Spaemann: senza fini che vita è? - 10 gennaio 2013 - http://www.avvenire.it
«Fini naturali. Storia &
riscoperta del pensiero teleologico» il saggio di Robert Spaemann edito da Ares
(pagine 464, euro 19,50) viene presentato oggi a Roma, nell’aula magna Giovanni
Paolo II della Pontificia Università della Santa Croce (piazza Sant’Apollinare,
49), alle ore 17. Sarà l’occasione per riflettere sull’intero percorso di
studio del grande filosofo tedesco. Apre l’incontro il cardinale Camillo Ruini,
cui seguiranno il rettore monsignor Luis Romera, i sociologi Sergio
Belardinelli e Leonardo Allodi, mentre le conclusioni saranno dello stesso
Spaemann.
«Nichilismo: manca il fine; manca
la risposta al perché». Il famoso frammento che Friedrich Nietzsche scriveva
sul finire dell’800 fotografava il disorientamento di fronte a un mondo in cui
venivano meno i valori tradizionali, tra cui, in filosofia, la caduta verticale
del finalismo o teleologia, per usare il termine introdotto oltre un secolo
prima da Christian Wolff. L’idea per cui nella comprensione del mondo abbiamo
bisogno non solo della dinamica causa-effetto, ma anche della domanda sul fine
per cui qualcosa viene fatto o è considerato buono. Nel ’900 si è intonato da
più parti il de profundis per la teleologia, con un azzardo che più passa il
tempo, più si rivela tale. A dimostrare come e perché sia avvenuto
l’oscuramento della teleologia, a partire dal tardo medioevo, e come sia
possibile oggi un suo recupero, aveva dedicato un corso universitario tra il
1976 e il 1977 Robert Spaemann. Da quelle lezioni, trascritte dall’allievo
Reinhard Löw e poi rielaborate, uscì nel 1981 il libro Die Frage Wozu (La
questione del perché), che in una nuova edizione del 2005 ha preso il titolo di
Natürliche Ziele (Fini naturali, che esce a giorni in libreria per le edizioni
Ares. Si tratta di un’opera poderosa per ampiezza dell’analisi storica, da
Platone all’epistemologia della scienza contemporanea, e per acribia polemica.
Sicuramente il capolavoro di Spaemann, oggi il maggior filosofo cattolico di
lingua tedesca, anche se la definizione non gli piace. Preferisce definirsi un
filosofo che contemporaneamente è cattolico.
Coetaneo del Papa, per la
cronaca, è nato da genitori convertiti : il padre, rimasto vedovo, fu anche
ordinato sacerdote.
Professore, cos’è in pillole la
teleologia?
«Con teleologia intendiamo
l’interpretazione dei processi dal punto di vista della loro finalità. Quando
uno entra in un ristorante e ci si chiede il perché, la risposta è: per
mangiare qualcosa. C’è naturalmente anche una spiegazione intermedia di tipo
materiale, di cui si è occupato già Socrate. Alla domanda rivolta a Socrate sul
perché non evade dal carcere, la sua riposta è: perché le mie gambe non si
muovono oltre. La risposta al perché non si muovono oltre è: perché io voglio
rimanere qui. In questo caso la spiegazione scientifica sarebbe invece la
descrizione della contrazione dei muscoli: solo la metà della realtà».
Allargare il nostro concetto di
ragione. È un richiamo che Benedetto XVI ha fatto diverse volte, in primis nel
discorso di Ratisbona del 2006. Il recupero della teleologia è una via per
questo obiettivo?
«Io non direi che la teleologia è
la via e l’allargamento della ragione è il fine. Piuttosto che questo
allargamento ha come conseguenza la riabilitazione della riflessione
teleologica. Alla domanda perché uno entra in un ristorante, non è solo
ragionevole rispondere perché le sue gambe lo portano lì, ma anche affermare
che ciò avviene perché c’è un fine: mangiare qualcosa. È ragionevole prendere
atto di ciò e del fatto che, limitandosi alla causalità, non si ha una
descrizione completa della reale».
Quali sono oggi gli ostacoli per
questa riabilitazione?
«Dietro alla negazione della
teleologia c’è stato e c’è ancora l’interesse al dominio della natura. La
riflessione teleologica permette di capire i fenomeni, l’osservazione e lo
studio della causalità dei fenomeni conferisce invece il potere di manipolarli.
Francis Bacon l’ha espresso in modo efficace: “L’osservazione dei processi
naturali sotto l’aspetto del loro orientamento a un fine è sterile, è come una
giovane vergine votata a Dio: essa non genera nulla”. O si pensi a Thomas
Hobbes, secondo cui conoscere una cosa significa “immaginare cosa possiamo
farne, una volta che la possediamo”. Oggi comunque la riscoperta della
teleologia è già in atto. I biologi hanno cercato a lungo di farne a meno, ma
non ce l’hanno fatta. Così hanno introdotto un altro concetto, la teleonomia,
un surrogato della teleologia, con cui si indicano processi che si svolgono
come se avessero un fine, ma che in realtà obbediscono solo a una causalità
meccanica. Per il biologo la teleologia, ha scritto John B.S. Haldane, “è come
un’amante, non può vivere senza di lei, ma non vuole essere visto in pubblico
con lei”».
Sempre sul versante della
biologia, ha fatto rumore negli ultimi anni la critica alla all’evoluzionismo
di matrice darwiniana in nome di un “intelligent design”. Considera anche
questo un contributo al recupero della teleologia?
«Penso che la teoria
dell’intelligent design – che parla di un progettista al di fuori del mondo –
abbia messo in luce una paura che riguarda anche chi è ostile alla teleologia:
la paura di Dio. La fede in Dio non è il presupposto della conoscenza di
processi teleologici – che può avvenire con mezzi di ragione naturali – semmai
è la sua conseguenza. Quando si ha paura di questa conseguenza, cioè di Dio, ci
si rifugia spesso in soluzioni fantastiche e irragionevoli. È comunque una
paura infondata. Il creatore risiede al di fuori dei processi della creazione.
È come se dovessimo analizzare un film sulle vicende dell’umanità. All’origine
del film deve esserci sicuramente un proiettore: senza di lui, scompare anche
il film. Ma il proiettore non “entra” nelle varie scene. Chi guarda il film può
riconoscere dei validi motivi per ipotizzare che ci sia un proiettore alla sua
origine, ma non vi s’imbatte direttamente. Così come il fisico non si imbatte
direttamente in Dio. Solamente quando parla del Big Bang, lo scienziato si
trova di fronte un muro: su cosa ci sia oltre non può dire nulla. Il credente
può invece fornire una spiegazione, il che fa dire che le ambizioni della
ragione vengono rafforzate dal collegamento con la fede».
Perché la lingua, come lei
sostiene in “Fini Naturali”, è un baluardo della teleologia?
«Perché essa è il medium nel
quale appare primariamente il significato e nel quale i fatti, in modo
irriducibile, non si presentano semplicemente come tali, ma significano
qualcosa, stanno come simboli per qualcosa che presuppone un destinatario,
qualcuno in grado di comprenderli. Ogni biologo che scrive un libro, non può
spiegare la scrittura del libro in modo causale-meccanico. Discutendo una volta
con un biologo a Tubinga, dopo la sua relazione ho detto che a noi non
interessava capire i processi neuronali sottostanti il suo intervento, ma
capire se quello che aveva detto era giusto o no. La lingua non può essere
abolita e il suo carattere teleologico neppure. Nietzsche lo aveva compreso e
aveva ammesso che, quando un uomo si impegola nel parlare e nell’argomentare, è
spacciato: perché “la lingua contiene, fossilizzati, gli errori fondamentali
della ragione”».
Andrea Galli
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