I VESCOVI E IL PAESE - Zamagni: «La bioeconomia una questione vitale» -
Massimo Calvi - 29 gennaio 2013, http://www.avvenire.it/
L’etica della vita alla base
dell’economia. È la «bioeconomia». Il termine, introdotto dal cardinale Agelo
Bagnasco nella Prolusione al Consiglio permanente della Cei, richiama i
concetti di «biopolitica», o anche di «biodiritto», che tanto spazio trovano
oggi nei programmi politici di tanti schieramenti, in Italia come all’estero.
Ma di bioeconomia è sempre più necessario parlare, alla luce di una crisi che
si è manifestata innanzitutto come deriva di senso, nella prassi di sacrificare
l’umano al «primato economicista». Ne è convinto l’economista Stefano Zamagni,
d’accordo nel leggere che vi sia ormai un «sistema che va posto in
discussione», un modello «da rivoluzionare» perché «ha mostrato l’assoluta
inadeguatezza morale e pratica».
«Il cardinale Bagnasco ha il
coraggio di uscire allo scoperto e di proporre un intervento di forte
originalità – spiega Zamagni –. Perché dire che oltre alla biopolitica e al
biodiritto si deve parlare anche di bioeconomia è gettare un sasso nello
stagno. Una questione, per così dire, vitale. È dire cioè che non tutti i
modelli di economia di mercato sono amici della persona umana. Certo,
all’economia di mercato non c’è alternativa. Ma alcuni modelli sono più
compatibili di altri con la Dottrina sociale della Chiesa.
Il cardinale rimarca il passaggio
della Caritas in veritate in cui si afferma che «la questione sociale è
diventata radicalmente questione antropologica».
È il tema centrale. Affrontare la
questione sociale vuole dire fissare l’attenzione sulle cause più profonde della
crisi, e non solo sugli effetti. Bagnasco tira le orecchie a chi vuole far
credere che, superata la fase critica della crisi, si potrà tornare a fare
affari esattamente come prima. Ma è un’illusione, e va detto con forza. Se non
si intacca l’assunto antropologico basato sul presupposto dell’individualismo e
dell’auto-interesse, per cui il discorso economico regola se stesso, non si
tocca l’origine vera di questa crisi.
Insomma non ci sarà ripresa fino
a che le coscienze «respirano una cultura che esalta il successo e la ricchezza
facile»?
Il punto è che se non vi è più un
fine che non sia legato al desiderio individuale, all’interesse o al piacere
del singolo, si arriva abbastanza facilmente a certe posizioni su vita,
famiglia, matrimonio, aborto, eutanasia. O, appunto, economia. Su questi temi i
cattolici, purtroppo, troppo spesso sono andati a rimorchio delle altre
posizioni, mediando per ottenere in cambio qualche misura in più per aiutare i
poveri o le famiglie. Ma si tratta di cerotti, di pezze, non della cura del
male di cui soffre l’organismo. In questa fase il mondo cattolico deve avere il
coraggio e la volontà di elaborare un pensiero che mostri gli errori della
visione individualista e auto-interessata. Non basta affermare la legge
naturale: è compito nostro riuscire a mostrare le ragioni per cui la legge
naturale è superiore all’assunto individualista e auto interessato. Bagnasco ha
centrato il cuore del problema.
Il modello economico deve
cambiare, in quale direzione?
Si tratta di guardare a soluzioni
che mettono al centro la persona non solo nel momento della distribuzione della
ricchezza, ma anche nel modo in cui è prodotta. Oggi non basta più pagare la
giusta mercede ai lavoratori o dare le ferie: il processo produttivo non deve
essere umiliante per la persona e per la sua dignità. Il concetto di sviluppo
umano integrale è legato a tre fattori: Pil, beni socio-relazionali, beni
spirituali. Quello che vuol dire il cardinale Bagnasco è che per far crescere
il prodotto interno lordo non si possono sacrificare le altre due componenti.
In nome dell’economia, cioè, non è bene mettere slot-machine nelle scuole,
oppure abolire le feste.
Dall’etica della vita si può
arrivare a parlare di lavoro e consumi?
In una prospettiva nuova dobbiamo
privilegiare un modello di sviluppo che consideri i beni relazionali, i servizi
alla persona, i beni comuni. Il modello fondato solo sul consumo di beni
privati è un sistema pernicioso, non può più reggere. Non possiamo mettere
sullo stesso piano gli interessi economicistici con i valori non negoziabili.
Non si può accettare il principio che ti dò più soldi, ma in cambio tu rinunci
a realizzare il tuo potenziale di lavoro. Faccio un esempio più chiaro. Se si
detassano i redditi delle donne, l’effetto è quello di aumentare il potere
d’acquisto, ma anche di disincarnare la donna dalla famiglia. Ora, se la donna
è madre non le interessa avere più soldi, ma più tempo. Il tema
dell’armonizzazione dei tempi di lavoro con la vita familiare vale anche per i
papà. Che senso ha aumentare le retribuzioni se poi l’organizzazione del lavoro
ti impedisce di essere genitore?
In un passaggio viene espresso
«stupore» per l’incomprensione che ha colpito l’economia sociale e il Terzo
settore. Cosa ne pensa?
L’Italia ha un modello di economia
che va oltre il modello dicotomico basato solo sullo Stato e sul privato. Noi
abbiamo anche la dimensione del "civile". Il problema è che alla
sfera dell’economia civile non possono andare solo le briciole o la pubblica
beneficenza: questo è un universo a cui va permesso di esprimere il suo vero
potenziale, anche sotto il profilo economico. Scuole, ospedali, case di riposo,
cooperative sociali. Considerare il civile come tappabuchi è un errore. Eppure
fino a oggi l’economia civile di mercato è sempre stata trattata come una ruota
di scorta. È tempo che lo Stato smetta di "concedere" e incominci
invece a "riconoscere", accettando il principio di sussidiarietà, e
avendo la capacità di spiegare in Europa la forza e il valore di un modello.
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