lunedì 31 gennaio 2011

L’AIDS E IL PRESERVATIVO di mons. Michel Schooyans (ZENIT.org)

ROMA, domenica, 23 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Certamente molte persone sono state contagiate con il virus dell’AIDS senza avere la minima responsabilità morale personale, attraverso le trasfusioni di sangue, gli errori medici o i contatti accidentali. Anche il personale infermieristico rischia il contagio, prendendosi cura dei pazienti sieropositivi.

Non tratteremo tali casi in questa sede. Esamineremo invece le dichiarazioni esternate negli ultimi anni da diverse personalità di alto profilo del mondo accademico ed ecclesiastico, soprattutto moralisti e pastori. Li chiameremo dignitari, evitando di citarne i nomi per non personalizzare il dibattito e per concentrare l’attenzione sull’argomentazione morale [1].

Disordine e confusione

Poiché queste dichiarazioni riguardano l’uso del preservativo al fine di non contrarre l’AIDS, esse producono spesso profonda confusione nell’opinione pubblica e nella Chiesa. Esse sono spesso accompagnate da sorprendenti commenti sulla persona del Papa e sulla sua funzione, e sull’autorità della Chiesa. In tale contesto vengono anche reiterate le consuete lamentele sulla morale sessuale, sul celibato, l’omosessualità, l’ordinazione delle donne, la Comunione ai divorziati e agli abortisti, ecc. Un'occasione da sfruttare per dare risonanza globale a queste tematiche.

Questi dignitari si esprimono, in modo piuttosto compiaciuto, attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Si dichiarano favorevoli all’uso del condom per evitare il rischio di contrarre l’AIDS. Secondo loro, la Chiesa dovrebbe mutare la propria posizione in materia.

Queste dichiarazioni provocano grande confusione nella mente della gente. Confondono i fedeli, dividono i preti, indispettiscono l’episcopato, screditano il collegio cardinalizio, incrinano il Magistero della Chiesa e puntano frontalmente al Santo Padre. Altri dignitari, ora in pensione o deceduti, avevano già guidato questo tipo di movimento. Oggi, queste osservazioni provocano spesso costernazione, perché la gente si aspetta maggiore prudenza e rigore morale, teologico e comportamentale da parte di questi dignitari che – influenzati da idee di moda in certi ambienti – fanno di tutto per “giustificare” l’uso del preservativo mettendo insieme i soliti trucchetti del “danno minore” o del “doppio effetto” con tono da venditori.

Uno di questi dignitari è arrivato al punto di considerare l’uso del condom come un obbligo morale in base al quinto comandamento. In questo senso si sostiene che se le persone infette dal virus si rifiutano di praticare l’astinenza, dovranno proteggere il loro partner e che l’unico modo per farlo, in questo caso, sia attraverso il preservativo.

Questo tipo di osservazioni sono sufficienti per lasciare la gente perplessa e rivelano una conoscenza incompleta e tendenziosa della morale più naturale e in particolare della morale cristiana. Il modo di presentare le cose è quanto meno sorprendente.

Un problema di morale naturale

Alcune considerazioni rassicuranti ma false
Le argomentazioni di questi dignitari, relative all’uso del condom, sono sorprendentemente superficiali. Queste persone dovrebbero piuttosto attingere agli autorevoli studi scientifici e clinici, evitando di rilanciare e dare credito a chiacchiere da tempo confutate in qualunque rivista di consumatori.

Come si può non aver preso atto che l’effetto di contenimento che il condom dovrebbe esercitare è in realtà ampiamente illusorio? È così in quanto il preservativo è meccanicamente fragile, incoraggia e aumenta il numero dei partner e la varietà delle esperienze sessuali. Per questi motivi esso aumenta i rischi anziché ridurli.

L’unica efficace forma di prevenzione risulta essere quella della rinuncia ai comportamenti rischiosi e quella della fedeltà.

Da questo punto di vista, la qualificazione morale dell’uso del preservativo è un problema di onestà scientifica e di morale naturale. La Chiesa ha non solo il diritto, ma anche il dovere di pronunciarsi su questo argomento.

Inefficacia a cui consegue la morte
Le esternazioni di questi dignitari mancano di citare recenti studi di innegabile valore scientifico, come quello del dottor Jacques Suaudeau[2]. Seppure ignorassero questi studi recenti, potrebbero almeno tenere a mente i moniti precedenti, espressi dalle più elevate autorità scientifiche. Per esempio, nel 1996, si leggeva in un rapporto del professor Henri Lestradet, dell’Accademia nazionale della medicina (Parigi) [3]:

“È opportuno [...] sottolineare che il condom è stato inizialmente considerato come un mezzo di contraccezione. Tuttavia [...] il tasso di ‘fallimento’ è generalmente collocato tra il 5% e il 12%, per coppia, per anno di utilizzo.”

“A priori [...] con il virus dell’HIV che è 500 volte più piccolo dello sperma, è difficile pensare ad un tasso inferiore di fallimento. In ogni caso c’è un’enorme differenza tra queste due situazioni. Se il condom non è totalmente efficace come mezzo contraccettivo, la conseguenza di tale fallimento è lo sviluppo della vita, mentre in caso di contrazione dell’HIV è la morte in ogni caso”. [4]

Poi, considerando il caso dei sieropositivi, lo stesso rapporto osserva che: “L’unico comportamento responsabile di un uomo sieropositivo è l’effettiva astensione dai rapporti sessuali, sia quelli protetti che quelli non. [...] Se una coppia prevede di instaurare una relazione stabile, dovrebbe seguire queste raccomandazioni: che ciascuno si sottoponga ad analisi cliniche, ripetendole dopo tre mesi, praticando in questo periodo l’astinenza da ogni rapporto sessuale (con o senza condom), per poi impegnarsi nella fedeltà reciproca. [5]

I dignitari, che sono gli autori delle considerazioni oggetto del nostro esame, dovrebbero tenere conto della drammatica conclusione che si trae dallo studio che stiamo citando:

“L’asserzione – proclamata centinaia di volte da operatori sanitari, dal Conseil supérieur per l’AIDS, e da associazioni per la lotta all’AIDS – della piena sicurezza assicurata in ogni circostanza dall’uso del preservativo, è senza alcun dubbio alla base di molte infezioni di cui ancora oggi ci si rifiuta di ricercare le cause”. [6]

Alcune campagne internazionali vengono attuate in società “esposte”, inondandole di preservativi. Le autorità religiose vengono invitate a dare il loro patrocinio. Ebbene, nonostante queste campagne, e probabilmente a causa di queste campagne, si osserva regolarmente una progressione della pandemia.

Nel luglio del 2004, una delle più eminenti autorità mondiali sull’AIDS, il dottore belga Jean-Louis Lamboray, ha lasciato l’UNAIDS (Il programma delle Nazioni Unite contro l’AIDS). Come motivo del suo abbandono ha indicato “il fallimento delle politiche nel porre un freno alla diffusione di questa malattia”. Queste politiche hanno fallito perché “l’UNAIDS ha dimenticato che le vere misure preventive vengono decise nelle case della gente e non negli uffici degli esperti”. [7]

Prima di emanare dichiarazioni perentorie, i dignitari dovrebbero ricordare ciò che un altro dottore ha detto; uno a cui i mezzi di comunicazione hanno dato ampia risonanza e che certamente non può essere sospettato di simpatia verso le posizioni della Chiesa. Ecco ciò che il defunto professor Leon Schwartzenberg ha scritto nel 1989:

“Sono certamente soprattutto i giovani a diffondere l’AIDS; sono completamente ignari della tragedia dell’AIDS, che è per loro una malattia delle persone anziane. Questa convinzione è rafforzata dall’atteggiamento della classe politica, molto più anziana di loro, che è responsabile di tale propaganda: la pubblicità ufficiale del preservativo sembra essere creata da chi non lo usa mai, per chi non vuole usarlo”. [8]

Gli ascoltatori, i lettori e chi guarda la televisione, quindi, non possono prendere per buone le considerazioni imprudenti di questi dignitari, senza rischiare – come loro – di vedersi accusati presto o tardi di essere “alla radice di molte infezioni”.
[La seconda parte dell'articolo verrà pubblicata domenica 30 gennaio]


1) Questo testo è un estratto di Le terrorisme à visage humain, di Michel Schooyans et Anne-Marie Libert, seconda edizione, Parigi, F.-X. de Guibert Publisher, 2008, pp. 173-179.
2) Dr Jacques SUAUDEAU, articolo “Sexo seguro” in Lexicon, Madrid, Ed. Palabra, 2004; pp.1041-1061. L’edizione italiana è stata pubblicata a Bologna, Ed. EDB, 2003.
3) Henri LESTRADET., AIDS, Propagation and Prevention. Rapporti della Commission V11 della National Academy of Medicine, con commenti, Parigi, Editions de Paris, 1996.
4) ibid, p.42.
5) ibid, p.46.
6) ibid, pp.46 e ss.
7) ACI comunicato del 6 luglio 2004.
8) Léon Schwartzenberg, Interview in La Libre Belgique (Brussels), 13 marzo 1989, p.2.

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*Mons. Michel Schooyans, filosofo e teologo, è membro della Pontificia Accademia delle scienze sociali e della Pontificia Accademia per la vita, consultore del Pontificio Consiglio per la famiglia e membro dell’Accademia messicana di bioetica. Dopo aver insegnato per dieci anni all’Università cattolica di San Paolo, in Brasile, è andato in pensione come professore di filosofia politica ed etica dei problemi demografici presso l’Università cattolica di Louvain, in Belgio. È autore di circa trenta libri.


L'AIDS E IL PRESERVATIVO (PARTE II) di mons. Michel Schooyans

ROMA, domenica, 30 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la seconda parte dell'articolo “L'Aids e il preservativo”. La prima parte è stata pubblicata domenica 23 gennaio.
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Un problema di morale cristiana

Inoltre, è specioso asserire che la Chiesa non abbia un insegnamento ufficiale sul problema dell’AIDS e sul preservativo. Sebbene il Papa sistematicamente evita di chiamarlo per nome, i problemi morali posti dal condom sono affrontati in tutti i grandi insegnamenti riguardanti i rapporti coniugali e le finalità del matrimonio.

Quando si considera l’AIDS e il condom alla luce della morale cristiana occorre tenere a mente alcuni punti essenziali: l’atto carnale dovrebbe aver luogo all’interno di un matrimonio monogamo tra un uomo e una donna; la fedeltà coniugale è il miglior rimedio contro le malattie sessualmente trasmesse come l’AIDS; l’unione coniugale dovrebbe essere aperta alla vita, a cui si deve aggiungere il rispetto della vita degli altri.

Sposi o partner?
Ne consegue che la Chiesa non predica una morale sessuale dei “partner”.
Essa propone invece una morale coniugale e familiare. Essa si rivolge agli “sposi”, coppie unite sacramentalmente in un matrimonio che è monogamo e eterosessuale. Considerazioni sulla questione del condom ventilate dai dignitari riguardano i “partner”, sia che essi intrattengano rapporti pre o extra matrimoniali, intermittenti o persistenti, eterosessuali, omosessuali, lesbici, sodomitici, ecc. Non si vede perché la Chiesa, e tanto meno i dignitari titolari del Magistero, debbano – a costo di rischiare lo scandalo – andare in soccorso del vagabondaggio sessuale e rendersi responsabili del peccato di chi, in molti casi, non si interessa minimamente, né in pratica, né spesso in teoria, della morale cristiana.
“Peccate, miei fratelli, ma in sicurezza!” Dopo il “sesso sicuro”, abbiamo ora il “peccato sicuro”!

La Chiesa e i suoi dignitari, quindi, non hanno titolo a spiegare cosa fare per peccare agiatamente. Abuserebbero della loro autorità se si adoperassero per fornire prodighi consigli su come arrivare al divorzio, poiché la Chiesa considera il divorzio come un male. Sarebbe come confermare il peccatore nel suo peccato, mostrandogli come andare avanti evitando le conseguenze indesiderate.

Da qui la domanda: è ammissibile che i dignitari, che dovrebbero essere i custodi della dottrina, oscurino le esigenze della morale naturale e della morale evangelica, e non lancino l’appello alla conversione dei comportamenti?

È inammissibile e irresponsabile che i dignitari diano il loro avallo all’idea del “sesso sicuro”, usata per rassicurare gli utilizzatori del condom, quando è noto che questa espressione è una bugia e porta alla rovina. Questi illustri dignitari dovrebbero quindi chiedersi se non stanno solo incitando le persone a schernire il sesto comandamento di Dio, ma anche a farsi beffe del quinto comandamento “non uccidere”. Il falso senso di sicurezza offerto dal condom, lungi dal ridurre i rischi di contagio, li aumenta. L’accusa di non rispettare il quinto comandamento si ritorce contro i partner che non fanno uso del condom.

L’argomentazione usata nel tentativo di “giustificare” l’uso “profilattico” del condom quindi si riduce a nulla, sia in relazione alla morale naturale, che alla morale cristiana.

Sarebbe forse più semplice dire che, se gli sposi si amano veramente e se uno di loro si prende il colera, la peste bubbonica o la tubercolosi polmonare, questi dovrebbero astenersi dai contatti tra loro per evitare il contagio.

Lo scopo: un grande rovesciamento

Un errore di metodo

All’inizio di quest’analisi abbiamo indicato che i dignitari favorevoli al condom spesso legano la loro arringa difensiva a cause diverse da quella di “partner” sessuali lungimiranti e organizzati. Infatti, si cavalca questo argomento per poi discutere sull’intero insegnamento della Chiesa:
sulla sessualità umana, sul matrimonio, la famiglia, la società e sulla Chiesa stessa.

Questo spiega in parte la quasi totale carenza di interesse di questi dignitari nelle conclusioni scientifiche e nelle idee fondamentali della morale naturale. E sono proprio queste conclusioni e idee fondamentali che questi dignitari dovrebbero tenere conto anzitutto nelle loro considerazioni sulla morale cristiana.

A causa di questo errore metodologico – sia esso volontario o meno – i dignitari aprono la via ad un rovesciamento della morale cristiana. Essi puntano persino a rovesciare il dogma cristiano, in quanto si riservano il diritto, nelle loro opinioni, di fare appello all’intera istituzione della Chiesa per una riforma che avalli la loro morale e il loro dogma. Essi intendono quindi partecipare, al loro livello, a questa nuova rivoluzione culturale.

Ciò nonostante, poiché questi dignitari hanno commesso, sin dall’inizio, un errore metodologico, trascurando le idee fondamentali ed essenziali del problema, inevitabilmente camminano su un terreno scivoloso. Se si parte da premesse erronee, si può solo giungere a conclusioni errate. È facile vedere dove le idee errate stanno conducendo questi dignitari. Il loro approdo può essere sintetizzato in tre sofismi, che possono essere demoliti da qualunque scolaretto.

Tre sofismi
Primo sofisma:
Maggiore : Non usare il condom favorisce l’AIDS.
Minore : Favorire l’AIDS significa favorire la morte.
Conclusione : Non usare il condom significa quindi favorire la morte.
Questo ragionamento distorto si basa sull’idea che per proteggersi occorre usare il preservativo. I partner possono essere molteplici. La fedeltà non è neanche presa in considerazione. L’impulso sessuale è considerato irresistibile e la fedeltà coniugale impossibile. L’unico modo per non contrarre l’AIDS diventa quindi quello di usare il condom.

Secondo sofisma:
Maggiore : Il condom è l’unica protezione contro l’AIDS.
Minore : La Chiesa è contraria al condom.
Conclusione : La Chiesa quindi favorisce l’AIDS.
Questo pseudo sillogismo si basa sull’errata asserzione della premessa maggiore, che il condom sia l’unica protezione possibile contro l’AIDS. Si dà per scontata l’affermazione che si vuole dimostrare; siamo in presenza di una petitio principii: un ragionamento fallace, nel quale le premesse sono presentate come indiscutibili e a cui conseguono logiche conclusioni.
Si assume come vero ciò che si vuole dimostrare, ovvero che il condom costituisce l’unica protezione contro l’AIDS.

Un caso di polisillogismo
Ecco infine un esempio di pseudo sillogismo, un sofisticato sillogismo di cui i dignitari dovrebbero rendersi conto.
Maggiore : La Chiesa è contraria al condom; Minore : Il condom previene gravidanze indesiderate; Conclusione/Premessa maggiore : La Chiesa quindi favorisce le gravidanze indesiderate; Minore : Le gravidanze indesiderate portano all’aborto; Conclusione : La Chiesa quindi favorisce l’aborto.

In definitiva, il risveglio della morale e dell’ecclesiologia cristiana non può aspettarsi nulla dal perfido sfruttamento dei malati e della loro morte.

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* Monsignor Michel Schooyans, filosofo e teologo, è membro della Pontificia Accademia delle scienze sociali e della Pontificia Accademia per la vita, consultore del Pontificio Consiglio per la famiglia e membro dell’Accademia messicana di bioetica. Dopo aver insegnato per dieci anni all’Università cattolica di San Paolo, in Brasile, è andato in pensione come professore di filosofia politica e etica dei problemi demografici presso l’Università cattolica di Louvain, in Belgio. È autore di circa trenta libri.

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