venerdì 18 gennaio 2013


I PRINCIPI NON NEGOZIABILI: UNA SFIDA EDUCATIVA


L'intervento di monsignor Enrico Dal Covolo all'inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal Movimento PER

ROMA, Tuesday, 15 January 2013 (Zenit.org).
Riportiamo di seguito una sintesi del discorso di monsignor Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, in occasione dell’inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal Movimento PER (Politica Etica Responsabilità), avvenuta lunedì 14 gennaio.
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[…] La politica potrà riscattarsi dalla situazione di declino in cui versa, solo a condizione di recuperare con lungimiranza e profondità di pensiero il suo ancoraggio all’etica. Di qui l’opportunità, che ad essa è fornita, di confrontarsi con l’oggetto formale del ciclo di lezioni che oggi inizia, appunto i cosiddetti “principi non negoziabili”.
Come è ben noto, questa espressione è stata introdotta da un autorevole intervento della Congregazione per la Dottrina della fede di dieci anni fa (novembre 2002), dal titolo Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica. Tali questioni sono state poi illustrate a più riprese dal Magistero del Papa Benedetto XVI e da altre prese di posizione degli episcopati nazionali, tra cui quello italiano.
Ebbene, che cosa si intende per “principi non negoziabili”? Anzitutto, essi sono dei “principi”, dunque postulati indimostrati, perché dotati di una loro evidenza di ragione; stanno all’inizio, cioè alla base di una successiva argomentazione morale, destinata successivamente a entrare in dialogo con mores et ius, ossia a ispirare, da una parte, l’organizzazione e lo sviluppo della cultura, dall’altra la regolamentazione giuridica in uno stato di diritto.
I principi non negoziabili sono dunque un dato che appare coerente al riconoscimento della ragione, anche se la fede cristiana ne conferma il valore e ne rafforza la cogenza. Il logos ha sempre riconosciuto la loro esistenza e ha sempre reagito con fermezza alla pretesa da parte del nomos di ignorarne la priorità e l’intangibilità.
Quattro secoli prima di Cristo la tragedia greca, una delle espressioni più elevate e universali del pensare umano, ha espresso il primato di un diritto di natura antecedente l’organizzazione della polis, e anzi fondante la stessa formazione ordinata della polis. L’eroina sofoclea Antigone così dichiara a Creonte: “Altre leggi  furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi io non credei che tanta forza avessero, da far sì che le leggi dei Celesti, non scritte, e incrollabili, potesse soverchiare un mortale: ché non adesso furono sancite, o ieri. Eterne vivono esse; e niuno conosce il dì che nacquero” (Sofocle, Antigone, vv. 452-457; trad. di E. Romagnoli).
Probabilmente Benedetto XVI passerà alla storia come il Pontefice vindice della bontà e delle capacità della ragione umana. Ai parlamentari che egli incontra nei suoi viaggi apostolici, in Inghilterra come in Germania, non cessa di ricordare che la laicità è declinazione non della fede (evidentemente), ma della ragione. Ed è la ragione che nel suo esercizio non può non ammettere la presenza e l’inviolabilità dei principi non negoziabili.
È questo un insegnamento che tanto sta a cuore al Papa, che egli lo propone anche in interventi rivolti ai fedeli quasi in forma di catechesi. Ricordo, per esempio, ciò che egli disse presentando il pensiero di un teologo medievale, Giovanni di Salisbury. “Esiste anche”, fece notare il Papa in quell’occasione (era il 16 dicembre 2009), “una verità oggettiva e immutabile, la cui origine è in Dio, accessibile alla ragione umana, e che riguarda l’agire pratico e sociale. Si tratta di un diritto naturale, al quale le leggi umane e le autorità politiche e religiose devono ispirarsi, affinché possano promuovere il bene comune. Questa legge naturale è caratterizzata da una proprietà che Giovanni chiama equità, cioè l’attribuzione a ogni persona dei suoi diritti. Da essa discendono precetti che sono legittimi presso tutti i popoli, e che non possono in nessun caso  essere  abrogati. […] Il tema del rapporto tra legge naturale e ordinamento giuridico-positivo, mediato dall’equità, è ancor oggi di grande importanza. Nel nostro tempo, infatti, soprattutto in alcuni Paesi, assistiamo a uno scollamento preoccupante tra la ragione, che ha il compito di scoprire i valori etici legati alla dignità della persona umana, e la libertà, che ha la responsabilità di accoglierli e di promuoverli. Forse Giovanni di Salisbury ci ricorderebbe oggi che sono conformi all’equità solo quelle leggi che tutelano la sacralità della vita umana e respingono la liceità dell’aborto, dell’eutanasia e delle disinvolte sperimentazioni genetiche, quelle leggi che rispettano la dignità del matrimonio tra un uomo e una donna”.
Nel discorso, da cui ho ricavato la citazione proposta, il Papa ha indicato i primi due dei tre principi non-negoziabili presentati con sobria ed efficace chiarezza nel marzo del 2006, quando egli accolse i partecipanti al convegno promosso dal Partito Popolare europeo.
Essi sono: a) “La tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale”; b) “il riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e la sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale”; c) “la tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli”.
Proseguendo il mio intervento, mi fermerò soltanto sul primo dei principi non negoziabili, il diritto alla vita, e argomenterò il mio pensiero basandomi su tre fonti del sapere che mi sono più congeniali. Anzitutto, a motivo del servizio che presto come Rettore dell’Università del Papa, vorrei richiamare alcuni elementi del Magistero pontificio del Beato Giovanni Paolo II; in secondo luogo, la docenza e la ricerca nell’ambito della letteratura cristiana antica mi inducono a valorizzare l’insegnamento dei Padri della Chiesa; infine, la mia esperienza come postulatore delle cause dei santi della Famiglia salesiana mi ha messo a contatto con la testimonianza di tanti credenti, la cui vita è in sé una lezione di vita.
[La seconda parte sarà pubblicata domani, mercoledì 16 gennaio]


I PRINCIPI NON NEGOZIABILI: UNA SFIDA EDUCATIVA (SECONDA PARTE)

L'intervento di monsignor Enrico Dal Covolo all'inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal Movimento PER

ROMA, Wednesday, 16 January 2013 (Zenit.org).
La prima parte è stata pubblicata martedì 15 gennaio.
1. Il Magistero di Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II ha pubblicato nel 1995 un documento poderoso, ampio e articolato, sul tema della difesa della vita, l’enciclica Evangelium Vitae. […] Vorrei limitarmi a commentarne due passaggi, che riguardano l’aborto e l’eutanasia.
1.1. L’aborto.
Il primo, a proposito dell’aborto, suona così: “La gravità morale dell’aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano. Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare. […] È debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo” (EV, 58).
Sono sufficienti, a me sembra, queste considerazioni di ragione per far apparire del tutto detestabile l’aborto e i tentativi di giustificarlo. Alla ragione ripugna sopprimere l’esistenza di chi è innocente, debole e totalmente dipendente da un altro essere umano. Questa rivolta – questa avversione della ragione – è proprio il risvolto della non negoziabilità del diritto alla nascita del concepito. Del resto, parliamo di “principi” perché, ammessa la deroga all’eliminazione di un essere innocente, debole e totalmente affidato, come nel caso di un embrione o di un feto, si abbatte un limes antropologico, e si permette l’introduzione nella civitas di un contro-principio, che conduce a barbarie e violenze inaudite. La storia del XX secolo è assai tristemente eloquente: nazionalsocialismo, stalinismo e maoismo hanno privato i soggetti umani della loro sacralità, e, dopo averli ridotti a uno stato di fragilità indifesa, hanno perpetrato crimini esecrabili contro la loro vita. […]
Purtroppo, il legame che sussiste tra erosione del principio non negoziabile della vita nascente e le aberrazioni a cui esso conduce sono sotto gli occhi di tutti. Cito un esempio molto amaro, che ci riempie di sconcerto. In Danimarca, il governo ha oramai intrapreso da anni un progetto eugenetico, offrendo gratuitamente la possibilità di ricorrere alle diagnosi prenatali per l’identificazione e la conseguente eliminazione per mezzo dell’aborto dei nascituri “difettosi”. Un giornalista, Nikolaj Rytgaard, sul quotidiano danese “Berlingske”, ha rivelato che l’obiettivo da raggiungere, entro il 2030, è quello di fare della Danimarca il primo Paese al mondo “Down Syndrom Free”.
Qual è – ci chiediamo a questo punto – la differenza con le sperimentazioni condotte durante il nazionalsocialismo?
Alla luce di queste riflessioni, mi sembra che il diritto alla vita del nascituro non possa che apparire non negoziabile. Consegnare alla cultura, che è transeunte, o alla politica, che è volubile e perciò esposta all’involuzione, il diritto di disporre della vita di un nascituro, innocente, debole e totalmente affidato, equivale ad abbandonare pericolosamente la convivenza degli e tra gli uomini all’arbitrio di chi ha più forza, più risorse materiali, più strumenti di controllo e di influenza. La non negoziabilità della tutela della vita nascente, innocente, indifesa, completamente affidata alla protezione dell’altro, ci rammenta che, se si abdica a questo primato, allora è aperta la via alla prevaricazione, all’arroganza, al sopruso, come sentenziò sant’Agostino: “Togli il diritto; e allora, che cosa distingue l’istituzione politica da una grossa banda di briganti?” (Agostino, La città di Dio 4,4).
1.2. L’eutanasia.
Ricavo un secondo passaggio dall’enciclica Evangelium Vitae. Esso recita così: “Si fa sempre più forte la tentazione dell’eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine dolcemente alla vita propria o altrui. In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della cultura di morte, che avanza soprattutto nelle società del benessere, caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate. Esse vengono molto spesso isolate dalla famiglia e dalla società, organizzate quasi esclusivamente sulla base di criteri di efficienza produttiva, secondo i quali una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore” (EV, 64).
Dalle parole di Giovanni Paolo II comprendiamo che anche l’eutanasia, definita nella stessa enciclica come azione o omissione che, nell’intenzione di lenire il dolore procura la morte, è un atto contro ragione e disumano. È contro ragione, infatti, perseguire un fine buono con un mezzo cattivo. Il fine buono è lenire il dolore, ma esso non può essere ottenuto con un mezzo incomparabilmente dannoso e distruttivo, la morte del soggetto sofferente. Con la ragione, nel suo retto esercizio, contrasta il principio che ogni fine giustifica i mezzi. Introdotto infatti questo criterio, l’intera esistenza dei soggetti umani e della compagine sociale è vulnerabile e, come nel caso dell’aborto procurato, esposta al prevalere dei malvagi e della loro ferocia. L’eutanasia, però, è anche disumana. Essa può reclamare una certa plausibilità solo in una mentalità che esalta efficienza e funzionalità, aspetti dell’esistenza che, se esaltati e messi al primo posto nella gerarchia dei valori, rendono la vita spietata e crudele. Ciò che non è materialmente utile non è degno di esistere. La vita umana sembra così valutata e misurata come quella degli oggetti, in base all’utilità che essi offrono.
No, non si può scendere a compromessi, non si può negoziare. L’eutanasia è il tassello di un agghiacciante mosaico di morte e brutalità, in cui i valori e le esperienze dello spirito, compresa la sofferenza, non ricevono alcun apprezzamento.
[La terza e ultima parte sarà pubblicata domani, giovedì 17 gennaio]

I PRINCIPI NON NEGOZIABILI: UNA SFIDA EDUCATIVA (TERZA PARTE)

L'intervento di monsignor Enrico Dal Covolo all'inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal Movimento PER

ROMA, Thursday, 17 January 2013 (Zenit.org).
La seconda parte è stata pubblicata mercoledì 16 gennaio.

2. L’insegnamento dei Padri della Chiesa
“Non ucciderai un bambino per mezzo dell’aborto” (Didaché, 2,2).
È questo il precetto, perentorio e inequivocabile, enunciato da un antichissimo testo della letteratura cristiana, coevo probabilmente, almeno in alcune sue sezioni, alla letteratura neotestamentaria. Si tratta della Didaché. Il fatto stesso che esso sia stato formulato significa che la consuetudine dell’aborto era diffusa o per lo meno praticata nel mondo pagano, non cristiano. Questo stesso appello ritorna in altre opere cristiane del II secolo. Tra di esse vorrei ricordare un passaggio della Supplica per i cristiani di Atenagora ateniese e un altro, tratto dall’Apologeticum di Tertulliano.
2.1. Atenagora.
Atenagora si interroga vivacemente: “Come possiamo essere omicidi noi, che affermiamo che quante ricorrono a pratiche abortive commettono un omicidio e dell’aborto renderanno conto a Dio? Non è possibile nello stesso tempo ritenere che è vivo l’essere che è nel ventre, e che per questo Dio ne ha cura, e ucciderlo nel momento in cui nasce alla vita; né è possibile esporre il neonato – essendo infanticidi coloro che lo espongono –, o sopprimerlo quando è allevato. Noi siamo in tutto e per tutto simili e uguali, essendo sottomessi alla ragione, e non comandando su di essa” (Atenagora, Supplica per i cristiani, 35,6).
2.2. Tertulliano.
Il testo di Tertulliano, il cui riferimento, tra l’altro, è riportato nella nota a piè di pagina della sezione del Catechismo della Chiesa Cattolica relativa alla proibizione dell’aborto, suona così: “A noi, proibito una volta per sempre l’omicidio, non è lecito sopprimere neppure il feto concepito nell’utero, mentre ancora il sangue materno sta formando un essere umano. Impedire la nascita è un omicidio anticipato, e non fa differenza se si strappi al corpo un’anima già nata o si interrompa il suo processo di formazione. È già un uomo colui che lo sarà; anche ogni frutto è già contenuto nel seme” (Tertulliano, Apologeticum 9,2.8).
Consentitemi ora qualche riflessione. Per i cristiani del II secolo (come pure per quelli dei secoli successivi: vi è, infatti, un ampio florilegio contro l’aborto, che comprende la voce di non pochi dei Padri dell’epoca aurea, come Basilio di Cesarea o Giovanni Crisostomo), la protezione della vita del concepito è un dovere non negoziabile. Ora, questi autori che ho citato, Atenagora e Tertulliano, sono degli apologeti. Essi, cioè, si rivolgono al mondo non cristiano ed espongono la ragionevolezza della loro visione della vita, facendo appello, proprio perché in dialogo con coloro che non condividevano la stessa fede, al logos, cui “tutti siamo sottomessi”, secondo le parole di Atenagora. In altri termini, gli apologeti chiedono a tutti gli uomini di seguire quanto di universalmente umano ci accomuna, cioè l’uso della ragione, a prescindere dall’affiliazione religiosa.
E tuttavia l’uso della ragione potrebbe essere ancora insufficiente. Gli antichi Apologeti, allora, ci offrono l’indicazione di un altro percorso che integri e corrobori quello del logos. Essi, infatti, a partire dalla Rivelazione biblica, mostrano nella fede cristiana una sorgente ricchissima di valori antropologici, fondati sull’azione creatrice e redentrice di Dio. […]
3. La testimonianza dei santi
Mi avvio alla conclusione del mio intervento, cari amici, trattando, più succintamente, un ultimo punto. […]
Ho sviluppato le precedenti riflessioni insistendo sul fatto che i principi non negoziabili, in particolar modo la tutela della vita nascente e la dignità del morire, sono acquisiti dalla ragione, che nella fede cristiana trova ulteriori motivi di conferma. Vi è tuttavia un perfezionamento ulteriore della ragione e della stessa fede: si tratta dell’amore. La ragionevolezza dell’antropologia personalistico-cristiana che afferma la non negoziabilità del principio della difesa della vita è sostenuta dalla luminosa testimonianza dei santi. I santi esercitano un potente fascino. E, per grazia di Dio, essi non sono mancati e non mancano, e continuano a mantenere vive la bontà e la bellezza dell’umanesimo cristiano. Essi mostrano che solo l’amore, inveramento e perfezionamento della ragione, è credibile. Sono loro che fanno del Cristianesimo un messaggio non solo informativo ma performativo, che cambia la vita della gente e dei popoli!
Il mondo intero si è inchinato per rendere omaggio alla Beata Madre Teresa di Calcutta, icona della santità che si prende cura della vita in nome di quei principi non negoziabili su cui stiamo riflettendo. Parlando da una tribuna speciale, a Oslo, in occasione del conferimento del Premio Nobel nel 1979, ella, senza alcun timore, con la forza e la semplicità della verità, diede testimonianza della missione compiuta per impedire la pratica dell’aborto, che definì il “grande distruttore della pace”. E ne illustrò il motivo con parole che fanno eco a quanto dicevamo precedentemente commentando l’Evangelium Vitae: derogare all’inviolabilità della tutela della vita già concepita apre la strada, come di fatto è accaduto, ad ogni forma di efferatezza e di violenza. “Perché”, affermò in quell’occasione Madre Teresa, “se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te, e a te di uccidere me? Nulla”.
E anche a proposito dell’eutanasia ricordò un’esperienza che vale forse più di molti ragionamenti, per mostrare che c’è sempre una dignità nel e del morire: “Abbiamo raccolto un uomo dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa. Egli ci ha detto: ‘Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato’. Ed è stato così meraviglioso vedere la grandezza di quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza maledire nessuno, senza fare paragoni, come un angelo”.
Di fronte alla testimonianza dei santi che ci mostrano una “via più grande” – quella della carità – ragione e fede acquistano una forza persuasiva ancora più cogente, sicché i principi non negoziabili appaiono realmente dotati di quella verità, di quella bontà e di quella bellezza che niente e nessuno potrà rinnegare.
Ed è questo l’ultimo pensiero che desidero condividere con voi, cari amici, anzi una preghiera: il Signore doni e moltiplichi i santi, protettori e amici della vita, testimoni e perciò maestri. Sono e saranno essi sempre il discorso più convincente perché i principi non negoziabili tornino a essere il fondamento di una convivenza umana più giusta e pacifica per tutti e per ciascuno; per costruire stabilmente quella civiltà dell’amore, dove ogni uomo, dal suo concepimento fino alla sua morte naturale, sia rispettato e onorato per la sua inalienabile dignità.

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