mercoledì 19 gennaio 2011

Guardare la realtà tutta intera

Il T.A.R. della Lombardia, con una sentenza del 29 dicembre scorso, ha annullato le linee guida di attuazione in materia di aborto, adottate nel gennaio 2008.
Una delle questioni oggetto del giudizio riguarda l'interruzione della gravidanza quando la fase gestazionale sia in fase avanzata: l'art. 6 della legge 194/1978, infatti, dispone:

L'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, puo’ essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

L'art. 7 della stessa legge, nell'ultimo comma, prescrive che:

Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.

In sostanza, quando “sussiste la possibilità di vita autonoma del feto” l'aborto non può più essere praticato, salvo che la madre non sia in pericolo di vita.
Va rimarcato che la legge si esprime in termini di “possibilità” e non di certezza. In questo modo, quindi, la 194, che è pur sempre una legge omicida, prevedendo la facoltà di sopprimere una persona, manifesta la chiara volontà di tutelare con maggior forza la vita del feto, quando la fase gestazionale sia particolarmente avanzata e questo abbia la possibilità di sopravvivere autonomamente.
Per accertare tale fatto, la legge evidentemente non poteva fissare alcun termine preciso ma, necessariamente, ha dovuto rimettersi alle valutazioni degli operatori e alle tecniche sempre più progredite di assistenza neonatale.
E' proprio alla luce dei dati scientifici oggi disposizione che le linee guida della regione Lombardia avevano ritenuto che «l'interruzione di gravidanza di cui all'art. 6, lettera b, non debba essere effettuata oltre la 22ª settimana +3 giorni, ad eccezione dei casi in cui non sussiste la possibilità di vita autonoma del feto…». Si osservi che la prescrizione è del tutto ragionevole dato che quegli stessi limiti erano applicati, senza contestazioni, in un codice di autoregolamentazione della Clinica Mangiagalli di Milano del 2004. Negli Stati Uniti, nel Nebraska, l'aborto è stato vietato dopo le 20 settimane di gravidanza.
In due parole, la possibilità di sopravvivenza del feto oltre le 22 settimane deve ormai ritenersi un'evidenza scientifica acquisita, salvo casi di eccezione da accertare caso per caso.
Il Tar Lombardia, tuttavia, ha ritenuto tale direttiva non conforme alla legge 194/1978:

Risulta pertanto chiaro il contrasto fra la disposizione statale e quella contenuta nelle linee guida regionali le quali, individuando un termine oltre il quale si deve presumere, salvo prova contraria, che il feto possa avere vita autonoma, contravvengono alla chiara decisione del legislatore nazionale di non interferire in un giudizio volutamente riservato agli operatori, i quali, come detto, debbono poter effettuare le proprie valutazioni esclusivamente sulla base delle risultanze degli accertamenti svolti caso per caso e sulle base del livello delle acquisizioni scientifiche e sperimentali raggiunto nel momento in cui vengono formulate le valutazioni stesse.

Si possono osservare fondamentalmente due cose: innanzitutto, il limite delle 22 settimane +3 giorni non è dovuto ad una presunzione ma all'evidenza scientifica: sono proprio quelle acquisizioni specifiche e sperimentali invocate dal TAR che, oggi, impongono di ammettere come fatto la possibilità di sopravvivenza del feto oltre le 22 settimane di gestazione. In secondo luogo, le linee guida non escludono per nulla l'accertamento delle concrete prospettive di sopravvivenza autonoma: è lo stesso atto di indirizzo, infatti, a prevedere il caso di eccezione in cui, nonostante il superamento del limite delle 22 settimane +3 giorni, lo sviluppo di quel particolare feto non consenta possibilità di vita autonoma.

In conclusione, ciò che è soprattutto mancata ai giudici, è la capacità di guardare la realtà tutta intera, con semplicità e senza pregiudizi.
E' un problema di moralità, di desiderio di conoscere le cose come sono realmente. Senza di questo per il bambino non ancora nato e per noi tutti, non c'è scampo.

Avv. Giorgio Razeto

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