mercoledì 10 novembre 2010

GIUSTIZIA SOCIALE ED EVANGELIZZAZIONE (PARTE I) - Intervista al cardinale Peter Turkson di Jason Adkins

ST. PAUL (Minnesota), martedì, 9 novembre 2010 (ZENIT.org).- Essere portavoce del Papa Benedetto XVI sulle questioni di “giustizia e pace” deve essere un compito enorme, perché implica l’applicazione di principi forgiati nei secoli ad una vasta quantità di questioni e in ambiti geografici, politici e culturali molto diversi.

Spesso, soluzioni a problemi difficili, che hanno senso in un dato contesto, possono apparire avventate o errate se applicate in altre parti del mondo.

Ma secondo il nuovo capo del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, occorre cercare di comprendere terminologie e idee complesse, partendo dal punto di vista dell’oratore. In altre parole, dobbiamo chiederci cosa l’oratore sta cercando di comunicare a quel determinato pubblico.

L’adozione di questo atteggiamento iniziale, può anche alimentare in noi una profonda esperienza di apprendimento, secondo il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, un ruolo a cui è stato chiamato da Benedetto XVI nell’ottobre del 2009.

Turkson, 62 anni, è nato a Nsuta Wassaw, in Ghana, ed è arcivescovo emerito di Cape Coast, Ghana. Ha frequentato il seminario St. Anthony-on-Hudson a New York e ha poi studiato presso il Pontificio Istituto biblico di Roma, dove ha ottenuto il dottorato in Sacre scritture.

Ordinato nel 1975, è stato nominato arcivescovo di Cape Coast nel 1992 e creato cardinale da Papa Giovanni Paolo II nel 2003.

Durante un suo recente viaggio in Minnesota, il cardinale Turkson si è incontrato con ZENIT per parlare, tra le altre cose, delle difficoltà nel comprendere e applicare l’insegnamento sociale cattolico, dell’importanza della solidarietà e del lavoro cruciale portato avanti dalla Santa Sede presso le Nazioni Unite.

In quanto capo del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, lei deve affrontare temi molto variegati, dall’economia all’ambiente. Quali sono le sue principali fonti di ispirazione nell’affrontare questo compito?

Cardinale Turkson: Sostanzialmente ho tre fonti principali. La prima è lo stesso Papa Benedetto, che è, appunto, il motivo per cui sono a Roma. Ho chiesto a lui quale sia la visione e gli obiettivi che lui vede per questo Ufficio, perché la natura del mio lavoro è di sostenere la visione del Papa.

La seconda è il mio lavoro come Pastore, che ho svolto prima di arrivare a Roma. La mia esperienza pastorale costituisce un punto di riferimento e una fonte particolarmente ricca per il mio lavoro.

Ho assunto la guida di questo Ufficio con molti sentimenti propri di un pastore: essere creativo, innovativo e mostrare iniziativa in qualunque situazione mi trovi.

La terza fonte d'ispirazione è la mia formazione biblica. Ogni cosa concernente l’applicazione della nostra fede deriva, in ultima analisi, dalle Scritture. La considero una preparazione molto utile.

Non mi sono mai dedicato in modo particolare allo studio della dottrina sociale della Chiesa. Non ne ho fatto oggetto di studi accademici e l’ho approfondita solo per ciò che mi era necessario nel mio lavoro pastorale. Quindi, un grande sostegno nel mio lavoro viene dal considerare la base spirituale di tutto ciò che avviene.

Qual è la visione di Benedetto XVI sul suo Ufficio?

Cardinale Turkson: Il mio incontro con lui è avvenuto dopo il Sinodo sull’Africa. Durante il Sinodo, il Santo Padre ha detto che nel nostro lavoro dobbiamo saper distinguere tra l’azione pastorale e l’azione politica. Tutto ciò che facciamo deve essere in linea con l’azione pastorale.

Per esempio, nella situazione africana, tutte le importanti questioni relative allo sviluppo umano, in qualche modo riguardano il Governo, ma dobbiamo pensare alla situazione pastorale.

L’approccio alle soluzioni politiche deve essere in linea con ciò che intendiamo per Chiesa come famiglia di Dio.

Chiunque conosca la vita dei vescovi o dei preti in zone di missione sa che non si tratta solo di essere un pastore o un amministratore, si tratta di indossare molti cappelli: quello da architetto, da consigliere economico, da progettista.

Questo significa che noi come Pastori dobbiamo sviluppare un forte senso dell’innovazione, della creatività e dell’iniziativa. E il nostro lavoro presso il Pontificio Consiglio deve assumere le stesse caratteristiche.

Il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace è uno dei molti dipartimenti del Vaticano che, in quanto tali, devono essere in linea con il Papa. Quando si rappresenta il Papa, si deve parlare come parlerebbe lui.

Negli Stati Uniti c’è molta confusione sul termine “giustizia sociale”, in quanto alcuni lo considerano una virtù o un’azione umanitaria, mentre altri sostengono che debba essere del tutto abbandonato perché è stato distorto e requisito dagli attivisti della sinistra. Ci può chiarire l’esatto significato di “giustizia sociale”?

Cardinale Turkson: In definitiva, la giustizia sociale è propria della fede e della dottrina della Chiesa. Un gruppo di studiosi, è venuto recentemente a Roma, dagli Stati Uniti, per visitarci e per parlare dell’ultima enciclica.

Da subito è emerso con chiarezza che determinati termini come solidarietà non sono apprezzati dagli americani e sono difficili da tradurre. Ma esiste una certa esperienza di apprendimento che è utile.

Così come facciamo per ogni studio letterario, è sempre bene tenere in considerazione l’autore e il suo punto di partenza.

Dobbiamo comprendere il punto di vista dell’autore e ciò che lui pone sul tavolo. Certi termini e concetti potrebbero non essere apprezzati se non vengono considerati da quella prospettiva.

Per quanto riguarda l’espressione giustizia sociale, è stata usata di frequente durante il Sinodo per l’Africa.

Bisogna prima considerare il termine giustizia e poi aggiungervi l’aggettivo sociale. A quel punto si può vedere dove questa espressione ci porta. Credo che questo sia utile per comprendere il senso di questa espressione.

La giustizia può essere considerata come la necessità di rispettare le esigenze di qualunque rapporto in cui siamo coinvolti.

Quando io rispetto la mia controparte, posso stare certo di essere giusto. Questo è vero per il mio rapporto con Dio ed è vero per il rapporto tra marito e moglie, studente e insegnante, datore di lavoro e lavoratore.

Le esigenze di ogni rapporto, le aspettative delle parti coinvolte, costituiscono terreno di giustizia. Detto questo, se noi traduciamo questo nell’ambito sociale, significa semplicemente che consideriamo una serie di rapporti e di aspettative tra i membri della società.

In questo senso, non si tratta di un tema conservatore o progressista. Consideriamo le esigenze di determinati rapporti in cui siamo coinvolti, in termini di giustizia.

Dobbiamo fare attenzione a non rimanere troppo teorici. Esiste un rapporto tra il legislatore e il cittadino, tra il falegname e l’operaio, tra i capi e i dipendenti di un’azienda, che deve essere portato avanti e rispettato.

La giustizia sociale non riguarda tanto la redistribuzione o il fare in modo che le classi socialmente più elevate aiutino quelle più basse.

Il punto di partenza è riconoscere il senso di giustizia nei rapporti e prendere questo come guida. Se prendiamo questo come riferimento, diventa più facile comprendere meglio l’espressione utilizzata.

Bisogna guardare alla giustizia sociale in termini relazionali.

Negli Stati Uniti, esiste una polarizzazione nel modo in cui i cattolici impegnati in politica interpretano e applicano l’insegnamento sociale della Chiesa. Per esempio, alcuni credono che tutti i problemi sociali debbano essere risolti in ambito privato dagli individui, da organizzazioni o da soggetti non governativi. Secondo altri lo Stato dovrebbe mettere mano suquasi tutti i problemi della società. Un esempio è l’accesso di tutti i cittadini all’assistenza sanitaria di base. A cosa è dovuta, secondo lei, questa polarizzazione?

Cardinale Turkson: Potrebbe esserci una lieve asimmetria tra l’insegnamento del Papa e la realtà della particolare situazione che si vive negli Stati Uniti.

Non so se la riforma sanitaria sia un tentativo di dare attuazione al pensiero del Papa in questo senso.

La situazione può forse essere connessa con la presenza di due campi politici in questo Paese. Potrebbe avere la sua propria ermeneutica.

Se si pensa al carattere comunitario dell’insegnamento del Santo Padre, questo si basa sull’antropologia cristiana della persona. La persona è creata per essere parte di una famiglia. La famiglia è il punto di partenza della concezione del Papa sulla persona.

Le persone appartengono a una famiglia. Ma la fraternità è un concetto che non è ben compreso qui.

Essendo membri di una famiglia noi siamo in un certo senso tutti fratelli e sorelle. È questo il punto di partenza comunitario. Possiamo perseguire iniziative individuali, ma in base al punto di partenza originario dobbiamo essere consapevoli di non pover trascurare i nostri fratelli.

In questo contesto si applica la logica del dono illustrata dal Santo Padre.

Noi non trascuriamo i nostri fratelli perché riconosciamo cosa è la persona: un essere creato a immagine e somiglianza di Dio. La nostra solidarietà con tutti gli uomini è espressione dell’amore di Dio Padre per tutti noi.

La persona deve imitare l’amore che Dio ha per noi. Dobbiamo diventare amore o dono per gli altri.

Il senso è che la persona umana deve appartenere a una famiglia. La solidarietà è il fondamentale punto di partenza: la fratellanza umana sotto la paternità di Dio.

Non so se la discussione politica nella società americana ha questo stesso punto di partenza.

Per questo motivo, la missione è quella di far adottare come punto di partenza questa concezione della persona umana e questa necessità di solidarietà. Dobbiamo usare la dottrina sociale della Chiesa come mezzo di evangelizzazione. Dobbiamo condividere questo con i non cristiani.

Qualsiasi normativa che viene adottata deve essere espressione di solidarietà, espressione della natura dell’amore di Dio e della gratuità con cui Dio ci ama e ci tratta.


GIUSTIZIA SOCIALE ED EVANGELIZZAZIONE (PARTE II) - Intervista al cardinale Peter Turkson di Jason Adkins

ST. PAUL (Minnesota), mercoledì, 10 novembre 2010 (ZENIT.org).- La dottrina sociale della Chiesa non è solo fonte di principi su cui poter edificare una società sana e giusta, ma è anche uno strumento di evangelizzazione.

Ad affermarlo è il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Richiamando l’episodio biblico di Zaccheo, il Cardinale ha espresso la convinzione che le verità della tradizione sociale della Chiesa sono una preparazione per la grazia e invitano ad un incontro con il Signore.

Il porporato è stato rettore del Catholic University College in Ghana e presidente della Conferenza episcopale di quel Paese. Ha anche lavorato per una serie di commissioni, consigli e comitati pontifici, per poi essere nominato da Benedetto XVI presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace nell’ottobre del 2009.

Turkson è stato recentemente a St. Paul, nel Minnesota, dove ha visitato l’Università di St. Thomas e svolto l’annuale Habiger lecture sponsorizzata dal Centro di studi cattolici. Il titolo della lezione era “Caritas in Veritate: Good News for Society”.

In un’intervista rilasciata a ZENIT, ha parlato dei primi frutti della Caritas in veritate e ha spiegato perché la Santa Sede deve continuare a sollecitare le coscienze nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

La prima parte di questa intervista è stata pubblicata il 9 novembre 2010.

Che impatto ha l’insegnamento sociale della Chiesa sul mondo imprenditoriale e sulla società?

Cardinale Turkson: La gente è entusiasta della tradizione della Chiesa. Molti hanno scoperto che la dottrina sociale della Chiesa è uno strumento di evangelizzazione.

Per esempio, il Vangelo racconta che Zaccheo, l’esattore delle tasse, si arricchiva a spese degli altri. Ma quando ha incontrato Gesù si è trasformato, arrivando a voler restituire quattro volte tanto a chi avesse frodato.

Perché prima di aver incontrato Gesù, non si rendeva conto che stava frodando le persone?

La storia di Zaccheo mostra che quando si conosce il Signore, interviene un cambiamento.

Allo stesso modo la gente dovrà arrivare a fare una certa esperienza religiosa. Dovrà realizzare che gli affari non potranno continuare allo stesso modo; non potranno continuare a calpestare altri esseri umani; non ci si potrà continuare a calpestare a vicenda.

Gli affari devono invece essere orientati ad uno sviluppo integrale della persona umana. La ricerca del progresso umano non può tralasciare il carattere comunitario proprio della persona umana.

L’enciclica Caritas in veritate parla di uno sviluppo umano che deve essere integrale e complessivo. L’enciclica ci invita a riscoprire lo sviluppo umano e il progresso umano.

Guardando allo sviluppo della tradizione sociale della Chiesa, sembra che ciò che caratterizzava le prime encicliche papali, dalla Rerum novarum di Leone XIII alla Mater et magistra di Giovanni XXIII, era l’applicazione della filosofia tomistica ai problemi attuali. Di conseguenza, sembrava esserci un chiaro programma di azione politico che i cattolici potevano fare proprio. Le encicliche più recenti, invece, sembrano riflettere un’impronta teologica o filosofica più personale del Papa che le ha scritte. Inoltre vi è anche una maggiore controversia su come applicare gli insegnamenti in esse contenuti. A suo avviso, la Chiesa dovrebbe tornare ad un più rigoroso tomismo nel suo approccio alle questioni sociali attuali?

Cardinale Turkson: Io direi che a questo particolare Papa è stata attribuita la formulazione di un’ermeneutica di continuità. Un’ermeneutica che non si applica solo alle questioni del Vaticano II e ai precedenti Concili ecumenici, ma anche alla continuità tra i recenti insegnamenti sociali dei Papi e quelli dei Papi precedenti.

Naturalmente, i mutamenti di contesto richiedono una diversa enfatizzazione. Talvolta la formulazione di certe questioni viene inquadrata in modo diverso. Ma esiste una vera continuità.

Quando questo Papa parla di Tradizione, parla di tutto il patrimonio del passato.

In definitiva non è il tomismo il punto di partenza dell’insegnamento sociale della Chiesa, ma le stesse Scritture. Il tomismo è stato un modo di articolare i principi che si trovano nella Bibbia. Non credo che dovremmo tornare a Tommaso per avere una chiara formulazione.

È probabile che una certa tradizione nella Chiesa, veicolata dal catechismo con le domande e le risposte, abbia creato un approccio particolare alle questioni. Talvolta il tomismo è utile in quel contesto. Ma ciò non dovrebbe escludere il desiderio di essere discorsivi sulle questioni. E la nuova enciclica ci sta guidando in questa direzione.

Le encicliche si rivolgono a tutte le persone di buona volontà. Con questa finalità in mente, non è possibile presentare gli insegnamenti in modo catechetico e tomistico.

Lo stile discorsivo non si discosta dal tomismo, ma anzi ne arricchisce la tradizione. Le encicliche sono destinate ad un pubblico più ampio, ed è per questo che si allontanano dal chiaro formato tomistico.

Spesso chi è impegnato ad articolare la posizione della Chiesa nella sfera pubblica, usa argomenti come quello della legge naturale, ma è destinato a sbattere contro un muro. Queste argomentazioni possono essere rese nel modo più efficace possibile, ma non sembrano aver presa. Risulta invece più agevole proclamare che Gesù è il Signore e limitarsi a questo, perché in definitiva la soluzione dei problemi sociali, politici ed economici, sia locali che globali, richiede una vera solidarietà tra la gente, che dipende dal riconoscimento della paternità di Dio. A tale riguardo, la riscoperta dell’ormai dimenticata idea della regalità di Cristo – la sua signoria su tutte le cose, comprese quelle dell’ordine politico ed economico – può essere utile?

Cardinale Turkson: Questo potrebbe essere un modo per affrontare il problema. Il Santo Padre dice che la verità della ragione e la verità della fede non sono in contrasto. Ma la verità della ragione è invitata a trascendere.

La verità della ragione non è un punto di arrivo, in quanto la verità della fede trascende quella della ragione.

La legge naturale stessa è una preparazione all’ordine della grazia.

Dobbiamo riconoscere la vocazione della ragione come preordinata alla trascendenza, e la figura di Gesù come Dio incarnato.

Se abbiamo compreso questo in maniera chiara, possiamo riferirci ai contenuti della recente enciclica.

Il libro universale della natura mostra Dio come l’autore della sua creazione, ma anche di tutto ciò che vi appartiene. In questo senso egli diventa il signore di tutte le cose, compresi i rapporti umani.

Vi è una tendenza nel mondo di oggi di considerare la persona come prodotto di se stessa o della cultura e delle forze esterne. In questo senso si tende a voler rimpiazzare ed eliminare Dio.

Alla luce di questo, i Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci ricordano che senza la trascendenza, la vita è priva di senso e non è in grado di raggiungere la sua realizzazione.

Il bisogno di recuperare la regalità di Gesù è dovuto proprio al fatto che egli è rivelazione del Padre. La sua regalità diventa necessaria per poter presentare la vocazione della ragione come vocazione alla trascendenza.

È una verità rivelata da Cristo e in Cristo.

Quindi la legge naturale non è un punto di arrivo. Ogni persona è invece invitata a trascendere, per scoprire se stessa nella finalità della verità di Gesù; per scoprire il disegno del Padre nella verità della creazione.

Questo invito alla trascendenza esiste e diventa la sostanza della missione evangelizzatrice della Chiesa. Noi parliamo della verità della ragione, ma non ci possiamo limitare a questa.

Essa deve scoprire se stessa in Gesù rivelazione del Padre.

Quando lei parla a organizzazioni come le Nazioni Unite, come ha fatto a settembre, in relazione agli Obiettivi di sviluppo del millennio, esortando ad orientare le attività a sostegno di una cultura della vita, pensa che il suo messaggio giunga a destinazione?

Cardinale Turkson: Credo che siano molte le cose da scoprire su come funziona l’ONU.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite in senso proprio costituisce l’incontro di Stati sovrani; capi di nazioni sovrane che si ritrovano insieme. Gli esperti nell’ONU facilitano questi incontri, ma proprio questo servizio mette a rischio gli incontri rendendoli vulnerabili a quei gruppi che si presentano con una strategia ben definita. È bene sempre ricordarsi di questo rischio.

Il finanziamento delle Nazioni Unite deriva dai Capi di Stato sovrani. Ma il finanziamento può anche portare con sé determinate richieste o condizionalità.

Tutto questo va tenuto a mente. Quindi, quando si parla degli Obiettivi di sviluppo del millennio, è facile che alcuni soggetti finanziatori cerchino di portare la discussione verso i propri interessi e la propria agenda.

La voce della Santa Sede ha, in questo senso, il merito di ricordare determinate questioni che spesso si cerca di insabbiare.

Anche se la posizione della Santa Sede non è quella che viene poi approvata, serve comunque come memento per le nazioni, su questioni e valori come l’importanza di proteggere la vita e la dignità umana.

Anche se la nostra voce si ritrova da sola, è comunque necessaria. Molte persone ancora si congratulano con noi per aver discusso di certe questioni.

L’attività della Santa Sede può anche portare a domandarsi perché alcuni Stati stanno discutendo di certe questioni, o può portare alcuni a far venir meno i finanziamenti.

Per esempio, prima della visita di Papa Benedetto a Londra, qualcuno ha chiesto se, nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, la salute riproduttiva sarebbe stata veicolata in tutti gli aiuti. In altre parole, è stato chiesto se tutti gli aiuti avrebbero avuto questa come condizione dei finanziamenti. Questo argomento è stato discusso grazie all’intervento della Chiesa nelle Nazioni Unite.

Tutti questi aspetti vanno ricordati quando si parla della partecipazione all’ONU.

Bisogna che la verità della Chiesa sia conosciuta, a prescindere dal grado di adesione che essa ottiene.




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