giovedì 11 novembre 2010

C’è fame di cure, non di morte, di Augusto Caraceni primario di Cure palliative Istituto Nazionale Tumori di Milano - «Chi mette in onda persone malate con la possibilità che esse colpiscano dolorosamente altri malati si assume una responsabilità enorme» - Avvenire, 11 novembre 2010

Ho visto lo spot online e ho let to i resoconti della conferenza stampa nel la quale ho trovato una frase importante dell’onorevole Marco Cappato: «Eutanasia, questa parola che per noi è parte integrante del diritto alla salute». Che dire dal punto di vista di chi si trova in prima linea ad ascoltare i pazienti che hanno malattie gravi , croniche e inguaribili? I disturbi fisici, psicologici e i vissuti esistenziali di chi si avvicina al termine della vita non sono un argomento facile. Nella nostra comunicazione pubblica, nella frenetica consumazione delle informazioni quotidiane infatti non si parla mai in modo decente, e ora invece abbiamo la dichiarazione di un attore truccato da malato terminale, che ricorda abbastanza poco la realtà del malato e annuncia la sua decisione di togliersi la vita, allo scopo di favorire la legalizzazione dell’eutanasia.
La volontà privata di una ipotetica persona malata, che non conosciamo e per la quale possiamo provare solo solidarietà, viene a investire tutti coloro che soffrono e sono loro accanto, e quindi tutti noi. La provocatorietà dello spot sta nella sua astrazione dalla realtà: quali pazienti e per quali motivi dovrebbero preferire di darsi, o farsi da re, la morte che di vivere con la malattia? È possibile un altro punto di vista ma soprattutto un altro stile, che tenti di tener conto dei diritti di tutti i malati?
Per le cure palliative è possibile. È possibile parlare di morte in modo decente e dignitoso come di un traguardo per tutti, raggiungibile anche senza dolore, facendo scelte autonome, con un’assistenza adeguata e vivendo forse più intensamente mo menti e occasioni irripetibili. Perché invece il bisogno di cure da parte dei malati gravi si deve trasformare in spot sull’eutanasia ? Per quanto ogni opinione sia rispettabile, chi mette in onda persone malate con la possibilità che esse colpiscano dolorosamente altri malati si assume una responsabilità e norme. Lo spot ha in sé ogni elemento per fare propaganda all’eutanasia attiva – per in tenderci, all’iniezione letale su richiesta del malato. E allora è bene chiarire che questa pratica non fa parte dell’orizzonte delle cu re palliative né in Italia né secondo l’Associazione europea di Cure palliative che rappresento.

La frase di Cappato è fondamentale per ché denota un’incomprensione molto grave di ciò che l’Eutanasia è nei Paesi nei quali è stata legalizzata. In Olanda è molto chiaro infatti che mai l’eutanasia può essere vista come parte del diritto alla salute, ma come una grave eccezione allo stesso.

Mai in Olanda l’eutanasia è vista come una parte della pratica ordinaria della medicina, come sarebbe invece se fosse «parte inte grante del diritto alla salute», mentre le cu re palliative sono parte della medicina, par te del diritto alla salute e parte del dovere di ogni essere umano di interrogarsi se ha fat to tutto il possibile perché un altro uomo o una donna vicini alla morte abbiano avuto soccorso, sollievo dalla sete e dal dolore, e l’opportunità di dire 'addio, mi dispiace , ti voglio bene'. Gettare l’ombra dell’eutanasia sulle cure per chi è vicino alla morte calerebbe su di esse una cortina di gelo e solitudine, allontanandole dalla loro vera ispirazione.

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