sabato 20 novembre 2010

«Sussidiarietà? È primato della persona» - Bagnasco: è un principio che non può essere disgiunto da quello della solidarietà - «Fondamento prossimo della sussidiarietà è la libertà e la dignità» della persona «La dignità di realizzarsi liberamente, di costruirsi con le proprie mani, di non attendere tutto dagli altri. In una parola semplice e diretta: di essere utile» «Lo Stato» deve evitare «una duplice tentazione: scaricare per ignavia le sue responsabilità sopravvalutando le potenzialità altrui oppure invadere per statalismo accentratore gli spazi possibili e dovuti alla società civile» - Pubblichiamo ampi stralci della relazione che il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha tenuto giovedì sera all’intergruppo sul la sussidiarietà. – Avvenire, 20 novembre 2010

1. L’origine del concetto

Può essere utile una parola sull’etimo del termine. Sussidiarietà deriva dal latino subsidium e indica le truppe di riserva.

(...) La sussidiarietà, applicata alla società, in dica dunque l’intervento ausiliario e compensativo dello Stato a favore dei gruppi sociali più piccoli nonché dei singoli. La sussidiarietà esprime, quindi, in prima battuta, l’idea del l’aiuto, del sostegno, dell’intervento di rinforzo o di riserva supplementare, che viene incontro alle insufficienze di organismi sociali inferiori, senza per questo sminuirne il valore e le potenzialità, e senza voler sostituirsi ad essi. Richiede, pertanto, una capacità di acuto e onesto discernimento per riconoscere senza ideologie e ritardi le ricchezze e le capacità della società civile, e per non abbandonarla a se stessa di fronte a problemi più grandi rispetto alle forze. Ho detto con onestà. Infatti, lo Stato potrebbe incorrere in una duplice tentazione: quella di scaricare per ignavia le sue responsabilità sopravvalutando le potenzialità altrui, oppure, quella di invadere, per statalismo ac centratore, gli spazi possibili e dovuti ai diversi soggetti della società civile. (...) La definizione classica del principio di sussidiarietà ricorre nell’Enciclica “Quadragesimo anno” di Papa Pio XI (1931) (80). (...) Ma non dobbiamo dimenticare che già nella Bibbia troviamo l’applicazione del principio (...) (Es 18, 18-22). (...) Il Concilio Vaticano II ha sottolineato l’importanza del principio specialmente nel campo dell’educazione e della scuola (cfr Gravissimum educationis, 3 ), nonché nella collaborazione economica internazionale ( Gaudium et spes , 86).

2. Il fondamento della sussidiarietà

La sussidiarietà esprime così il primato della persona, ed è nel contesto della persona che trova la sua radice vitale. È dunque all’interno dell’orizzonte antropologico che si áncora il principio. Ma dire questo significa – a ben vedere – dover affrontare in modo chiaro e deciso il problema della verità, e quindi della ragione. Se, infatti, come oggi si respira, tutto è diventato opinione in quanto la ragione non sarebbe in grado di indagare e cogliere la verità delle cose dell’ordine fisico, spirituale ed e­tico, come sarà possibile sapere chi è l’uomo?

E senza sapere questo, come è possibile parlare di valori, tra cui la sussidiarietà e la solidarietà che alla prima deve essere intimamente connessa? E come ipotizzare il vivere comune, una società a misura d’uomo? E come pensare una politica efficace non perché funziona nei suoi dinamismi interni, ma perché serve l’uomo? Se si oscura l’intelligenza si corrompe la convivenza, e la società intera si sfarina in tanti mondi particolari dove il criterio non sarà più il bene comune – via impraticabile – ma gli interessi immediati e di parte. La stessa possibilità di legiferare diventa problematica non nelle sue procedure, ma nel suo fondamento: con la negazione della metafisica, la ragione non è più in grado di trovare la verità, e allo Stato non resta che affidarsi alle convinzioni che si rispecchiano nel consenso democratico. In questa situazione, non è più la verità a creare il consenso, ma il consenso crea non tanto la verità quanto ordinamenti comuni. Anche il senso del “sacro” – inteso laicamente come qualcosa che mi precede, mi supera e quindi è indisponibile – non sembra aver quasi più significato per il diritto. La vita umana, allora, diventa qualcosa di cui si può disporre. (...) Il primato della persona, che sta alla base del personalismo sociale, costituisce dunque il criterio del rifiuto di ogni forma di totalitari smo, e richiede non solo il principio di sussi diarietà, ma anche il pluralismo delle istituzio ni: non dunque soltanto il pluralismo nella i stituzione, ma pluralismo di istituzioni, in mo do che le famiglie, i gruppi, le chiese, le comu nità locali, abbiamo gli spazi e i mezzi per la realizzazione delle loro finalità educative ed assistenziali.

Possiamo dire, a questo punto, che se il fondamento ultimo della sussidiarietà è la persona, il fondamento prossimo è la sua libertà e la sua dignità. La dignità di realizzarsi libera mente: di costruirsi con le proprie mani, di guadagnare se stesso, di esprimere i propri ta lenti, di non attendere tutto dagli altri, ma di lavorarsi con le proprie forze. In una parola semplice e diretta: di essere utile! Utile a sé e a gli altri, quegli altri che si presentano a lui co me singoli, come comunità primarie, come Stato.

Se, come ho detto, lo Stato deve essere attento a non pretendere ciò che i soggetti minori non sono in grado di fare, e a non mortificare invadendo le diverse potenzialità, anche l’individuo e i corpi intermedi devono evitare il rischio di aspettarsi tutto dall’alto favorendo dinamiche di tipo assistenziale che non costruiscono né la persona, né i gruppi, né lo Stato.

In questa prospettiva, emerge la necessità di una continua tensione educativa diffusa. In tendo non solo da parte del soggetto naturale e ineguagliabile di tale compito – la famiglia – ma anche la scuola, le associazioni giovanili, il mondo massmediatico, le istituzioni, la comunità cristiana secondo la sua millenaria vocazione e missione. La società in sé deve diventare una comunità educante. La sussidiarietà non si identifica innanzitutto con delle cose da fare, ma è una tensione dell’anima, è un atteggiamento da far emergere e educare, continuamente rimotivare nei suoi fondamenti e nei suoi significati. Un atteggiamento che deve sfociare in comportamenti coerenti e così diventare virtù morale.

3. Sussidiarietà e solidarietà nel bene comune

Ecco perché il principio di sussidiarietà non può essere disgiunto dal principio di solidarietà, come ricorda Benedetto XVI, «perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di biso gno. Questa regola di carattere generale va tenuta in grande considerazione anche quando si affrontano le tematiche relative agli aiuti internazionali allo sviluppo» (CV n. 58). (...) La dimensione della solidarietà che, oltre ad essere un principio sociale, è anche una virtù morale, appartiene alla sfera della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene comune.

È allora a questo che dobbiamo guardare: il fine è sempre l’uomo. Come sappiamo, il Concilio Vaticano II definisce il bene comune come «l’insieme di quelle condizioni della vita socia le che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (GS 26).

Ma che cos’è la perfezione dei diversi soggetti, perfezione alla quale sono ordinate le condizioni della vita sociale? È il vivere retto sia dei cittadini che dei loro rappresentanti. È la comunione nel vivere bene, cioè rettamente.

Ritorna la domanda se è possibile individuare il retto vivere: se è possibile, allora si potranno facilmente individuare le condizioni più adeguate. (...) La Chiesa crede fermamente in questa capacità di ogni uomo e quindi crede che ogni uomo è capace di bene comune. Ma questa, nella sua sostanza, è convinzione della coscienza universale di ogni tempo. Ecco la con dizione di possibilità per ogni intelligente in conclusione, per custodire e arricchire il bene comune inteso come il vivere retto di tutti, favorito dal varo di istituzioni e regole, di leggi giuste, cioè delle «condizioni di vita sociale» di cui parla il Concilio. (...) Nell’approfondire la dignità della persona e il bene comune, scopriamo che alla radice del l’essere umano vi sono delle realtà primarie e che, in quanto tali, sono intangibili. Mi sembra significativo proporre quanto i presidenti delle Conferenze episcopali del Continente europeo, nell’annuale Conferenza quest’anno te nuta a Zagabria, hanno scritto nella Dichiarazione finale: «Siamo convinti che la coscienza umana è capace di aprirsi ai valori presenti nella creata e redenta da Dio per mezzo di Ge sù Cristo. La Chiesa, consapevole della sua missione di servire l’uomo e la società con l’annuncio di Cristo Salvatore, ricorda le implicazioni antropologiche e sociali che da Lui de rivano. Per questa ragione non cessa di affermare i valori fondamentali della vita, del ma trimonio fra un uomo e una donna, della fami glia, della libertà religiosa e educativa: valori sui quali si impianta ed è garantito ogni altro valore declinato sul piano sociale e politico» (Zagabria, 3.10.2010). Vi ringrazio per la corte se attenzione e vi invito a continuare in questo cammino certamente utile per voi e per il vo stro servizio al nostro amato Paese. 

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