lunedì 14 gennaio 2013


Il pericolo della logofobia 2013-01-12 - L’Osservatore Romano - http://www.news.va/it



Nel dibattito — che spesso assume i toni dello scontro — tra chi nega e chi afferma che le coppie omosessuali abbiano i medesimi diritti riconosciuti alla famiglia, il vero pericolo è la logofobia, cioè la paura di argomentare serenamente intorno a uno snodo teorico e pratico molto rilevante, sia sul piano culturale sia su quello sociale. L’interpretazione della recente sentenza della Corte di Cassazione italiana, che conferma l’affido di un minore alla madre, anche se convivente con un’altra donna, ne è un esempio. Tra chi esulta, parlando di riconoscimento del-l’equiparazione tra coppie omosessuali e famiglia, e chi si scandalizza, pochi notano che si è semplicemente confermata la linea che, nei casi di separazione, tende ad affidare alla madre il compito di educare il figlio.

Persino la questione che un bambino possa svilupparsi in modo equilibrato anche all’interno di una coppia omosessuale è male impostata e non è il cuore del problema etico e giuridico. Di fatto un bambino può maturare in situazioni difficili e problematiche, cioè non di per sé auspicabili e programmabili: ci sono bambini allevati soltanto dalla madre o dal padre, per la morte di un genitore, o che hanno affrontato l’esperienza dell’orfanotrofio, o sono cresciuti in contesti poligamici. Ma nessuno ritiene che si debbano creare queste situazioni soltanto perché in alcuni casi non si provocano danni.

L’esito di un processo educativo è frutto di molti elementi. Il nodo teorico e pratico rappresentato dall’omosessualità è dato dal fatto che essa tende a negare, in nome di un orientamento, il valore e l’importanza della differenza tra il maschile e il femminile e la sua, per così dire, originaria dimensione antropologica. L’identità umana non è, del resto, determinata dall’orientamento in sé, perché la condizione umana è sempre polare, maschile e femminile. Una differenza che ha una fisionomia concreta, non soltanto psichica, o “mentale” o di ruoli sociali.

L’umano è il maschile e il femminile. La famiglia, con o senza figli, sperimenta nell’unione e nella relazione tra le differenze, la complessa articolazione del nostro essere persone umane. Per questo, e non soltanto per motivi biologici, la famiglia monogamica costituisce l’ideale luogo dove si deve imparare il significato delle relazioni umane, e rappresenta l’ambiente, non solo sociale, ma prima di tutto antropologico, in cui è possibile la migliore forma di crescita; e la sua crisi non è forse estranea al fatto che le persone con orientamento omosessuale vogliano costruire un legame di coppia sempre più simile a quello familiare, rivendicando un diritto ai figli e all’adozione che in realtà non esiste per nessuno, neanche per le coppie eterosessuali. I figli non sono cose o strumenti di realizzazione, sono persone.

Le stesse coppie omosessuali non possono negare questa differenza di genere, perché sono o maschili o femminili, cioè non eliminano la polarità come tale, ma la escludono dalla relazione con una scelta che, di fatto, è autoreferenziale. Se l’orientamento omosessuale come tale non è una scelta — come non lo è peraltro quello eterosessuale — e perciò non ha senso dare valutazioni sulle persone in base ai loro orientamenti, ed è ingiusta e immorale ogni forma discriminante, la scelta di una relazione è, viceversa, sempre un atto di libertà, che come tale assume una rilevanza sociale che va considerata.

Intorno a questo tema, le valutazioni morali, psicologiche, religiose, sociologiche, se non si trasformano in offese, sono legittimamente differenti, e devono avere diritto di cittadinanza e di piena espressione. Il dibattito che si sta sviluppando attualmente in Francia, dove alle coppie omosessuali sono garantiti diritti e doveri di natura patrimoniale e assistenziale, mette però in luce l’importanza di differenziare queste unioni dall’istituto familiare.

La peculiarità della genitorialità come espressione del matrimonio eterosessuale deve essere ribadita: non basta il desiderio o la volontà di avere figli a costituire un diritto, anzi, bisogna salvaguardare, come patto con le future generazioni, la custodia sociale e culturale di quell’unità nella differenza tra maschile e femminile che è dimensione costitutiva della condizione umana. Nati da uomo e da donna.

Se si esce dalla logica della polemica, e si rinuncia a creare nell’altro la figura del nemico da sconfiggere, questa evidenza antropologica potrà essere custodita in una società in cui il diritto di cittadinanza non discrimina, senza confondere e annullare le differenze.

Adriano Pessina, Direttore del Centro di Ateneo di Bioetica Università Cattolica del Sacro Cuore

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