giovedì 20 gennaio 2011

La sfida educativa - Giovani e bioetica, quanta ignoranza di Tommaso Scandroglio, Avvenire, 20 gennaio 2011

Una ricerca dell’Università Cattolica mette in evidenza la diffusa impreparazione sui grandi snodi della vita umana da parte dei ragazzi che si dicono credenti, vittime dei pregiudizi diffusi dal pensiero dominante su aborto, eutanasia, contraccezione

Prima capire poi agire. È questo lo spirito che ha animato l’Associazione «Difendere la vita con Maria», realtà laicale pro-life , nel commissionare all’Università Cattolica di Milano e alla Fondazione Esae un’indagine dal titolo «Il valore della vita nei giovani» su cosa pensano questi ultimi in merito a temi quali l’aborto, l’eutanasia, la contraccezione, la fecondazione artificiale, le convivenze, la famiglia, l’omosessualità e molti altri.

L’inchiesta, coordinata da Luca Pesenti, si è svolta tra luglio e ottobre del 2010 e ha intercettato opinioni e umori di 350 giovani tra i 14 e 25 anni, residenti nel Novarese. Venerdì scorso presso la Curia di Novara sono stati presentati i dati della ricerca in una conferenza stampa in cui sono intervenuti tra gli altri anche don Pierdavide Guenzi, responsabile diocesano della pastorale della Sanità e don Stefano Rocchetti, direttore del Centro diocesano giovanile.

Tra i molti spunti di riflessione vogliamo fissare l’attenzione sulla relazione tra appartenenza alla Chiesa cattolica e giudizi espressi in relazione a temi eticamente sensibili. A questo proposito è emerso con piena evidenza che chi sposa nella propria vita una prospettiva di fede ha le idee sicuramente più chiare sui problemi di bioetica rispetto a chi, ad esempio, si dichiara ateo. Anzi l’orientamento religioso è il fattore decisivo su questi argomenti, più che l’età, il sesso, il grado di istruzione e la condizione di origine della famiglia che si ha alle spalle.

In particolare tiene l’istituto della famiglia: più del 74% dei cattolici praticanti regolari pensa che la famiglia sia quella composta da mamma, papà e figli e rigetta il «matrimonio» omosessuale (quasi l’80%). Giudicano al 94% come inaccettabile o molto grave l’uso di droghe pesanti (mentre sono indulgenti per quelle cosiddette leggere). Ma non mancano le note dolenti.

Quasi una ragazza su tre non escluderebbe di abortire; più di un maschio su tre potrebbe consigliare di abortire alla fidanzata; per un quarto dei credenti non è grave utilizzare la «pillola del giorno dopo»; quasi il 40% dice che non è per niente grave abortire per salvaguardare la salute della madre, uno su tre a motivo di violenza sessuale; circa un terzo dice che l’aborto è un diritto; stessa percentuale raccoglie il consenso verso pratiche eutanasiche; più del 70% considera leciti i metodi anticoncezionali; oltre la metà dice sì alla fecondazione artificiale.
La lettura di questi dati impietosi può ingenerare due pericoli opposti. Il primo è lo scoraggiamento, ma faremmo male a cadere nello sconforto, perché la Chiesa ha mezzi, risorse, strutture e persone per arginare e rovesciare a queste derive iper-libertarie. La ricerca è nata da un’iniziativa sposata dalla Curia di Novara ed è diventata un vero e proprio progetto pastorale denominato «100 piazze per la vita» in cui più di un centinaio di giovani, debitamente preparati, sono diventati intervistatori. Giovani cattolici che incontravano per strada, nei bar, sui laghi del Novarese altri loro coetanei per confrontarsi su questioni scottanti.
  
Ma vi è un altro pericolo: far finta di nulla e cedere alla tentazione di minimizzare. Il campanello d’allarme che risuona proprio all’inizio del decennio che la Chiesa italiana dedica alla sfida educativa fa comprendere che occorre compiere almeno due passi. Il primo è rendersi conto del problema: il paziente è serio ma non inguaribile, però se non gli viene detto con franchezza che è malato come farà a curarsi? Il secondo passo è correre ai ripari. Molte sono le soluzioni, ma la prima è la formazione. È indispensabile alfabetizzare – perché è di questo che si tratta – i ragazzi sui fondamenti della morale naturale. In buona sostanza la pastorale dell’«esperienza» deve riempirsi di contenuti chiari e limpidi, così come è chiaro è sempre stato il magistero su questi temi. 

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