Il filosofo Hadjadj: «se si toglie Cristo, tutto il resto è noia» - 5 maggio, 2011 – da http://www.uccronline.it
Proponiamo un altro brillante intervento del filosofo francese Fabrice Hadjadj, scrittore e docente all’Università di Tolone ex ateo e convertitosi al cattolicesimo nel 1998 (cfr Ultimissima 3/3/11). Nel 2009 il matematico Laurent Lafforgue (medaglia Fields 2002) ha detto di lui: «Fabrice Hadjadj scrive e insegna molto, ma non ho mai letto o sentito una frase da lui che mi abbia dato la sensazione di essere stato scritta o parlata nel vuoto. Le sue pagine spesso mi stupiscono, mi prendono in contropiede e nonostante questo, nel leggerli, ne riconosco l’esattezza e la verità. Nessuno scrittore contemporaneo di lingua francese mi interessa più di lui» (cfr. Que peut une politique de la langue?).
PERDERE LA FEDE E’ PERDERE LA CULTURA. Il filosofo ha commentato in un’intervista per Avvenire le parole che Benedetto XVI ha pronunciato durante l’ultimo Cortile dei gentili svoltosi in Francia e a cui ha partecipato lui stesso (cfr. Ultimissima 2/4/11). Nell’intervista si è soffermato particolarmente sulla situazione dell’uomo europeo rispetto alla fede cristiana: «Abbiamo l’abitudine di smembrare. Se noi europei non vogliamo più conoscere la fede in Gesù Cristo, questo è perché siamo annoiati dalla nostra propria storia e cultura. La perdita della fede cristiana non è la semplice perdita di un culto, ma anche di una cultura. Non solo lo smarrimento dell’Eterno, ma pure la dimenticanza della storia. Questo significa che abbiamo svuotato della loro profondità le nostre ricchezze artistiche: Giotto, Rubens, il gregoriano, Mozart. E abbiamo svilito le nostre idee etiche: la dignità della persona, il rispetto della libertà o la bontà della carne».
IL TENTATIVO LAICISTA. La cultura laica ha tentato (e sta ancora tentando) di costruire un mondo emancipato da Cristo, attingendo però inevitabilmente dalla radice cristiana della sua morale: «La modernità ha trasformato alcuni aspetti della fede cristiana in «valori» e ha messo questi «valori», separati da Cristo, come in un vaso, proprio come dei fiori recisi. Grazie a questo isolamento, tali fiori possono sembrare, per un attimo, più belli, poi iniziano a morire. Così, il materialismo storico e il progressismo hanno suscitato, all’inizio, un certo entusiasmo. Ma ben presto sono collassati nell’esperienza totalitaria e in un senso ristretto, tipicamente postmoderno, della finitezza dell’uomo. Nel suo umanismo più rivoluzionario l’Europa ha diffuso una speranza mondana, sostituto della speranza cristiana. Ora che tale speranza è morta, il nostro Continente non conosce altro che la disperazione, che cerca di fuggire gettandosi a peso morto nel divertimento dello spettacolo e nei sogni della tecnologia».
LA FEDE NON E’ UN’AFFARE PRIVATO. L’uomo precipita così nell’incredulità, nel dubbio e nello scetticismo quando vive la fede come «un campo separato dell’esistenza, qualcosa che avrebbe a che fare con la «spiritualità», la «trascendenza », la «mistica». Ora, la fede non è un qualcosa «a fianco » della vita quotidiana, un’attività della domenica, un’interiorità vaga di cui ci si prende cura ogni tanto in cappella. Essa è ciò che ci mette in contatto con la sorgente di tutto ciò che esiste. In fondo, è in gioco l’unità dell’uomo. La fatica e la noia d’oggi provengono dalla separazione di queste realtà inseparabili».
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