I PRINCIPI NON NEGOZIABILI: UNA SFIDA EDUCATIVA
L'intervento di monsignor Enrico
Dal Covolo all'inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal
Movimento PER
ROMA, Tuesday, 15 January 2013 (Zenit.org).
Riportiamo di seguito una sintesi
del discorso di monsignor Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia
Università Lateranense, in occasione dell’inaugurazione della Scuola di
Formazione Politica promossa dal Movimento PER (Politica Etica Responsabilità),
avvenuta lunedì 14 gennaio.
***
[…] La politica potrà riscattarsi
dalla situazione di declino in cui versa, solo a condizione di recuperare con
lungimiranza e profondità di pensiero il suo ancoraggio all’etica. Di qui
l’opportunità, che ad essa è fornita, di confrontarsi con l’oggetto formale del
ciclo di lezioni che oggi inizia, appunto i cosiddetti “principi non
negoziabili”.
Come è ben noto, questa
espressione è stata introdotta da un autorevole intervento della Congregazione
per la Dottrina della fede di dieci anni fa (novembre 2002), dal titolo Nota
dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei
cattolici nella vita politica. Tali questioni sono state poi illustrate a più
riprese dal Magistero del Papa Benedetto XVI e da altre prese di posizione
degli episcopati nazionali, tra cui quello italiano.
Ebbene, che cosa si intende per
“principi non negoziabili”? Anzitutto, essi sono dei “principi”, dunque
postulati indimostrati, perché dotati di una loro evidenza di ragione; stanno
all’inizio, cioè alla base di una successiva argomentazione morale, destinata
successivamente a entrare in dialogo con mores et ius, ossia a ispirare, da una
parte, l’organizzazione e lo sviluppo della cultura, dall’altra la
regolamentazione giuridica in uno stato di diritto.
I principi non negoziabili sono
dunque un dato che appare coerente al riconoscimento della ragione, anche se la
fede cristiana ne conferma il valore e ne rafforza la cogenza. Il logos ha
sempre riconosciuto la loro esistenza e ha sempre reagito con fermezza alla
pretesa da parte del nomos di ignorarne la priorità e l’intangibilità.
Quattro secoli prima di Cristo la
tragedia greca, una delle espressioni più elevate e universali del pensare
umano, ha espresso il primato di un diritto di natura antecedente
l’organizzazione della polis, e anzi fondante la stessa formazione ordinata
della polis. L’eroina sofoclea Antigone così dichiara a Creonte: “Altre leggi furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi io
non credei che tanta forza avessero, da far sì che le leggi dei Celesti, non
scritte, e incrollabili, potesse soverchiare un mortale: ché non adesso furono
sancite, o ieri. Eterne vivono esse; e niuno conosce il dì che nacquero”
(Sofocle, Antigone, vv. 452-457; trad. di E. Romagnoli).
Probabilmente Benedetto XVI
passerà alla storia come il Pontefice vindice della bontà e delle capacità
della ragione umana. Ai parlamentari che egli incontra nei suoi viaggi apostolici,
in Inghilterra come in Germania, non cessa di ricordare che la laicità è
declinazione non della fede (evidentemente), ma della ragione. Ed è la ragione
che nel suo esercizio non può non ammettere la presenza e l’inviolabilità dei
principi non negoziabili.
È questo un insegnamento che
tanto sta a cuore al Papa, che egli lo propone anche in interventi rivolti ai
fedeli quasi in forma di catechesi. Ricordo, per esempio, ciò che egli disse
presentando il pensiero di un teologo medievale, Giovanni di Salisbury. “Esiste
anche”, fece notare il Papa in quell’occasione (era il 16 dicembre 2009), “una
verità oggettiva e immutabile, la cui origine è in Dio, accessibile alla
ragione umana, e che riguarda l’agire pratico e sociale. Si tratta di un
diritto naturale, al quale le leggi umane e le autorità politiche e religiose
devono ispirarsi, affinché possano promuovere il bene comune. Questa legge
naturale è caratterizzata da una proprietà che Giovanni chiama equità, cioè
l’attribuzione a ogni persona dei suoi diritti. Da essa discendono precetti che
sono legittimi presso tutti i popoli, e che non possono in nessun caso essere
abrogati. […] Il tema del rapporto tra legge naturale e ordinamento
giuridico-positivo, mediato dall’equità, è ancor oggi di grande importanza. Nel
nostro tempo, infatti, soprattutto in alcuni Paesi, assistiamo a uno
scollamento preoccupante tra la ragione, che ha il compito di scoprire i valori
etici legati alla dignità della persona umana, e la libertà, che ha la
responsabilità di accoglierli e di promuoverli. Forse Giovanni di Salisbury ci
ricorderebbe oggi che sono conformi all’equità solo quelle leggi che tutelano
la sacralità della vita umana e respingono la liceità dell’aborto,
dell’eutanasia e delle disinvolte sperimentazioni genetiche, quelle leggi che
rispettano la dignità del matrimonio tra un uomo e una donna”.
Nel discorso, da cui ho ricavato
la citazione proposta, il Papa ha indicato i primi due dei tre principi
non-negoziabili presentati con sobria ed efficace chiarezza nel marzo del 2006,
quando egli accolse i partecipanti al convegno promosso dal Partito Popolare
europeo.
Essi sono: a) “La tutela della
vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte
naturale”; b) “il riconoscimento e promozione della struttura naturale della
famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e la sua
difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme
radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono
alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo
insostituibile ruolo sociale”; c) “la tutela del diritto dei genitori di
educare i propri figli”.
Proseguendo il mio intervento, mi
fermerò soltanto sul primo dei principi non negoziabili, il diritto alla vita,
e argomenterò il mio pensiero basandomi su tre fonti del sapere che mi sono più
congeniali. Anzitutto, a motivo del servizio che presto come Rettore
dell’Università del Papa, vorrei richiamare alcuni elementi del Magistero pontificio
del Beato Giovanni Paolo II; in secondo luogo, la docenza e la ricerca
nell’ambito della letteratura cristiana antica mi inducono a valorizzare
l’insegnamento dei Padri della Chiesa; infine, la mia esperienza come
postulatore delle cause dei santi della Famiglia salesiana mi ha messo a
contatto con la testimonianza di tanti credenti, la cui vita è in sé una
lezione di vita.
[La seconda parte sarà pubblicata
domani, mercoledì 16 gennaio]
I PRINCIPI NON NEGOZIABILI: UNA SFIDA EDUCATIVA (SECONDA PARTE)
L'intervento di monsignor Enrico
Dal Covolo all'inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal
Movimento PER
ROMA, Wednesday, 16 January 2013 (Zenit.org).
La prima parte è stata pubblicata
martedì 15 gennaio.
1. Il Magistero di Giovanni Paolo
II
Giovanni Paolo II ha pubblicato
nel 1995 un documento poderoso, ampio e articolato, sul tema della difesa della
vita, l’enciclica Evangelium Vitae. […] Vorrei limitarmi a commentarne due
passaggi, che riguardano l’aborto e l’eutanasia.
1.1. L’aborto.
Il primo, a proposito
dell’aborto, suona così: “La gravità morale dell’aborto procurato appare in
tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in
particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano.
Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto
di più innocente in assoluto si possa immaginare. […] È debole, inerme, al
punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita
dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente
affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo” (EV, 58).
Sono sufficienti, a me sembra,
queste considerazioni di ragione per far apparire del tutto detestabile
l’aborto e i tentativi di giustificarlo. Alla ragione ripugna sopprimere
l’esistenza di chi è innocente, debole e totalmente dipendente da un altro
essere umano. Questa rivolta – questa avversione della ragione – è proprio il
risvolto della non negoziabilità del diritto alla nascita del concepito. Del
resto, parliamo di “principi” perché, ammessa la deroga all’eliminazione di un
essere innocente, debole e totalmente affidato, come nel caso di un embrione o
di un feto, si abbatte un limes antropologico, e si permette l’introduzione
nella civitas di un contro-principio, che conduce a barbarie e violenze
inaudite. La storia del XX secolo è assai tristemente eloquente:
nazionalsocialismo, stalinismo e maoismo hanno privato i soggetti umani della
loro sacralità, e, dopo averli ridotti a uno stato di fragilità indifesa, hanno
perpetrato crimini esecrabili contro la loro vita. […]
Purtroppo, il legame che sussiste
tra erosione del principio non negoziabile della vita nascente e le aberrazioni
a cui esso conduce sono sotto gli occhi di tutti. Cito un esempio molto amaro,
che ci riempie di sconcerto. In Danimarca, il governo ha oramai intrapreso da
anni un progetto eugenetico, offrendo gratuitamente la possibilità di ricorrere
alle diagnosi prenatali per l’identificazione e la conseguente eliminazione per
mezzo dell’aborto dei nascituri “difettosi”. Un giornalista, Nikolaj Rytgaard,
sul quotidiano danese “Berlingske”, ha rivelato che l’obiettivo da raggiungere,
entro il 2030, è quello di fare della Danimarca il primo Paese al mondo “Down Syndrom
Free”.
Qual è – ci chiediamo a questo
punto – la differenza con le sperimentazioni condotte durante il
nazionalsocialismo?
Alla luce di queste riflessioni,
mi sembra che il diritto alla vita del nascituro non possa che apparire non
negoziabile. Consegnare alla cultura, che è transeunte, o alla politica, che è
volubile e perciò esposta all’involuzione, il diritto di disporre della vita di
un nascituro, innocente, debole e totalmente affidato, equivale ad abbandonare
pericolosamente la convivenza degli e tra gli uomini all’arbitrio di chi ha più
forza, più risorse materiali, più strumenti di controllo e di influenza. La non
negoziabilità della tutela della vita nascente, innocente, indifesa,
completamente affidata alla protezione dell’altro, ci rammenta che, se si
abdica a questo primato, allora è aperta la via alla prevaricazione,
all’arroganza, al sopruso, come sentenziò sant’Agostino: “Togli il diritto; e
allora, che cosa distingue l’istituzione politica da una grossa banda di
briganti?” (Agostino, La città di Dio 4,4).
1.2. L’eutanasia.
Ricavo un secondo passaggio
dall’enciclica Evangelium Vitae. Esso recita così: “Si fa sempre più forte la
tentazione dell’eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in
anticipo e ponendo così fine dolcemente alla vita propria o altrui. In realtà,
ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta
assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della
cultura di morte, che avanza soprattutto nelle società del benessere,
caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo oneroso
e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate. Esse
vengono molto spesso isolate dalla famiglia e dalla società, organizzate quasi
esclusivamente sulla base di criteri di efficienza produttiva, secondo i quali
una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore” (EV, 64).
Dalle parole di Giovanni Paolo II
comprendiamo che anche l’eutanasia, definita nella stessa enciclica come azione
o omissione che, nell’intenzione di lenire il dolore procura la morte, è un
atto contro ragione e disumano. È contro ragione, infatti, perseguire un fine
buono con un mezzo cattivo. Il fine buono è lenire il dolore, ma esso non può
essere ottenuto con un mezzo incomparabilmente dannoso e distruttivo, la morte
del soggetto sofferente. Con la ragione, nel suo retto esercizio, contrasta il
principio che ogni fine giustifica i mezzi. Introdotto infatti questo criterio,
l’intera esistenza dei soggetti umani e della compagine sociale è vulnerabile
e, come nel caso dell’aborto procurato, esposta al prevalere dei malvagi e
della loro ferocia. L’eutanasia, però, è anche disumana. Essa può reclamare una
certa plausibilità solo in una mentalità che esalta efficienza e funzionalità,
aspetti dell’esistenza che, se esaltati e messi al primo posto nella gerarchia
dei valori, rendono la vita spietata e crudele. Ciò che non è materialmente
utile non è degno di esistere. La vita umana sembra così valutata e misurata
come quella degli oggetti, in base all’utilità che essi offrono.
No, non si può scendere a
compromessi, non si può negoziare. L’eutanasia è il tassello di un
agghiacciante mosaico di morte e brutalità, in cui i valori e le esperienze
dello spirito, compresa la sofferenza, non ricevono alcun apprezzamento.
[La terza e ultima parte sarà
pubblicata domani, giovedì 17 gennaio]
I PRINCIPI NON NEGOZIABILI: UNA SFIDA EDUCATIVA (TERZA PARTE)
L'intervento di monsignor Enrico
Dal Covolo all'inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal
Movimento PER
ROMA, Thursday, 17 January 2013 (Zenit.org).
La seconda parte è stata
pubblicata mercoledì 16 gennaio.
2. L’insegnamento dei Padri della
Chiesa
“Non ucciderai un bambino per
mezzo dell’aborto” (Didaché, 2,2).
È questo il precetto, perentorio
e inequivocabile, enunciato da un antichissimo testo della letteratura
cristiana, coevo probabilmente, almeno in alcune sue sezioni, alla letteratura
neotestamentaria. Si tratta della Didaché. Il fatto stesso che esso sia stato
formulato significa che la consuetudine dell’aborto era diffusa o per lo meno
praticata nel mondo pagano, non cristiano. Questo stesso appello ritorna in
altre opere cristiane del II secolo. Tra di esse vorrei ricordare un passaggio
della Supplica per i cristiani di Atenagora ateniese e un altro, tratto
dall’Apologeticum di Tertulliano.
2.1. Atenagora.
Atenagora si interroga
vivacemente: “Come possiamo essere omicidi noi, che affermiamo che quante
ricorrono a pratiche abortive commettono un omicidio e dell’aborto renderanno
conto a Dio? Non è possibile nello stesso tempo ritenere che è vivo l’essere
che è nel ventre, e che per questo Dio ne ha cura, e ucciderlo nel momento in
cui nasce alla vita; né è possibile esporre il neonato – essendo infanticidi
coloro che lo espongono –, o sopprimerlo quando è allevato. Noi siamo in tutto
e per tutto simili e uguali, essendo sottomessi alla ragione, e non comandando
su di essa” (Atenagora, Supplica per i cristiani, 35,6).
2.2. Tertulliano.
Il testo di Tertulliano, il cui
riferimento, tra l’altro, è riportato nella nota a piè di pagina della sezione
del Catechismo della Chiesa Cattolica relativa alla proibizione dell’aborto,
suona così: “A noi, proibito una volta per sempre l’omicidio, non è lecito
sopprimere neppure il feto concepito nell’utero, mentre ancora il sangue
materno sta formando un essere umano. Impedire la nascita è un omicidio
anticipato, e non fa differenza se si strappi al corpo un’anima già nata o si
interrompa il suo processo di formazione. È già un uomo colui che lo sarà;
anche ogni frutto è già contenuto nel seme” (Tertulliano, Apologeticum 9,2.8).
Consentitemi ora qualche
riflessione. Per i cristiani del II secolo (come pure per quelli dei secoli
successivi: vi è, infatti, un ampio florilegio contro l’aborto, che comprende
la voce di non pochi dei Padri dell’epoca aurea, come Basilio di Cesarea o
Giovanni Crisostomo), la protezione della vita del concepito è un dovere non
negoziabile. Ora, questi autori che ho citato, Atenagora e Tertulliano, sono
degli apologeti. Essi, cioè, si rivolgono al mondo non cristiano ed espongono
la ragionevolezza della loro visione della vita, facendo appello, proprio
perché in dialogo con coloro che non condividevano la stessa fede, al logos,
cui “tutti siamo sottomessi”, secondo le parole di Atenagora. In altri termini,
gli apologeti chiedono a tutti gli uomini di seguire quanto di universalmente
umano ci accomuna, cioè l’uso della ragione, a prescindere dall’affiliazione
religiosa.
E tuttavia l’uso della ragione
potrebbe essere ancora insufficiente. Gli antichi Apologeti, allora, ci offrono
l’indicazione di un altro percorso che integri e corrobori quello del logos.
Essi, infatti, a partire dalla Rivelazione biblica, mostrano nella fede
cristiana una sorgente ricchissima di valori antropologici, fondati sull’azione
creatrice e redentrice di Dio. […]
3. La testimonianza dei santi
Mi avvio alla conclusione del mio
intervento, cari amici, trattando, più succintamente, un ultimo punto. […]
Ho sviluppato le precedenti
riflessioni insistendo sul fatto che i principi non negoziabili, in particolar
modo la tutela della vita nascente e la dignità del morire, sono acquisiti
dalla ragione, che nella fede cristiana trova ulteriori motivi di conferma. Vi
è tuttavia un perfezionamento ulteriore della ragione e della stessa fede: si
tratta dell’amore. La ragionevolezza dell’antropologia personalistico-cristiana
che afferma la non negoziabilità del principio della difesa della vita è
sostenuta dalla luminosa testimonianza dei santi. I santi esercitano un potente
fascino. E, per grazia di Dio, essi non sono mancati e non mancano, e
continuano a mantenere vive la bontà e la bellezza dell’umanesimo cristiano.
Essi mostrano che solo l’amore, inveramento e perfezionamento della ragione, è
credibile. Sono loro che fanno del Cristianesimo un messaggio non solo
informativo ma performativo, che cambia la vita della gente e dei popoli!
Il mondo intero si è inchinato
per rendere omaggio alla Beata Madre Teresa di Calcutta, icona della santità
che si prende cura della vita in nome di quei principi non negoziabili su cui
stiamo riflettendo. Parlando da una tribuna speciale, a Oslo, in occasione del
conferimento del Premio Nobel nel 1979, ella, senza alcun timore, con la forza
e la semplicità della verità, diede testimonianza della missione compiuta per
impedire la pratica dell’aborto, che definì il “grande distruttore della pace”.
E ne illustrò il motivo con parole che fanno eco a quanto dicevamo
precedentemente commentando l’Evangelium Vitae: derogare all’inviolabilità
della tutela della vita già concepita apre la strada, come di fatto è accaduto,
ad ogni forma di efferatezza e di violenza. “Perché”, affermò in
quell’occasione Madre Teresa, “se una madre può uccidere il proprio stesso
bambino, cosa mi impedisce di uccidere te, e a te di uccidere me? Nulla”.
E anche a proposito
dell’eutanasia ricordò un’esperienza che vale forse più di molti ragionamenti,
per mostrare che c’è sempre una dignità nel e del morire: “Abbiamo raccolto un
uomo dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa. Egli ci
ha detto: ‘Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un
angelo, amato e curato’. Ed è stato così meraviglioso vedere la grandezza di
quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza
maledire nessuno, senza fare paragoni, come un angelo”.
Di fronte alla testimonianza dei
santi che ci mostrano una “via più grande” – quella della carità – ragione e
fede acquistano una forza persuasiva ancora più cogente, sicché i principi non
negoziabili appaiono realmente dotati di quella verità, di quella bontà e di
quella bellezza che niente e nessuno potrà rinnegare.
Ed è questo l’ultimo pensiero che
desidero condividere con voi, cari amici, anzi una preghiera: il Signore doni e
moltiplichi i santi, protettori e amici della vita, testimoni e perciò maestri.
Sono e saranno essi sempre il discorso più convincente perché i principi non
negoziabili tornino a essere il fondamento di una convivenza umana più giusta e
pacifica per tutti e per ciascuno; per costruire stabilmente quella civiltà
dell’amore, dove ogni uomo, dal suo concepimento fino alla sua morte naturale,
sia rispettato e onorato per la sua inalienabile dignità.
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