mercoledì 24 novembre 2010

Avvenire.it, 24 novembre 2010 - Etica, intelligenza, legge. E la scala della vita - Per non ritrovarsi solo con l'ultimo piolo di Franco Vaccari

Ci sono azioni che sono proibite. È la legge che lo impone. Tutte le altre, per simmetria, sono permesse. Ma la vita umana si snoda con riferimenti più ampi della coppia "lecito-proibito" e non è definibile unicamente con l’oggettività della legge. Esistono registri diversi, più soggettivi, certo, ma non meno sostanziali. Ci sono azioni che sono scorrette: è l’etica che lo detta. Ce ne sono di inopportune: è l’intelligenza che lo giudica (declinando l’intelligenza fino a una delle sue propaggini più delicate: l’astuzia). Ci sono addirittura azioni che sono ineleganti: è il buon gusto che le sconsiglia. Per tutte non è il consenso che ne rovescia il verdetto. Ci sono infatti azioni che sono addirittura avversate da tutti eppure, fondandosi nella coscienza, a prescindere dal rapporto costi-ricavi, arrivano fino alla richiesta massima della vita.

L’indicibile ricchezza dell’esperienza umana progredisce sia col valore pedagogico-coercitivo della legge che con i comportamenti condivisi. Codici e regole implicite si mescolano e si diversificano, cristallizzandosi in forme istituzionali, fino ad assottigliarsi in sfumature minime, impercettibili. La comunicazione sociale nel suo continuo cambiamento fissa queste istituzioni che utilizzano codici orali non meno forti di quelli scritti.

La legge scritta governa le società, ma se il vivere civile fosse affidato solo ad essa saremmo alla rovina. D’altra parte il sapiente dosaggio tra ciò che era ritenuto lecito e ciò che di trasgressivo era bonariamente accettato in nome dell’humanitas, ormai si è smarrito in un soggettivismo esasperato, preoccupato solo del soddisfacimento del proprio piacere.

L’agire umano si snoda su tutti questi registri e il progresso culturale e spirituale sta proprio nel praticarli riducendone le contraddizioni, riportandoli incessantemente in una faticosa coerenza. Se questo non accade più è come se una persona scellerata, iniziando a salire su una scala a pioli e sentendo che il primo è fragile al punto di rompersi, invece di verificarne il grado di usura per aggiustarlo, proseguisse salendo al piolo successivo e, se anche questo scricchiolasse, lo saltasse per quello dopo e così via fino all’ultimo. Arrivato in cima, all’ultimo piolo, consapevole di non avere altri appoggi, vedrebbe l’inesorabile prossima caduta se, disgraziatamente, decidesse di voltarsi in giù. Una società che non dà peso all’insieme graduale di queste regole della vita civile, è destinata a tempi difficili.

Del resto una tale scelleratezza è coerente con la pratica di un materialismo quotidiano che ottunde la capacità di trattare dimensioni immateriali, impalpabili. Perché onestà, intelligenza, cultura, sensibilità sono risorse a disposizione della vita civile solo se questa si basa su qualcosa che è sottile e invisibile: il rispetto e la fiducia. Fides, dicevano i nostri padri. E con un’unica parola – che nel tempo si è diversificata in fede e fiducia – riassumevano l’impalpabile forza dell’esistenza umana, intesa sia nella sua dimensione verticale di ricerca di senso, sia in quella orizzontale di costruzione della società o di dissoluzione della stessa.

Nessuno può stare a lungo sull’ultimo piolo avendo distrutto tutti quelli precedenti perché i due assi laterali della scala cederanno anche se poggiati su una base che un tempo è stata sicura. La legge non sostituisce la fiducia che invece ne è l’anima: l’invisibile è sempre il prerequisito, il fondamento. Sarà perché mio padre mi ha educato a credere che "una stretta di mano vale più di cento contratti firmati", ma non credo sia intelligente e neppure furbo dare le dimissioni da questo atteggiamento. Stare saldi in questa convinzione è l’anima della nuova resistenza alla banalità e alla menzogna di questo nostro tempo.

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