Il dibattito sul fine
vita in Francia Qual è la posta in gioco di FERDINAND O CANCELLI, Osservatore
Romano, 9 gennaio 2013
Nei dibattiti bioetici spesso si assiste alla
contrapposizione frontale tra i sostenitori dell’«etica della vulnerabilità» e quelli
dell’«etica dell’autonomia», per usare le parole del senatore francese Jean
Leonetti. Il quotidiano «La Croix», in un clima di rinnovato fermento in
Francia sulle proposte di un’eventuale revisione della legge sulla fine della
vita, suggerisce due modi per uscire da questa sterile impasse.
Il primo è quello di offrire uno strumento che permetta di
comprendere in termini semplici ma precisi le definizioni dei temi in questione: Fin de vie. Les clés du débat (Fine della
vita. Le chiavi del dibattito) è un e-book che affronta in dieci capitoli tutti
i temi principali delle delicate questioni cliniche ed etiche connesse alla
malattia inguaribile. La legge vigente, i concetti di dignità e di libertà, i
limiti dell’assistenza ospedaliera, i dilemmi suscitati dai progressi della
medicina, le prospettive future sono solo alcuni degli argomenti trattati in
modo conciso ma ricco di suggerimenti per letture di approfondimento.
Ogni capitolo è seguito dalla testimonianza di congiunti o di
sanitari direttamente coinvolti in un’assistenza a un malato giunto alla fase
finale della vita. La lettura è ricca di dati sui quali riflettere: tra questi
lo studio del dottor Edouard Ferraud, responsabile di un’unità di cure
palliative, condotto nel 2008 in 613 differenti servizi ospedalieri francesi
dal quale è emerso, ad esempio, che soltanto il 35 per cento degli infermieri
avevano giudicato “accettabili” le circostanze dei decessi nei loro servizi e
che su 3793 pazienti deceduti in ospedale solo il 24 per cento avevano avuto qualcuno
al loro fianco nel momento della morte. Questi dati correlano, secondo il
dottor Ferraud, con «un’assenza a volte quasi totale di cultura palliativa in
un gran numero di strutture ospedaliere».
Una seconda via per superare l’impasse è quella proposta con estrema
lucidità dal gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un’intervista
pubblicata su «La Croix» del 5-6 gennaio e ripresa quasi per intero dall’«Osservatore
Romano» del 6. Per sconfiggere l’idea che l’unico modo di appropriarsi della
propria morte sia il «chiedere l’atto che uccide» occorre trovare — afferma il
rabbino — «un modo completamente diverso di essere soggetto, che consiste nell’essere
lucidi, responsabili, coscienti. Preparare la propria morte, avere il coraggio
d’interpellare i medici riguardo alle proprie paure, lasciare a quelli che
resteranno una parola di vita, una parola di benedizione che li aiuti a vivere
senza di noi».
Poi — continua Bernheim — «è difficile morire con dignità
quando si è stretti in una cospirazione di ilenzio, quando le persone a noi più
vicine, angosciate, assistono impotenti e mute alla nostra lenta scomparsa.
Quando non possono o non vogliono accompagnarci. Come riuscire a stare in pace
con se stessi e con gli altri, dire addio, trasmettere qualcosa di sé e della
propria esperienza di vita, se tutti fuggono o si comportano come se la morte
non fosse vicina? Il modo in cui noi lasciamo questo mondo dipende tanto dalla
maniera in cui abbiamo vissuto quanto dall’atteggiamento di coloro che ci
circondano». Le due vie proposte, in apparenza così diverse, sono in realtà strettamente
connesse tra loro. Come potrà infatti un malato «preparare la propria morte»,
«interpellare i medici», superare la «cospirazione del silenzio» o, d’altra
parte, un sanitario non fuggire o non far finta che la morte non sia vicina se non
comprendendo esattamente le definizioni e la portata clinica, etica ed umana
dei problemi in gioco? Troppe volte ai malati e ai propri familiari mancano gli
elementi fondamentali per comprendere quanto sta succedendo e per essere «lucidi,
responsabili e coscienti», e quindi pienamente «soggetti», in momenti così
drammatici. E gli stessi elementi troppe volte mancano anche ad alcuni di
coloro che nell’affrontare magari pubblicamente questi temi finiscono per
influenzare in modo distorto le coscienze altrui. Il rischio è che questi
ultimi sottraggano ai primi la possibilità di vivere sino alla fine e di
«lasciare a quelli che resteranno una parola di vita.
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