niente a che fare con l’adozione, come a volte si tenta di far credere: l’adozione di un minore è il tentativo di risolvere un problema grave, quello che si pone quando una coppia non può assolutamente prendersi cura dei figli. Un bambino è adottato – cioè cresce con genitori diversi da quelli che l’hanno messo al mondo – perché c’è stato un ostacolo insuperabile dopo la nascita. Con la fecondazione eterologa, invece, si crea volontariamente, a priori, una situazione in cui il bambino vivrà con uno – o entrambi – i genitori diversi da quelli che l’hanno generato.

L’eterologa, quindi, stravolge il quadro antropologico della famiglia naturale, quella basata sull’unione di un uomo e una donna: se i genitori sociali sono diversi da quelli biologici non per necessità ma per scelta – cioè in provetta – allora spazio alle cosiddette "nuove famiglie", in cui i genitori sono in numero variabile, di sesso uguale o diverso, e alle situazioni in cui è possibile che una figlia ceda i propri ovociti alla madre, o alla sorella, dando luogo a rapporti parentali per i quali non esiste neppure un lessico adeguato.

Il divieto dell’eterologa ci ha risparmiato l’enorme problema della compravendita di ovociti, in cui donne giovani e spesso povere vendono i propri gameti, con grave rischio della salute. Se invece vogliamo parlare di "turismo riproduttivo", cioè delle coppie che vanno all’estero per procurarsi quel che serve, sarà bene farlo dopo aver verificato l’esistenza o meno di legami economici fra le cliniche straniere a cui queste coppie si rivolgono e quelle italiane da cui partono.
D’altra parte, a differenza di quanto viene ora detto impropriamente, la sentenza con cui la Corte europea dei diritti umani ha imposto all’Austria di eliminare il divieto dell’eterologa non ci riguarda, perché quella norma è diversa dalla nostra e consente in alcuni casi di sterilità maschile la pratica vietata in Italia.

Chi nonostante i fatti ritiene che la legge 40 vada cambiata – e non accetta ancora il verdetto contro la manovra referendaria già tentata invano – chiami a raccolta deputati e senatori per dare battaglia in Parlamento, dove le leggi si discutono e si votano. Ma non tiri (anche mediaticamente) la toga ai giudici della Consulta e non cerchi scorciatoie furbastre nel tribunale di turno.


Nessun commento:

Posta un commento