giovedì 25 novembre 2010

Sotto la lente - Il ricatto dei registri comunali - La direttiva emanata da tre ministeri sull’illegittimità dei testamenti biologici «fai da te» ha suscitato lo sdegno dei loro promotori. Ma la propaganda, per ora, non ha valore legale - «Pura propaganda ». di Ilaria Nava – Avvenire, 25 novembre 2010

Così il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha definito i registri comunali dei testamenti biologici che ormai numerosi comuni hanno approvato sottoscrivendo l’invito radicale lanciato dall’associazione Luca Coscioni. Una campagna che gli stessi organizzatori hanno definito di «mobilitazione militante» in attesa di una legge sul fine vita; iniziata oltre due anni fa, invita i comuni italiani ad approvare una delibera che permetta di raccogliere le dichiarazioni dei cittadini residenti riguardo i trattamenti sanitari che vorranno o non vorranno ricevere qualora non siano più in grado di intendere e di volere. Un pressing che ha portato una settantina di municipi – un terzo solo nell’Emilia Romagna – ad approvare la delibera. Il modello proposto dai promotori della campagna non sempre è stato adottato e la situazione a livello nazionale è del tutto disomogenea. Ci sono comuni che, ad esempio, richiedono la compilazione del documento davanti al funzionario comunale, altri che invece invitano i cittadini a recarsi allo sportello con la busta già chiusa. Ma al di là delle procedure, l’aspetto più problematico riguarda il contenuto. Il comune non ha, naturalmente, alcuna competenza in materia sanitaria, tantomeno su un aspetto così delicato come quello del fine vita, su cui il Parlamento sta lavorando e discutendo ormai da anni. Lo ha ribadito anche Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute: «Autonomia e federalismo non c’entrano nulla, non sono sinonimi di anarchia e nemmeno di una specie di 'tana libera tutti' con cui un comune può ammettere l’eutanasia mentre quello vicino la vieta».

Il Governo è intervenuto con una direttiva interministeriale firmata dal ministro della Salute Ferruccio Fazio, da quello del Welfare Maurizio Sacconi e da Roberto Maroni, titolare degli Interni. Un documento prodotto non per fare un ricatto, o imporre un diktat su temi etici – come hanno affermato diversi esponenti della Coscioni – bensì, come si legge nel testo, per rispondere alle richieste di parere presentate da alcuni comuni ai ministeri competenti. Comuni che evidentemente si trovavano disorientati di fronte alle proposte di regolamentare a livello municipale l’eutanasia.

La direttiva chiarisce che la competenza sul fine vita è esclusivamente nazionale e che pertanto l’intervento del comune in questi ambiti risulta esorbitante la competenza dell’ente locale e si traduce in provvedimenti privi di effetti giuridici.

Il primo problema, infatti, è sicuramente quello a cui si accenna anche nella delibera quando si parla di un «uso distorto di risorse umane e finanziarie» da parte dei comuni che procedano ugualmente all’istituzione del registro, ossia della compatibilità delle decisioni comunali con il principio di legalità dell’azione amministrativa. Il secondo interrogativo riguarda la posizione dei sanitari: su quali basi si può imporre al medico di abbandonare la posizione di garanzia di cui è titolare sulla base di una dichiarazione validata dal comune? Malgrado questo chiarimento tecnico, l’associazione Coscioni ha inviato una lettera ai comuni per invitarli, malgrado le indicazioni tecniche fornite da tre ministeri, ad istituire i registri mentre il sindaco di Genova, dove da tempo vige il registro, ha dichiarato di agire nella legalità. Non si sa bene su quali basi.

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