Tra accanimento ed eutanasia un confine chiaro – Avvenire, 31 gennaio
2013
Dopo aver trattato l’aborto giovedì
scorso, proseguiamo l’itinerario tra i nodi della bioetica alla luce del
magistero della Chiesa, riassumendo oggi il giudizio sull’eutanasia formulato
dal Catechismo e dall’enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II. L’eutanasia è «un’azione o un’omissione che di
natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni
dolore» ed è ben diversa dalla rinuncia all’accanimento terapeutico, ossia «a
certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato,
perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche
perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia». Il rifiuto di tale
accanimento non vuole in alcun modo uccidere, bensì esprime «l’accettazione
della condizione umana». Condannando l’eutanasia, la Chiesa non vuole affatto essere
insensibile alla sofferenza. Piuttosto raccomanda le cure palliative, che sono
in grado (se messe in pratica) di lenire molto significativamente il dolore nel
95% dei casi, e prescrive di accompagnare il sofferente o il disabile con
grandissimo affetto. Del resto, quando chiede l’eutanasia è soprattutto questo
affetto che desidera il malato.
In realtà, molto spesso, la sua
«è soprattutto domanda di compagnia, di solidarietà e di sostegno nella prova»:
quando ciò avviene, è documentato che nella maggior parte dei casi la richiesta
di morire cessa. Nelle situazioni di insuccesso delle cure palliative, come
anche in generale, è lecito l’impiego di sedativi per sollevare il malato dal
dolore, anche «quando ciò comporta il rischio di abbreviargli la vita», se «la
morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e
tollerata come inevitabile», e se non sono disponibili altre vie. L’eutanasia,
invece, è «un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e
al rispetto del Dio vivente, suo Creatore», quando invece i malati e i
sofferenti «richiedono un rispetto particolare».
L’uccisione del malato è «una
falsa pietà», specialmente quando avviene per motivi economici, o comunque è
una malintesa pietà, dato che la vera compassione «rende solidale col dolore
altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza».
Rispondendo a chi rivendica un’autodeterminazione che autorizzerebbe a uccidere
se stessi e a chiedere la propria uccisione, Evangelium vitae accenna
all’«essenziale dimensione relazionale» della libertà: siamo al mondo anche in
vista del bene degli altri e del bene comune, abbiamo doveri verso gli altri
che trasgrediamo se ci facciamo uccidere. In più, tale libertà di farsi
uccidere «si autodistrugge» perché, una volta che il soggetto è morto, non può
più esercitare se stessa. Infine, va sottolineato al parlamentare e all’elettore
che una legge che ammetta l’eutanasia (o l’aborto) è «intrinsecamente
ingiusta», e «non è mai lecito conformarsi a essa», «né partecipare a una campagna
di opinione in favore di una legge siffatta, né dare a essa il suffragio del
proprio voto». Giacomo Samek Lodovici
Nessun commento:
Posta un commento