giovedì 11 novembre 2010

Irlanda - È battaglia sul «diritto» di abortire – Avvenire, 11 novembre 2010

Il caso 'A, B, C'. La speranza è che questa denominazione, adottata fin dal 2005 per proteggere l’anonimato di tre ricorrenti non trasformi la vicenda in un esempio da manuale per quanto riguarda le procedure e le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma che invece la questione sia stata di fatto considerata irricevibile a Strasburgo.

Si tratta dell’impugnazione fatta presso i magistrati del capoluogo dell’Alsazia da parte di tre donne della legislazione irlandese sull’aborto basata sull’articolo 40.3.3 della Costituzione che sancisce: «Lo Stato afferma il diritto alla vita del nascituro e, tenuto conto dell’eguale diritto alla vita della madre, garantisce nella propria legislazione il riconoscimento e, per quanto possibile, l’esercizio effettivo e la tutela di tale diritto, attraverso idonee disposizioni normative».


Secondo le argomentazione usate dagli avvocati delle tre ricorrenti, esse si sarebbero recate in Gran Bretagna per effettuare l’interruzione di gravidanza con una procedura «inutilmente costosa», «traumatica» e «complicata». Tutto ciò avrebbe comportato – hanno sostenuto davanti alla Grande Chambre – una violazione del «diritto al rispetto della vita privata e alla vita familiare», del «diritto alla vita», del «divieto di discriminazione», e addirittura del «divieto di tortura». La Corte in questo caso ha evitato di pronunciarsi attraverso una delle sue sezioni ristrette e ha inviato direttamente il caso alla Grande Chambre. L’udienza si tenne il 9 dicembre del 2009. Il ricorso doveva di fatto essere considerato «irricevibile» da parte dei giudici, perché – come ha osservato l’European centre for law and justice (Eclj) che è intervenuto nel processo come parte terza a favore dell’Irlanda – «il dossier di A, B e C è vuoto». Non è stato motivato sufficientemente come richiede la giurisprudenza della Corte europea: «Non hanno portato alcuna prova dell’assenza di soluzioni ai loro problemi».
Da notare poi che l’adesione dell’Irlanda all’Unione Europa è stata condizionata al fatto che la sua legislazione in materia di aborto sia rispettata dalla Unione medesima. Ora però potrebbe porsi un caso giuridico. Infatti, con il trattato di Lisbona l’Unione europea ha aderito alla Convenzione europea dei diritti, su cui si basa l’azione della Corte di Strasburgo (organismo del Consiglio d’Europa e non dell’Unione). E la scorsa estate sono iniziate le trattative per tale ingresso della Ue nella Convenzione come 48° membro, e per la articolazione dei ruoli rispettivi della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo e la Corte di giustizia europea di Lussemburgo. Il problema ha una portata etica e valoriale, in quanto, alcune sentenze di primo grado di Strasburgo, come quella che ha condannato l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle scuole (ora in corso di riesame), e poi la sentenza contro il divieto di fecondazione eterologa in vitro in Austria, fanno temere che la Corte possa abbandonare la sua tradizio nale linea di rispetto delle «margine di apprezzamento» degli Stati mem bri, cioè in sostanza il rispetto delle legislazioni nazionali in materie eti camente sensibili. I magistrati di Strasburgo, però, sono ancora in tempo per riportare i loro prunucia menti in linea con quanto affermato nei decenni passati. Ecco perché le prossime decisioni in materia di tu tela della vita e di libertà religiosa as sumono una importanza decisiva anche ai fini della salvaguardia del ruolo dei magistrati del Consiglio d’Europa. (P.L.F.).

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